-  Gasparre Annalisa  -  10/02/2013

OMISSIONE DOVERI DI CURA E CUSTODIA PER IL CANE LASCIATO IN AUTO - Cass. pen. 5971/2013 - Annalisa GASPARRE

Abbandono è anche quello temporaneo con cui ci si sottrae ai doveri di cura e custodia.

A giudicare dallo spazio che questi fatti occupano nelle aule di giustizia e anche davanti alla Suprema Corte di Cassazione, viene da riflettere sulla loro frequenza, sull'insidiosità della loro diffusione. Stiamo parlando della (brutta) abitudine di lasciare cani in auto, abbandonando il veicolo e assentandosi temporaneamente dal controllo di quanto al cane potrebbe succedere (o di quanto il cane potrebbe fare).

Senza presunzione di completezza, si rinvia a quanto, proprio pochissimo tempo fa, abbiamo pubblicato su questa rivista http://www.personaedanno.it/index.php?option=com_content&view=article&id=40924&catid=188&Itemid=426&mese=11&anno=2012.

Il pregio di quella pronuncia della Cassazione era di essersi soffermata sul concetto di "incompatibilità" della detenzione dell'animale, quale conseguenza della condotta umana. In quella pronuncia, la Suprema Corte aveva inquadrato la condotta del lasciare il cane in auto nel paradigma della detenzione incompatibile disciplinata dal co. 2 dell'art. 727 c.p., più che nella situazione di abbandono disciplinata dal co. 1 dell'articolo medesimo.

Con questa nuova pronuncia, la Cassazione precisa, da un lato, come consolidata giurisprudenza in materia detenzione in condizioni incompatibili (co. 2 art. 727 c.p.) si è espressa nel senso che la sofferenza in capo all'animale può consistere anche in soli patimenti, non essendo necessaria a volontà specifica del soggetto agente di inferire sull'animale e, d'altro lato, come l'abbandono (co. 1 dell'art. 727 c.p.) non sia solo quello che deriva dalla volontà di interrompere ogni accadimento dell'animale, ma anche l'omesso adempimento dei propri doveri di custodia e cura.

Circa quest'ultimo punto, è interessante notare che la Cassazione sembra utilizzare la categoria del reato omissivo per descrivere l'abbandono, cioè il risultato della condotta - vietata - descritta dalla norma incriminatrice. Quello che si apprezza è che l'iter logico-argomentativo utilizzato mutua la categoria del reato omissivo - riservata ai delitti, quindi a fattispecie punite a titolo di dolo - per meglio descrivere una fattispecie contravvenzionale, favorendo l'individuazione di una situazione definibile - seppure non nel senso tecnico per cui è stata coniata - "posizione di garanzia", laddove si esprime nel senso di dovere di custodia e di cura in capo a qualcuno che, allontanandosi da tali doveri, si giudica responsabile di reato.

L'omesso adempimento dei doveri di cura e custodia può anche essere solo temporaneo, quale quello che si concreta nel lasciare l'animale in auto per alcune ore, in un ambiente destinato a surriscaldarsi e a compromettere le condizioni degli animali "abbandonati" senza necessità di una condotta drastica, quale quella che l'abbandono di un animale assume (o ha assunto sinora) nell'immaginario collettivo.

 

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 ottobre 2012 – 7 febbraio 2013, n. 5971

Presidente Lombardi – Relatore Rosi

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 6 maggio 2010, il Tribunale di Alessandria ha condannato V.F. e P.L. alla pena di Euro 3.000 di ammenda, dichiarandoli responsabili del reato di cui agli artt. 110 e 727 c.p., perché in concorso tra loro, detenevano due cani di razza "Yorkshire", in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze, in particolare perché detenevano gli stessi rinchiusi in un'autovettura al caldo (da mezzogiorno alle 17:20 del (omissis)), con i finestrini abbassati di un solo centimetro e privi di acqua sufficiente. In (omissis).

2. Avverso la sentenza, gli imputati hanno presentato, tramite il proprio difensore, atto di appello per i seguenti motivi: 1) La sentenza meriterebbe di essere annullata, poiché non sarebbe stata raggiunta la prova in ordine all'elemento soggettivo del reato. Dalle testimonianze rese sarebbe emersa la cura riservata agli animali, in particolare il fatto che nell'autovettura era stata lasciata una ciotola con dell'acqua ed il finestrino era stato lasciato aperto per far circolare l'aria. 2) Mancanza di motivazione in ordine all'elemento oggettivo del reato contestato, poiché difetterebbe il presupposto della detenzione degli animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze. 3) L'istruttoria dibattimentale non avrebbe fornito un quadro probatorio dei fatti sufficiente a dimostrare la colpevolezza degli imputati, al di là di ogni ragionevole dubbio, poiché i testimoni avrebbero riferito che l'autovettura era stata lasciata all'ombra, e comunque all'interno del centro commerciale in cui si trovavano gli imputati non vi era un'area destinata alla custodia degli animali. 4) I ricorrenti, infine, hanno lamentato l'eccessività della pena inflitta, la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche nonché del beneficio della sospensione condizionale della pena.

Con ordinanza del 20 dicembre 2011, la Corte di Appello di Torino ha convertito l'impugnazione in ricorso per cassazione, trasmettendo gli atti a questa Corte.

Considerato in diritto

1. Il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono infondati. Giova premettere che le censure prospettate dal ricorrente tendono a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all'apprezzamento del materiale probatorio, che devono essere rimessi all'esclusiva competenza del giudice di merito, mirando a prospettare una versione del fatto diversa e alternativa a quella posta a base del provvedimento impugnato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148), il giudizio di legittimità - in sede di controllo sulla motivazione - non può concretarsi nella rilettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione o nell'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perché ritenuti maggiormente plausibili.

2. Per quanto attiene al reato di cui all'art. 727 c.p., la giurisprudenza di legittimità ha affermato (cfr. Sez. 3, n. 175 del 13/11/2007, Mollaian, Rv. 238602), che ai fini dell'integrazione degli elemento costitutivi, non è necessaria la volontà del soggetto agente di infierire sull'animale, né che quest'ultimo riporti una lesione all'integrità fisica, potendo la sofferenza consistere in soli patimenti. D'altra parte, la nozione di abbandono va intesa non solo come volontà di interrompere ogni accadimento dell'animale, ma anche come omesso adempimento da parte dell'agente dei propri doveri di custodia e cura.

Orbene, nel caso di specie, la parte motiva della sentenza impugnata non presenta errori giuridici od illogicità, poiché il giudice di merito ha fatto corretta applicazione del principio sopra richiamato. È stato accertato, infatti, che i due animali erano stati lasciati all'interno di un'autovettura esposta ai raggi solari durante la stagione estiva, per almeno 5 ore e 20 minuti, con un minimo ricambio di aria ed una ridotta scorta di acqua, e ciò aveva comportato un peggioramento delle condizioni di vita degli animali. Sotto il profilo soggettivo, il giudice di merito ha individuato gli elementi integranti il giudizio di colpevolezza degli imputati, sottolineando la negligenza degli imputati, consistita nell'aver lasciato gli animali per lunghissimo tempo nell'abitacolo, ambiente destinato a surriscaldarsi. In definitiva, questa Corte ritiene che il giudice di merito abbia fornito congrua motivazione quanto alla affermata responsabilità degli imputati per il reato di cui all'art. 727 c.p..

2. Risulta, invece, fondato l'ultimo motivo di ricorso, relativo alla mancata concessione dei benefici di legge, atteso che il giudice non è obbligato a motivare la mancata concessione della sospensione condizionale della pena, né ad esaminare la questione, nel caso in cui l'imputato non abbia fatto espressa richiesta di applicazione del beneficio (cfr. Sez. 3, n. 23228 del 12/04/2012, Giovanrosa, Rv. 253057), ma debba invece fornire esaustiva risposta qualora il beneficio sia stato espressamente richiesto ed egli abbia ritenuto di negarlo. Invero, dal testo della sentenza impugnata risulta che il difensore degli imputati, all'udienza del 6 maggio 2010, aveva formulato un'espressa richiesta in tal senso. Tuttavia, nella parte motiva della sentenza impugnata non si rinviene alcun riferimento alle ragioni della mancata concessione della sospensione condizionale della pena.

Di conseguenza, alla luce di tali considerazioni, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente all'omessa pronuncia sulla richiesta dei benefici di legge con rinvio al Tribunale di Alessandria; il ricorso deve essere rigettato nel resto.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente all'omessa pronuncia sulla richiesta dei benefici di legge con rinvio al Tribunale di Alessandria; rigetta nel resto il ricorso.




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