-  Cariello Maria  -  14/05/2014

OMOSESSUALITA' CONIUGE, ADDEBITO E AFFIDO - Trib. Milano 19 marzo 2014 - Maria CARIELLO

La sentenza del Tribunale di Milano sez. IX civ.del 19 marzo 2014 (Pres. Servetti, est. O. Canali), si colloca nel solco, tracciato dalla Suprema Corte (Cass. civ. 601/13), secondo cui si tratta di "un mero pregiudizio" il ritenere che "sia dannoso per l'equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale"..

Senza cedere all'utilizzo di parametri astratti, apprezziamo la decisione in commento nel vagliare tutti gli interessi coinvolti, primariamente il best interest del minore e secondariamente il contesto sociale nel quale le persone coinvolte si trovano ad interagire. Valorizzando così la stabilità degli affetti, registrando una diversa prudenza nel rapporto tra il minore ed il partner del genitore, all'esito di una compiuta analisi delle circostanze in concreto occorse, il Tribunale di Milano dichiara che la   "scoperta" o, la slatentizzazione di una omosessualità prima mai colta né sperimentata – cui sia conseguita la interruzione della famiglia eterosessuale– non può costituire motivo di addebito della separazione nè ragione tale da escludere l'affido condiviso dei figli .

Quello del superiore interesse del minore è un tema assai arato nella giurisprudenza ricavandosi che coincide con la tutela prioritaria del di lui interesse psico-fisico e quindi del di lui diritto alla salute come tutela delle migliori condizioni di sviluppo possibili.

La Corte di Giustizia non ha mancato di operare una correlazione fra l'art.7 della Carta di Nizza e l'art.8 CEDU 1^paragrafo che il primo riproduce fedelmente omettendo di inglobare, il secondo paragrafo della medesima disposizione.   Per far ciò la Corte di Giustizia- Corte giust. 5 ottobre 2010, causa C¬400/10 PPU, J. McB.- nel verificare la portata del Reg. CE 2201/2003, ha precisato che "l'art. 7 della Carta, citato dal giudice del rinvio nella sua questione, deve essere letto in correlazione con l'obbligo di tener conto del superiore interesse del minore, sancito all'art. 24, n. 2, della Carta medesima, e segnatamente del diritto fondamentale del bambino di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con entrambi i genitori, quale enunciato all'art. 24, n. 3."

La digressione che precede appare utile per affermare che nel concetto di superiore interesse del minore la Corte di Giustizia ingloba un altro fascio di interessi che necessariamente coinvolge i diritti dei genitori.   La correlazione fra l'art.24 2^ paragrafo e l'art.24 3^ paragrafo, alla cui stregua "Ogni bambino ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse" segna la prospettiva di Lussemburgo: l'interprete deve far viaggiare tutti i diritti delle parti su binari che necessariamente si intersecano, di guisa che l'omessa considerazione di uno di quei diritti incide sulla tutela dell'altro (ivi incluso quello del minore, parte comunque in senso sostanziale Corte Cost. 83/2011).

Si ritiene quindi che "gli interessi del minore" siano due: mantenere i legami con la sua famiglia, a meno che non sia dimostrato che siano indesiderabili, e potersi sviluppare in un ambiente sano (Elsholz contro la Germania [GC], n. 25735/94, e Maršálek contro la Repubblica Ceca, n. 8153/04, 7), dovendo il tribunale adottare un approccio concreto come fatto dal Tribunale di Milano con la decisione in commento.

Tornando al caso che ci occupa, con ricorso depositato in data 15.3.2012 il sig. AA, premesso il matrimonio con BB celebrato in data ..1999 in ... (Spagna) trascritto nei registri dello Stato Civile del Comune di ..., anno ..), in costanza del quale nascevano le figlie .. (...2001) e .. (..2006) chiede la separazione coniugale con addebito alla moglie avendo la stessa intrapreso una "stabile relazione affettiva" con tale sig.ra ...".

In corso di causa veniva disposta una CTU che – rilevava le difficoltà del marito di relazionarsi con le proprie emozioni e con i propri sentimenti e la incapacità\difficoltà di "far fronte alla situazione conflittuale con la moglie e con la nuova situazione sentimentale della donna".

Tuttavia tale contesto non appariva connotato da caratteristiche diverse rispetto alle consuete dinamiche sottese dalla separazione coniugale ( sia pure in presenza di altre figure in veste di 'nuovo\a' compagno\a per i genitori), fatta salva l'opportunità – segnalata dalle relazioni peritali -di non coinvolgere le minori nei nuovi rapporti di coppia dei genitori rispettando le figure adulte le sensibilità delle bambine non rimarcando il ruolo dei nuovi compagni\e dei genitori sino ad una futura fase di maturazione .

Emerge dalla lettura degli atti, come la rottura dell'unione sia in realtà da ascrivere ad una più articolata crisi coniugale originata da non risolte dinamiche intrapsichiche di ciascuno dei coniugi , che precede la relazione intrattenuta dalla moglie, le cui modalità comunque non sono risultate lesive della reputazione sociale del marito.

Il Tribunale nel rigettare la domanda di addebito del marito, evidenza come la "scoperta" o, meglio la slatentizzazione di una omosessualità prima mai colta nè sperimentata (quanto meno a livello cosciente) e l'individuazione nella signora ... di un punto di riferimento "sostitutivo" di quello già costituito dal marito - ma ormai non più saldo né gratificante - ha verosimilmente reso la signora BB inadeguata a quel rapporto di coppia in cui il suo "nuovo" orientamento sessuale non poteva più consentire la condivisione fisica e non poteva, pertanto, più giocare la sua ordinaria funzione di complementarietà e rafforzamento dell'unione; di talché se la relazione con la signora ... si presenta come l'"essere causa" ultima della rottura matrimoniale, non rivela i tratti della "colpa".

Il Tribunale conferma l'affidamento condiviso con collocamento prevalente presso la madre ed un ampio diritto di frequentazione del padre, evitando la frequentazione delle minori con la compagna della madre.

Tuttavia la non risolta rigidità del padre ad affrontare la relazione della moglie e le difficoltà di quest'ultima di "fare chiarezza" con le figlie circa il suo rapporto con la signora CC, inducono a demandare ai Servizi Sociali un percorso di sostegno volto (anche) ad individuare tempi e modalità che consentano ad entrambi di "preparare" le figlie alla nuova situazione, affettiva e di coppia, della madre.

Molti di noi rammenteranno come già nel 2010 la pronuncia di un Giudice di Nicosia stabilì che «l'eventuale relazione omosessuale della madre separanda, laddove non comporti pregiudizio per la prole, non costituisce ostacolo all'affidamento condiviso dei minori ed alla individuazione della dimora degli stessi presso l'abitazione della madre».

Vicenda che seguiva quelle (ma in quel caso era il padre ad avere una relazione omosessuale) registrate a Bologna, Napoli, Catanzaro e nel gennaio 2014 Palermo .

La sentenza n. 601/2013 della Suprema Corte di Cassazione provocò non poco rumore, affrontando contestualmente all'elemento culturale e religioso, quello dell'omosessualità del genitore, al bando meri "pre-giudizi" (citati nel testo del provvedimento) interrogandosi la Corte sulla gerarchia valoriale secondo la quale deve essere educato il minore.

Per quanto concerne l'influenza dell'omosessualità sulla genitorialità, i giudici applicarono la regola dell'onere della prova: non è sufficiente riferire di non specificate "ripercussioni negative sul piano educativo e sulla crescita del bambino, dell'ambiente familiare in cui questi viveva presso la madre: specificazione la cui mancanza era stata appunto stigmatizzata dai giudici d'appello" (p. 8)laddove "alla base della doglianza del ricorrente non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza, bensì il mero pre-giudizio che sia dannoso per l'equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omossessuale. In tal modo si dà per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare per il bambino, che dunque correttamente la Corte d'appello ha preteso fosse specificamente argomentata" (pp. 8 e 9).

A seguire il T. M. di Bologna il 31 ottobre 2013 stabilì l'affidamento temporaneo di una bimba di 3 anni a una coppia omosessuale, valutata dai giudici e dai servizi una coppia 'stabile e affidabile' in possesso delle condizioni di serenità e benessere richieste dalla legge per la piccola che vive in un contesto familiare difficile nella stessa città e conosce bene i due gay, tanto da chiamarli 'zii' assenti legami di parentela.

Il Tribunale felsineo rilevò, come l'art. 2 della legge 4 maggio 1983, n. 84 - "Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori" (come modificata dalla legge 28 marzo 2001 n. 149), consenta di disporre l'affidamento del minore "ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola in grado di assicurargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno" o, in via residuale, ad una comunità di tipo familiare; soluzioni che seguono un ordine, decrescente di preferenza cosicchè può farsi luogo ad un affidamento ad "una persona singola" solo in assenza di una famiglia preferibilmente con figli minori.

Rilevata la diversità degli istituti dell'adozione e dell'affidamento, in materia di affido non possono, essere escluse le coppie di fatto come quelle di consanguinei ovvero dello stesso sesso, purchè, stabili ed idonee ad assicurare al minore mantenimento, educazione, istruzione e relazioni affettive di cui ha bisogno. Anche lì il Tribunale richiamava l'assenza di certezze scientifiche o dati di esperienza, sulla convinzione che sia dannoso per l'equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale.

Vero è che le decisioni della CEDU hanno influenzato non poco gli orientamenti interni.

Già la Risoluzione n. 1226 (2000), "Esecuzione delle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo", adottata dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa già il 28 settembre 2000 (30^ sessione) aveva affermato che la giurisprudenza della Corte EDU, in forza del principio di sussidiarietà, costituisce parte integrante della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ed ha efficacia vincolante erga omnes. Nel 2007 le sentenze della Corte Costituzionale nn. 348 e 349 attribuirono alla Convenzione, nell'interpretazione offertane dalla Corte di Strasburgo, la veste di norma parametro cui deve sottostare il legislatore interno nella prospettiva di cui all'art. 117 Cost..

L'art. 6 del Trattato, dichiara che l'Unione europea aderisce alla Convenzione EDU i cui diritti fondamentali "fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali", se risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri ". Poiché detta Convenzione è vigente nell'interpretazione che la Corte di Strasburgo ne dà, è evidente la rilevanza della giurisprudenza EDU, per il giudice nazionale in particolare per l'area del diritto delle persone minori di età e della loro tutela, caratterizzata dal difetto del sindacato di nomofilachia.

E così a poche settimane dalla decisione di Bologna, i giudici del Tribunale per i minorenni di Palermo,con decreto del 4 dicembre 2013, confermano l'orientamento favorevole all'affidamento di un minore ad una coppia dello stesso sesso, affermando che «la circostanza che tali adulti abbiano il medesimo sesso» non «può per ciò solo considerarsi ostativa all'affidamento eterofamiliare, tenuto conto, per un verso, dell'assenza nella normativa nazionale di una precisa disposizione al riguardo specificamente riferibile all'affido del minore che non versi in stato di abbandono, e, per altro verso, dell'ampio concetto di legame familiare quale elaborato – con esplicito richiamo alle unioni omosessuali – anche dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo (24.6.2010, Schalk e Kopf c/ Austria), in aderenza ai dettami della Carta di Nizza, che impedisce le discriminazioni fondate sul sesso e sull'orientamento sessuale».

Come rilevato dalla Corte di Cassazione nella sentenza del 15 marzo 2012 n. 4184, per effetto della interpretazione data all'art. 8 CEDU dai giudici di Strasburgo la nozione di famiglia è già mutata nell'ordinamento italiano, includendo le famiglie formate da persone dello stesso sesso.

Proprio dall'evoluzione del concetto di "famiglia" i giudici palermitani affermano che «se a livello sovranazionale la nozione di famiglia ha una portata più ampia di quella unione tra due individui cui il legislatore italiano riconosce effetti giuridici, e se la L.184/83, si iscrive in tale contesto, non v'è alcun ostacolo all'affidamento di un minore ad una stabile coppia costituita da persone dello stesso sesso».




Autore

immagine A3M

Visite, contatti P&D

Nel mese di Marzo 2022, Persona&Danno ha servito oltre 214.000 pagine.

Libri

Convegni

Video & Film