-  Redazione P&D  -  17/02/2015

PROC. TELEMATICO: NO COPIA CORTESIA? SI' RESPONSABILITA' AGGRAVATA- Trib. Milano, 15/1/15 n.534 - Alessandra GIORGETTI

Processo telematico

Mancato deposito da parte del soccombente di copia cortesia (cartacea) per il giudice della memoria già depositata telematicamente

Condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c.

La decisione qui in esame, la lettura delle cui motivazioni si suggerisce in particolar modo a quanti frequentino nella loro qualità di avvocati le aule del Tribunale di Milano (e più nello specifico quelle della Sezione Fallimentare), potrebbe essere rubricata con il titolo "strano, ma vero".

La fattispecie di per sè non è molto complessa: si tratta di una opposizione allo stato passivo (come le molte che vengono quotidianamente trattate nelle aule dei Tribunali italiani) le cui domande vengono respinte dal Collegio giudicante che in toto, al contrario, accoglie quanto argomentato dalla difesa della procedura fallimentare. La conseguenza diretta di quanto sopra è la condanna della parte opponente alla refusione delle spese di lite; fino a qui nulla di particolare da annotare.

Ma è nella conclusione della motivazione che si rinviene un'aggiunta particolare ed inusuale. Infatti, testualmente viene scritto che "va osservato come parte opponente abbia depositato la memoria conclusiva autorizzata solo in forma telematica, senza la predisposizione delle copie "cortesia" di cui al Protocollo d'Intesa tra il Tribunale di Milano e l'Ordine degli Avvocati di Milano il 26.06.2014, rendendo più gravoso per il Collegio esaminarne le difese. Tale circostanza comporta l'applicazione dell'art. 96, comma 3, c.p.c. come da dispositivo".

Certamente una applicazione ed una interpretazione molto particolare del terzo comma dell'art. 96 c.p.c. da parte del Tribunale meneghino.

E' sicuramente principio generale noto a tutti che, in forza della norma qui in esame, al giudice civile sia riconosciuto il potere di comminare la pena "in ogni caso" (e quindi, probabilmente, per quanto scritto dal giudice milanese anche in caso di maggior aggravio e difficoltà del Giudice nel leggere "a video" le difese delle parti) ovvero a prescindere dalla circostanza che il comportamento della parte soccombente abbia provocato un danno e che quest'ultimo sia stato dimostrato da colui che l'ha subito.

Principio altrettanto indiscusso è che la parte soccombente deve avere agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave (ai sensi del comma 1 del medesimo articolo 96), ponendo in essere un comportamento che abbia travalicato la lealtà processuale a detrimento della posizione della controparte la quale si vede di fatto vittima di iniziative giudiziarie immotivate ad a volte anche ingiuste. In altri termini, la condanna specificatamente prevista dal terzo comma dell'art 96 c.p.c. deriva dal carattere temerario della lite, essendo questo stesso fatto di per sè solo riprovevole e meritevole di punizione adeguata.

La condanna interviene quando una parte di normale diligenza non avrebbe potuto non percepire nitidamente la infondatezza o quantomeno la contrarietà alla doverosa correttezza della sua condotta processuale: quella correttezza che dovrebbe, in sostanza, portarla a comprendere quando non vi è ragione di agire o di resistere. Ma la lettura della sentenza qui proposta non permette di ravvisare nella fattispecie esaminata nessuno degli aspetti sopra schematicamente richiamati per la comodità del lettore.

Non si evidenzia inosservanza del dovere di lealtà e probità nelle parti (e neppure in quella soccombente); non si rileva dolo o colpa grave nel comportamento processuale dell'opponente sconfitto; non emerge un danno causato al resistente dall'omessa consegna alla cancelleria della copia "cortesia" cartacea. A fondamento dell'applicazione del terzo comma dell'art. 96 c.p.c. parrebbe esserci, nel caso di specie, esclusivamente la "colpa" del soccombente di aver reso, con la sua omissione (peraltro le copie "cortesia" non sono custodite in alcun modo nelle cancellerie e quindi ben facilmente potrebbero anche solo smarrirsi) "più gravoso per il Collegio esaminarne le difese".

Ma si ritiene opportuno sottoporre a chi legge anche un ulteriore spunto di riflessione. Tenuto fermo quanto sino a qui posto in evidenza, non bisogna dimenticare che in ogni caso il presupposto della condanna al risarcimento dei danni a titolo di responsabilità aggravata per lite temeraria è la totale soccombenza, con la conseguenza che non può farsi luogo all'applicazione dell'art. 96 c.p.c. - e quindi neppure del suo terzo comma - quando tale requisito non esista. Ed, allora, immediatamente ci si dovrebbe domandare quale avrebbe potuto essere la decisione del Tribunale, ed in particolare la sua motivazione, in un caso inverso a quello oggetto della sentenza qui segnalata: ovvero quello in cui la mancata consegna alla cancelleria della copia "cortesia" per il Giudice fosse stata da addebitarsi non alla parte soccombente bensì a quella vittoriosa (come nella fattispecie, la procedura fallimentare).

La domanda allo stato rimane per la scrivente ancora senza risposta.




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