Giustizia civile  -  Redazione P&D  -  12/04/2022

Procedimento di mediazione e accettazione tacita dell’eredità. Nota a ordinanza n. 10665/2022 - Chiara Bevilacqua

1. Incipit. Il fatto. – 2. L’accettazione tacita dell’eredità. 3.  Mediazione e accettazione tacita: la pronuncia della Corte.

1. Incipit. Il fatto.

Con la pronuncia n. 10665/2022 la Corte di Cassazione ha affermato un importante principio relativo all’attribuzione del valore di accettazione tacita dell’eredità al procedimento di mediazione, anche con riferimento agli effetti interruttivi della prescrizione del diritto di accettazione dell’eredità medesima.

La vicenda trae origine dalla sollevazione, in giudizio, di eccezione di prescrizione del termine di accettazione dell’eredità, da parte del figlio del de cuius nei confronti delle altre due figlie coeredi.

 Nella motivazione della pronuncia oggetto di ricorso, la Corte di merito aveva fatto riferimento al tentativo di mediazione esperito dalle attrici, intervenuto nel decennio dalla morte del de cuius,  in vista della successiva proposizione della domanda di divisione giudiziale. I giudici avevano altresì argomentato circa l’istanza di volturazione catastale dei beni ai fini dell’accettazione catastale.

2. L’accettazione tacita dell’eredità.

Per meglio comprendere la ratio delle argomentazioni di questa interessante sentenza è opportuno fare un breve cenno all’istituto dell’accettazione dell’eredita e agli atti che dottrina e giurisprudenza ritengono indicatori accettazione tacita.

Ai sensi dell’art. 475 c.c., l’accettazione dell’eredità è espressa quando, in un atto pubblico o in una scrittura privata, il chiamato all’eredità ha dichiarato di accettarla oppure ha assunto il titolo di erede.

Ai sensi dell’art. 476 c.c. l’accettazione dell’eredità, oltre che in forma espressa (art. 475 c.c.), può essere tacita.

Affinché tale fattispecie possa realizzarsi, occorre che il chiamato compia un atto che «presupponga necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede».

La norma è certamente da mettere in relazione con l’art. 460 c.c., che indica quali siano gli atti che il chiamato all’eredità può compiere prima dell’accettazione: è chiaro, infatti, che se il chiamato può compiere atti conservativi prima di aver espresso la propria volontà in ordine all’accettazione dell’eredità, da quei medesimi comportamenti non potrà dedursi la volontà dello stesso.

La valutazione della finalità conservativa dell’atto, ovvero della incompatibilità dello stesso con la volontà di rinunciare all’eredità, deve essere valutata caso per caso dal giudice del merito, con decisione non suscettibile di censura in cassazione, se non nel caso di errore di diritto o motivazione illogica o insufficiente.

La linea di demarcazione tra comportamenti comportanti accettazione tacita dell’eredità e atti meramente conservativi non è, peraltro, affatto netta: basti pensare che, con riferimento al caso di riscossione di canoni da parte del chiamato all’eredità è stata riconosciuta, talvolta, la natura di atto di amministrazione temporanea non denotativo di alcuna volontà di accettare, talaltra, la natura di atto dispositivo come tale integrante accettazione tacita dell’eredità.

Questione certamente aperta è quella relativa alla natura giuridica dell’accettazione tacita, se cioè la fattispecie regolata dall’art. 476 c.c. debba essere configurata come negozio o come atto giuridico in senso stretto.

Se, infatti, da un lato si evidenzia come ai fini del riconoscimento della qualità di erede paia necessario accertare non solo l’elemento oggettivo dell’attività svolta, ma anche l’animus del chiamato all’eredità, dall’altro lato si evidenzia come l’utilizzo dell’avverbio «necessariamente» induca a ritenere che per l’applicabilità dell’art. 476 c.c. sia rilevante unicamente l’oggettiva valenza non conservativa dell’atto posto in essere. Per comprendere la rilevanza del tema, basti considerare la diversa incidenza dell’eventuale vizio della volontà nel quale possa essere incorso il chiamato all’eredità.

La stessa giurisprudenza, da un lato, limita l’accertamento al fatto che l’atto compiuto sia, secondo la comune esperienza, tale da implicare la volontà di accettare (si tratti cioè di «atti concludenti e significativi della volontà di accettare», dall’altro, evidenzia la necessità di una valutazione in concreto della volontà del chiamato, tanto da escludere che l’immissione nel possesso dei beni ereditari debba necessariamente essere inteso quale atto univoco dal quale inferire l’accettazione tacita dell’eredità, «potendo anche dipendere da un mero intento conservativo del chiamato o da tolleranza da parte degli altri chiamati».

In linea con tale ultime pronunce, la Suprema Corte ha, del resto, avuto più volte occasione di sottolineare che «l'accettazione tacita di eredità - pur potendo avvenire attraverso negotiorum gestio, cui segua la successiva ratifica del chiamato, o per mezzo del conferimento di una delega o dello svolgimento di attività procuratoria - può tuttavia desumersi soltanto da un comportamento del soggetto successibile e non di altri»: non sarebbe, pertanto, possibile individuare atti di per sé concludenti significativi della volontà di accettare, in assenza di elementi dai quali desumere il conferimento di una delega o la successiva ratifica dell’operato di chi abbia compiuto l’atto.

Di norma, vengono considerate forme di accettazione tacita di eredità: a) la proposizione da parte del chiamato dell’azione di rivendicazione, oppure, l’esperire l’azione di riduzione, l’azione, cioè, volta a far valere la qualità di legittimario leso o, comunque, pretermesso dalla sua quota; b) l’azione di risoluzione o di rescissione di un contratto; c) l’azione di divisione ereditaria, posto che può essere proposta solo da chi ha già assunto la qualità di erede; d) la riassunzione di un giudizio già intrapreso dal de cuius o la rinuncia agli effetti di una pronuncia in grado di appello; e) il pagamento da parte del chiamato dei debiti lasciati dal de cuius col patrimonio dell’eredità; f) ed infine anche la voltura catastale determinerebbe un’accettazione tacita dell’eredità, nella considerazione che solo chi intenda accettare l’eredità assumerebbe l’onere di effettuare tale atto e di attuare il passaggio legale della proprietà dell’immobile dal de cuius a se stesso.

Per quel che qui rileva e con riferimento al comportamento del chiamato all’eredità che curi la voltura catastale dell’immobile è, infatti, ritenuto indicativo della volontà di quest’ultimo di accettare l’eredità, stante la natura non solo fiscale della voltura.

A tal proposito merita segnalare una recente pronuncia della Corte di Cassazione che, a poco più di un anno dall’ultima pronuncia sul punto (Cass. civ., sez. VI, ordinanza 22 gennaio 2020, n. 1438), con ordinanza del 30 aprile 2021 n. 11478, è tornata sulla questione se la voltura catastale degli immobili facenti parte del compendio ereditario comporti necessariamente l’accettazione dell’eredità. Confermando la propria precedente decisione, la Suprema Corte ha ribadito che il comportamento del chiamato all’eredità che, dopo aver presentato la denuncia di successione e pagato la relativa imposta, abbia anche proceduto a volturare a suo nome l’immobile, per ciò stesso compie uno degli atti che, a mente dell’art. 476 c.c., comportano accettazione tacita dell’eredità.

Invero, la voltura catastale dei beni immobili appartenuti al de cuius è un atto rilevante non solo dal punto di vista tributario, per il pagamento dell’imposta, ma anche dal punto di vista civile, per l’accertamento, legale o meramente materiale, della proprietà immobiliare e dei relativi passaggi. Ed infatti, solo chi voglia accettare l’eredità ha l’onere di effettuare siffatto atto, sì da attuare il passaggio della proprietà dal de cuius a se stesso.

3.  Mediazione e accettazione tacita: la pronuncia della Corte.

Oltre alla volturazione catastale, la Suprema Corte di è soffermata sulla valenza del procedimento di mediazione promosso in vista della proposizione della domanda di divisione giudiziale.

Segnatamente, l’accettazione dell’eredità in forma tacita, può concretizzarsi anche attraverso un’iniziativa assunta dal chiamato per la divisione in forma non contenziosa dell’asse ereditario, ovvero con l’esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria «che non necessita di un'accettazione degli altri coeredi, dovendosi considerare che quest'ultima è rivolta all'eredità e ancor meglio a tradurre la chiamata ereditaria nella qualità di erede, indipendentemente, e/o a prescindere, da un intervento adesivo degli altri coeredi».

Come noto, la materia della divisione ereditaria è contenuta nell’articolo 5 del decreto legislativo numero 28/2010, che individua i casi in cui il preventivo esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. 

Con l’ordinanza in commento i giudici della Suprema Corte sanciscono un altro punto fermo nell’affermare che l’esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, in vista della successiva proposizione della domanda di divisione giudiziale, presupponga necessariamente la volontà di accettare l’eredità. Pertanto nel dichiarare inammissibile il ricorso, è stata confermato il rigetto l’eccezione di prescrizione del diritto di accettare l’eredità sollevata dal convenuto. Si rammenta che il d.lgs. n. 28/2021 all’art. 5, comma 6 recita «dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale».

In allegato l'articolo integrale con note


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