-  Conzutti Mirijam  -  27/09/2012

PATTO DI FAMIGLIA E DONAZIONI PREGRESSE- Mirijam CONZUTTI

Sintetica introduzione nel nuovo istituto del patto di famiglia.

Questione; compatibilità con il patto delle pregresse donazioni.

 

Il Legislatore, con la legge 14 febbraio 2006 n. 55, ha previsto una deroga al generale divieto di stipulare patti successori, mediante l"introduzione nell"ordinamento di un nuovo contratto rubricato all"art 768bis "patto di famiglia". La ratio della riforma consiste nel tutelare le piccole e medie imprese, garantendo loro la continuità e la sopravvivenza sul mercato. I primi commentatori della legge, che non è stata ad oggi oggetto di analisi giurisprudenziale, hanno precisato che il Legislatore con questo nuovo istituto ha creato una forma contrattuale ibrida, posta al riparo dal regime delle successioni e dalla disciplina generale dei contratti; segnatamente, per quanto riguarda le successioni, il fine è quello di preservare l"azienda dalla collazione e dalla riduzione, per quanto concerne invece il regime contrattualistico, con la previsione di un termine di prescrizione breve di in anno per l"impugnazione e il ricorso alla cd ADR, ovvero alla conciliazione preventiva dinanzi agli organismi di conciliazione stragiudiziale previsti dall"art 38 del dlgs n.5/2003, si è cercato di arginare l"applicazione delle rigide regole di matrice civilistica.

Il patto di famiglia è quindi lo strumento con il quale l"imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l"azienda nonché, il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote ad uno o più discendenti, generalmente quello che dimostra maggiore attitudine a continuare l"attività. Si tratta di un contratto traslativo ad efficacia reale, per il quale è richiesta la forma solenne dell"atto pubblico a pena di nullità.

Il patto di famiglia consta di tre fasi; la prima è rappresentata dell"assegnazione ed è effettuata dal disponente a favore dell"assegnatario, con il consenso di tutti i partecipanti; la seconda si identifica nella determinazione del valore dell"assegnazione, fatta da tutti i partecipanti all"unanimità, eventualmente su perizia allegata all"atto; infine, l"ultima fase è quella della liquidazione della quota dall"assegnatario ai non assegnatari, con il consenso di tutti i partecipanti, che può essere anche non contestuale al patto. Il consenso dei partecipanti ad ognuna di queste tre fasi, seppur non desumibile dalla lettera della norma, si ritiene preferibile da parte della prevalente dottrina.

La dottrina ha cercato di appurare se il patto di famiglia sia un contratto bilaterale o plurilaterale. Parte degli Autori, favorevoli alla tesi della bilateralità, ritengono che il disposto normativo "devono partecipare ", non starebbe ad indicare un obbligo a pena di nullità, perché altrimenti non si spiegherebbe il successivo disposto che consente un intervento successivo nel contratto espressamente dichiarato e collegato al primo, nonché il riferimento agli altri legittimari che non hanno partecipato al patto. L"espressione, piuttosto, vuole precisare l"onere che l"assegnatario ha di invitare tutti i legittimari non assegnatari, perché la mancata partecipazione di quest"ultimi comporterebbe l"inopponibilità ad essi della determinazione del valore della liquidazione e dei loro diritti di legittima; mentre, nel caso in cui i legittimari fossero stati regolarmente convocati, il loro mancato intervento darebbe luogo all"esperibilità dei diritti loro spettanti solo alla morte del disponente. Secondo questa dottrina, il patto è un contratto bilaterale tra assegnatario e disponente, mentre i legittimari sono terzi che intervengono a tutela del proprio diritto, in analogia a quanto previsto dal 113 c.c. A suffragio di tale conclusione vi sarebbe il dato letterale, laddove l"art 786 bis, nel definire il patto di famiglia, prende in considerazione solo il disponente e l"assegnatario; inoltre, le disposizioni successive si riferiscono ai legittimari come "partecipanti" e non come "contraenti". Non da ultimo, la rubrica dell"art. 768 sexies, definisce i legittimari come "terzi". Altra parte della dottrina sostiene, invece, che sono parti contraenti tutti gli intervenuti al patto, ma che non tutti i potenziali legittimari non assegnatari sono parti necessarie; affinché, però, si possa parlare di patto è necessaria la presenza almeno di un non assegnatario, altrimenti si ricadrebbe nella disciplina della donazione. È evidente che la definizione di contratto plurilaterale, con la necessaria presenza di tutti i potenziali legittimari non assegnatari, ovvero la non necessaria presenza degli stessi, ha delle ripercussioni sul piano della tutela a vedersi commutati i diritti di legittima nella liquidazione in denaro o in natura, con la conseguente perdita della possibilità di chiedere la riduzione o la collazione. Appare, pertanto, preferibile la tesi secondo cui è necessaria la presenza di tutti i potenziali legittimari esistenti al momento della stipula del patto a pena di nullità del contratto, perché il loro consenso rende stabile il contratto e, soprattutto, opponibile ai terzi.

Sul piano ontologico, nonostante il patto di famiglia sia gratuito, non può ritenersi ascrivibile allo schema della donazione, perché manca l"animus donandi.

La qualificazione risulta problematica anche dal punto di vista fiscale, perché solo l"atto del trasferimento verrebbe considerato gratuito, mentre gli altri atti dei legittimari sarebbero considerati cessioni di diritti a titolo oneroso.

Secondo alcuni autori, il patto di famiglia non è un" ipotesi del patto successorio espressamente sottratto al divieto codicistico. Secondo altri, invece, il patto di famiglia è un contratto trilaterale, laddove i non assegnatari costituirebbero la parte plurisoggettiva, e con esso si realizza un"anticipata divisione successoria attraverso il trasferimento inter vivos, in cui il non assoggettamento a collazione o alla riduzione di ciò di cui si è disposto nel contratto, elimina ogni eventuale contrasto post mortem, tanto più che, tranne che per l"azienda, i contraenti potranno rinunciare anche agli altri beni, quando si aprirà la successione. Opinione autorevole, sostiene che si tratta di divisione successoria, o meglio, di un"anticipazione di quest"ultima. Un"altra teoria è quella del negozio divisionale; si tratterebbe della cd divisio inter liberos – divisione tra i figli, disciplinata nel codice del 1865 e non più ripresa dal codice civile del 1942; tale matrice non è, però, idonea a spiegare la fattispecie del patto, atteso che il destinatario del patto può essere un discendente, ma può trattarsi anche di un nipote che, ove fosse in vita il padre, non sarebbe nemmeno legittimario. Secondo altra dottrina il patto sarebbe un negozio a favore di terzi; a sostegno di tale interpretazione militerebbe la rubrica dell"art 768 sexsies "rapporti con i terzi" che con tale accezione si riferirebbe non ai creditori o agli aventi causa, ma ai suoi legittimari sopravvenuti. Anche quest"ultima tesi è criticata, perché il patto è configurabile solo a favore dei legittimari non assegnatari.

La dottrina più evoluta definisce questo negozio come un nuovo negozio tipico di trasferimento, gratuito ma non donativo, con una causa complessa, derivante dalla combinazione dell"assegnazione e della liquidazione. Invero, il patto di famiglia potrebbe essere considerato gratuito per il trasferente, oneroso per l"accipiens.

Seguendo la tesi, secondo cui anche i non assegnatari sono parti necessarie, diventa difficile ravvisare nel patto di famiglia una donazione; potrebbe, pertanto, trattarsi di una liberalità non donativa tipica cui sarebbero applicabili le norme sostanziali in materia di donazione, nei limiti in cui compatibili con il nuovo istituto.

Altra parte della dottrina assegna al patto di famiglia una causa di segregazione del bene rispetto al residuo patrimonio.

In disparte la disputa sull"individuazione della causa del nuovo contratto, parte della dottrina sostiene che il patto è un negozio inter vivos e non un patto successorio. Le ragioni sono costituite dal fatto che il negozio attributivo è efficace dalla stipula e non dalla morte del disponente; l"oggetto dell"assegnazione è determinato con riferimento al momento della stipula, mentre il patto successorio si riferisce al momento dell"apertura della successione. Infine, beneficiari sono coloro che esistono al momento dell"apertura della successione, mentre i beneficiari del patto sono coloro che sarebbero legittimari ove si aprisse la successione al momento della stipula di esso. Tale indirizzo dottrinario non è pacifico, perché autorevoli studiosi ritengono di individuare nel patto di famiglia un patto successorio dispositivo o di carattere rinunciativo, che si traduce nell"accettazione della liquidazione o nella sua rinuncia; quest"ultimi, infatti, accettando la liquidazione dispongono della loro liquidazione, mentre, ove rinunciassero alla liquidazione, rinuncerebbero anche ai diritti successori senza corrispettivo.

Il trasferimento deve avvenire nel rispetto delle regole in tema di impresa famigliare e quanto alle partecipazioni, nel rispetto delle differenti tipologie societarie.

Per quanto concerne il requisito soggettivo, il dante causa è chiunque eserciti l"attività d"impresa, mentre aventi causa possono essere uno o più discendenti del dante causa, scelti dallo stesso secondo le migliori attitudini per continuare nella gestione dell"impresa. Affinché si possa parlare di imprenditore, occorre che l"attività di impresa sia già iniziata e che non si trovi in una fase di mera organizzazione o che sia, addirittura, cessata. Alla luce di ciò, secondo migliore dottrina, sarebbero da escludere dal patto di famiglia i trasferimenti aventi ad oggetto partecipazione in società di godimento, piccole partecipazioni in società quotate in borsa e, in genere, partecipazioni di minoranza. Questo non preclude che nel patto possano rientrare anche trasferimenti di partecipazioni minoritarie, a condizione che sia possibile riscontrare un collegamento con l"attività d"impresa del disponente.

A norma del terzo comma 768 quater, le quote, le azioni o il pagamento di una somma equivalente al valore delle quote ereditarie liquidate ai partecipanti, possono essere consegnate contestualmente alla stipula del patto, oppure anche con successivo contratto espressamente collegato al patto. Pertanto, i requisiti richiesti a pena di nullità sono le parti soggettive identificate così come sopra indicarto, la dichiarazione espressa della causa, nonché, ove la liquidazione non è contestuale al patto, l"espressa dichiarazione del collegamento negoziale. La particolarità dello schema contrattuale del collegamento, ne determinerà, in caso di invalidità, la caducazione automatica del contratto a valle.

La norma contenuta nel disposto di cui all"art 786 quater comma 2, prevede espressamente che il discendente assegnatario dell"azienda ( o delle partecipazioni sociali) deve corrispondere agli altri famigliari partecipanti il valore pari alla quota di riserva. Nel caso, invece, in cui sia lo stesso disponente a voler esaudire le pretese degli altri potenziali legittimati, autorevole dottrina ritiene che le liberalità effettuate dal disponente a favore dei legittimari non assegnatari, devono imputarsi alla quota di legittima dei medesimi ai sensi del 564 comma 2.

La liquidazione fatta direttamente dal disponente risponde ad un"esigenza pratica, in quanto tendenzialmente l"assegnatario è una persona giovane che non ha esperienza, né cospicue somme da liquidare immediatamente ai non assegnatari; per evitare che si rivolga a dei finanziamenti, oppure che con una clausola differisca la liquidazione ad un periodo successivo alla morte del disponente, rischiando in questo caso di sconfinare nel patto successorio, si è ritenuto opportuno che la liquidazione possa essere effettuata anche dal disponente. Sul punto non vi è concordia di opinioni perché sembra prevalere la tesi secondo cui il patto di famiglia presuppone che la liquidazione avvenga per mano dell"assegnatario. Infatti, se provenisse direttamente dal disponente, essa darebbe vita ad una liberalità ordinaria non compresa nel patto e, pertanto, soggetta a collazione e riduzione con disparità di trattamento rispetto all"assegnatario. Si precisa, inoltre, che se la norma consentisse al disponente di attribuire ai non assegnatari, a titolo di liquidazione, beni diversi dall"azienda o dalla partecipazioni sociali, vi sarebbe un"illegittimità costituzionale, perché l"imprenditore sarebbe trattato diversamente dal soggetto non imprenditore con la possibilità di disporre beni non consistenti in aziende e partecipazioni sociali. L"ascendente potrebbe, altresì, liquidare i legittimari non assegnatari in qualità di terzo adempiente o espromittente. In questi casi, se alla base di tale operazione non vi fosse una causa diversa a giustificazione tale adempimento, ciò darebbe vita ad una liberalità indiretta a favore dell"assegnatario che, in quanto tale, soggetto a collazione e riduzione.

Un rilevante ordine di questioni è sollevato dalla possibilità o meno di attirare le donazioni pregresse al patto nella dinamica del nuovo istituto, stipulato successivamente alle stesse. Il problema consiste nel verificare se è possibile o meno, causalmente riqualificare le donazioni precedenti al patto, sì da sottoporle alla disciplina del patto e, conseguentemente, sottrarle alla collazione e alla riduzione. Sul punto, due le tesi che si contendono il campo. Secondo una prima interpretazione ermeneutica, la riqualificazione causale di un negozio giuridico che ha già esaurito i suoi effetti, non è giuridicamente possibile. In questo caso, l"unica soluzione prospettabile sarebbe quella della risoluzione della donazione per mutuo dissenso.

A questa tesi negativa, si oppone altra dottrina che, invece, ritiene ammissibile un accordo con il quale le parti riqualificano le donazioni pregresse al patto, facendole così rientrare nel regime del patto di famiglia. A suffragio di ciò vi è l"assunto, sopra sinteticamente riportato, secondo cui non è necessario che il patto e la liquidazione debbano coincidere sul piano cronologico. Pertanto, in sede di accordo successivo al patto, che avrà la funzione di liquidare quanto dovuto con il patto, sarà possibile rideterminare il valore del bene assegnato prima del patto a titolo gratuito, recuperando altresì la contestualità del regolamento precedentemente espresso. L"accordo integrativo, così qualificato, non elimina l"effetto negoziale ( della pregressa donazione) già esaurito con la conclusione del patto, ma lo presuppone. Si può ritenere che l"accordo così definito incide sugli aspetti futuri del rapporto determinando, al contempo, la sottrazione di quella che in origine era una donazione classica alla disciplina che le era propria, per "riqualificarla" e sottoporla al regime del patto di famiglia. Secondo gli interpreti che seguono questa impostazione, questa soluzione sarebbe possibile perché l"accordo integrativo, rispetto alla donazione riqualificata, avrebbe una fonte diversa, consistente in un nuovo contratto; diverse sarebbero anche le parti, ovvero gli altri legittimari e diverso altresì il contenuto, consistente nella liquidazione. Secondo parte della dottrina, ciò sarebbe possibile perché la massa oggetto del patto di famiglia, sarebbe da considerarsi come una massa diversa; è come se morissero due persone diverse, pertanto il bene precedentemente donato può essere attratto al patto nel regime del patto. Secondo questa interpretazione ermeneutica, riqualificando le donazioni pregresse si preserva l"assegnazione dell"azienda e non si attribuisce all"assegnatario ulteriore vantaggio. Normalmente ciò che è esente da collazione è esente anche dall"imputazione ex se, dunque, anche dalla riunione fittizia. Afferma, invece, autorevole dottrina che quanto assegnato con il patto di famiglia non è soggetto a riunione fittizia, ma l"imputazione ex se si effettuerebbe all"epoca dell"apertura della successione, e non tanto alla stipula del patto. Gli autori che seguono la teoria della successione separata, invece, sostengono che i beni assegnati a titolo di patto di famiglia sono totalmente autonomi rispetto al patrimonio residuo del disponete e che essi non formano oggetto di riunione fittizia.

La soluzione prospettata dalla dottrina che accoglie la tesi della riqualificazione delle donazioni, consentirebbe di superare i limiti insiti negli schemi tradizionali quali la novazione, il negozio di accertamento o la transazione. Per quanto concerne la novazione, questa non potrebbe trovare cittadinanza nel caso di specie, perché la situazione che nasce dall"accordo integrativo, non presuppone la sussistenza di un"obbligazione in atto. Per quanto concerne il negozio di accertamento, la soluzione negativa è dovuta alla mancanza di una situazione di incertezza, avendo l"accordo integrativo la funzione di riqualificare le pregresse donazioni e non risolvere situazioni di incertezza. Infine, per quanto concerne il contratto di transazione, quest"ultimo non è applicabile per la ovvia ragione che non c"è una lite in corso, né è necessario prevenirne una.

In definitiva, secondo parte della dottrina, le pregresse donazioni, attraverso un accordo causalmente ed espressamente collegato al patto di famiglia, possono essere attratte nella disciplina del patto.




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