-  Valeria Cianciolo  -  13/03/2017

Per la risarcibilità del danno da lesione del rapporto parentale non basta Facebook – di Valeria Cianciolo

Nota a Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 9 febbraio – 9 marzo 2017, n. 11428

Il fatto. Un giovane moriva a seguito di un incidente  stradale. Si costituivano parte civile i due zii.

Secondo la Corte, la parte civile avrebbe dovuto provare la presenza di un diretto e significativo rapporto tra il nipote e gli zii (la parte civile) che costituiva il presupposto del diritto al risarcimento.

Il sistema italiano. Il sistema italiano sul danno alla persona si è caratterizzato negli ultimi cinque lustri in questo modo: da un lato, i giudici hanno voluto aggiungere, accanto alle voci tradizionali di danno conosciute dal codice civile - il danno patrimoniale (consistente nelle perdite subite e nei mancati guadagni ex art. 1223 c.c.) e il danno non patrimoniale, così come regolato dall"art. 2059 c.c. - il danno biologico, come figura di danno autonoma che va risarcita in modo eguale per tutti secondo determinati criteri di calcolo dalla giurisprudenza messi a punto con apposite tabelle.

A questo punto, dall"altro lato, si è posto il problema di superare le originarie preoccupazioni in ordine ad un eccessivo allargamento della cerchia dei risarcibili, a favore di una posizione aperta alla tutela di un novero non astrattamente predeterminabile di soggetti legati al defunto. E" la necessità di bilanciare l'esigenza di evitare il pericolo di una dilatazione ingiustificata dei soggetti danneggiati con quella di assicurare la tutela di valori costituzionalmente garantiti.

L'interesse al risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione del congiunto, per la definitiva perdita del rapporto parentale, si concreta nell'interesse all'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia, all'inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito della peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 Cost.) e si colloca nell'area del danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c. c. e, quale danno-conseguenza, non coincide con la lesione dell'interesse (non è in re ipsa) e coma tale deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento.

Il principio che è possibile ricavare dalla pronuncia è pertanto quello secondo il quale la convivenza, unitamente alla parentela, rappresenta la condizione minima che consente di accedere al ristoro extrapatrimoniale in parola attraverso un regime di presunzioni uguale a quello, assai robusto, operante in caso di membri della famiglia nucleare. Il parente non convivente, non ammesso a provare il contrario, risulta così inserito in una vera e propria categoria di soggetti cui il risarcimento del danno in discussione è precluso tout court proprio perché la coabitazione viene elevata da mero epifenomeno ad elemento ontologico del rapporto parentale tutelato ex art. 2059 c.c., rappresentando il «connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l'intimità dei rapporti parentali, anche allargati, caratterizzati da reciproci vincoli affettivi, di pratica della solidarietà, di sostegno economico».

Non solo.

Trova applicazione il principio secondo il quale la risarcibilità dei danni morali per la morte di un congiunto causata da atto illecito penale richiede, oltre il vincolo di stretta parentela, un presupposto che riveli la perdita appunto di un valido e concreto sostegno morale.

La giurisprudenza della Cassazione, dando atto di due contrapposti orientamenti, ha recentemente richiamato un indirizzo risalente nel tempo, affermando che "nell'ambito del danno non patrimoniale da perdita di congiunto…per essere giuridicamente qualificato e rilevante deve essere ancorato alla convivenza, escludendo che, in assenza di questo presupposto, possa provarsi in concreto l'esistenza di rapporti costanti e caratterizzati da affetto reciproco e solidarietà con il familiare defunto." (Sez. 3^ civ. n. 4253, 16 marzo 2012, che riprende Sez. 3^ civ. n. 6938, 23 giugno 1993, menzionata anche in ricorso).

Le ragioni sulle quali si fondano tali conclusioni vengono individuate: nella configurazione "nucleare" della famiglia, incentrata su coniuge, genitori e figli, come emergente dalla Costituzione;

Viene, dunque, individuata la convivenza come "connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l'intimità dei rapporti parentali, anche allargati, caratterizzati da reciproci vincoli affettivi, di pratica della solidarietà, di sostegno economico", specificando che "solo in tal modo il rapporto tra danneggiato primario e secondario assume rilevanza giuridica ai fini della lesione del rapporto parentale, venendo in rilievo la comunità familiare come luogo in cui, attraverso la quotidianità della vita, si esplica la personalità di ciascuno (art. 2 Cost.)".

La Cassazione ha richiamato più volte il principio secondo il quale la risarcibilità dei danni morali per la morte di un congiunto causata da atto illecito penale richiede, oltre all'esistenza del rapporto di parentela, il concorso di ulteriori circostanze tali da far ritenere che la morte del familiare abbia comportato la perdita di un effettivo valido sostegno morale, rilevando che deve tuttavia considerarsi come il legislatore non abbia inteso estendere la tutela ad un numero, a volte indeterminato, di persone le quali, "pur avendo perduto un affetto non hanno una posizione qualificata perchè venga in considerazione la perdita di un sostegno morale concreto" e, trattandosi in un caso esaminato dagli Ermellini, di nonni - soggetti che non hanno un vero e proprio diritto ad essere assistiti anche moralmente dai nipoti - si è osservato che si rende necessario "...oltre il vincolo di stretta parentela, un presupposto (es. convivenza) che riveli la perdita appunto di un valido e concreto sostegno morale. Presupposto che la Corte di merito nel caso di specie, non ha ravvisato.

Conclusioni. "Quello che difetta nel caso in esame, come ha correttamente ritenuto la Corte territoriale, è proprio la prova della presenza di quel saldo e duraturo legame affettivo alla cui esistenza le stesse Sezioni Unite civili ancorano la possibile lesione atta a connotare l"ingiustizia del danno e a renderne risarcibili le conseguenze pregiudizievoli, a prescindere dall"esistenza di rapporti di parentela e affinità giuridicamente rilevanti come tali.

Va rilevato, infatti che, a prescindere dalla loro utilizzabilità, come rileva la logica motivazione del provvedimento impugnato che ne sottolinea la "labilità" e "l"inconsistenza", non possono essere certo dei messaggi sms o rapporti intrattenuti sul social forum Facebook a poter far dire provata la sussistenza di tale legame. È esperienza comune, infatti, che, soprattutto i giovani, hanno centinaia e centinaia di "amici" Facebook, con molti dei quali intrattengono rapporti meramente virtuali che, evidentemente, nulla hanno a che vedere con i concetti di "amicizia" e di stabile rapporto affettivo.

Anche di fronte ad una vita scandita dai nuovi strumenti di comunicazione, va dunque confermata la giurisprudenza di questa Corte di legittimità, di cui ha fatto corretta applicazione il provvedimento impugnato, che vuole non possa prescindersi dalla dimostrazione dell"intensità della relazione esistente fra i congiunti e la vittima dell"illecito ed individua nella convivenza il principale elemento di valutazione circa la sussistenza del diritto al ristoro da perdita parentale in capo a congiunti diversi da quelli appartenenti alla ristretta cerchia familiare…" 




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