Concomitanti, nel mese di giugno, sono stati pubblicati, rispettivamente, la Relazione 2014 della Corte dei Conti, Sezione Autonomie (cfr. delibera n. 15/SEZAUT/2014/FRG del 6 giugno 2014) e l"indagine del CERVED (la business unit dedicata ai servizi per le banche e le società finanziarie) che fotografano la realtà degli organismi partecipati in Italia.
In sintesi, le relazioni evidenziano:
Come è noto, la legge di Stabilità 2014 (l. n. 147/2013) ha abrogato il suddetto art. 14, comma 32, rafforzando il ruolo e le responsabilità degli enti locali. In quest"ottica, i comuni, a prescindere dalla dimensione demografica, possono gestire le loro partecipazioni societarie in forza della loro autonomia decisionale e discrezionalità amministrativa.
Quando si affronta il tema delle società pubbliche solitamente scattano (e in taluni contesti a ragione) numerosi pregiudizi a riguardo della loro effettiva funzione. In tal senso, è da leggere anche la previsione contenuta, da ultimo, nell"art. 23, d.l. 66/2014, laddove si legge che il commissario straordinario Cottarelli presenterà entro la fine del mese di luglio una proposta di razionalizzazione degli enti partecipati.
Quando poi si affronta il tema delle società partecipate ci si riferisce a concetti quali "privatizzazione" e "liberalizzazione", spesso invocati quali soluzioni alle inefficienze e alla cattiva gestione delle aziende/società che gestiscono i servizi pubblici locali. Ci si chiede perché a livello centrale, nel corso degli ultimi decenni, si sono privatizzate molti enti/società pubblici, mentre in periferia è così difficile sia privatizzare che liberalizzare i servizi pubblici. Sarebbe questa difficoltà ad aprire il mercato dei servizi pubblici locali all"origine del cd. "socialismo municipale", inteso come la presenza (pervasiva) degli enti pubblici territoriali nel mercato dei servizi di pubblica utilità. Questi servizi, oggi, rispondono ad esigenze crescenti e nuove da parte degli utenti, in termini di qualità, diffusione, prezzi e controllo dei risultati.
Le modifiche normative ed organizzative che hanno interessato il comparto delle public utilities, da un lato, e gli assetti istituzionali attraverso cui gli enti locali sono oggi chiamati ad assolvere le funzioni fondamentali, dall"altro, hanno costretto gli enti pubblici territoriali ad assumere un nuovo orientamento nella gestione degli interventi a rilevanza collettiva. In questa direzione, si é invero assistito al passaggio da un modello di "government" ad un modello di "governance". Mentre il primo è impostato sul tradizionale schema di funzionamento dell'autorità pubblica e sulla produzione diretta di beni e servizi, il secondo assicura l"erogazione dei servizi di propria competenza, che possono essere organizzati e gestiti anche a mezzo di società "collegate" all"ente locale ovvero agli enti locali.
In quest"ottica, allora, occorre, in primis, valutare quale debba essere il ruolo degli enti pubblici e, conseguentemente, anche delle società da essi partecipate/controllate e, in secondo luogo, rifuggire dalla tentazione di considerare la forma giuridico-organizzativa (rectius: società) per se quale panacea dei mali ovvero la "madre di tutti i mali" che affliggono il sistema dei servizi pubblici.
In una siffatta logica virtuosa, il socialismo municipale potrebbe assumere le fattezze di un "municipalismo sociale", la cui preoccupazione principe sia di rispondere ai bisogni della comunità locale. Le soluzioni gestionali ed organizzative conseguono.