-  Miceli Carmelo  -  21/11/2014

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE:VALORIZZAZIONE DEI BENI DA PARTE DEL COMUNE, C.S. 5480/2014 - Carmelo MICELI

"La sentenza in epigrafe offre interessanti spunti di riflessione su quello che forse rappresenta il nodo gordiano, il ganglio vitale della modernità liquida: il rapporto tra ente pubblico e mercato, cui non possono più adeguarsi ipotesi concettualmente primitive, lontane dal curare i decit strutturali in cui versano i nostri apparati.

I rovelli della distribuzione della ricchezza mai prodotta, finiscono ormai per insediare ogni tramite della mondanità.

Il dovere di buona amministrazione, iscritta nell"ultima frontiera della legalità di risultato, segna ormai da tempo il confronto del cittadino all"altare del potere, così che il diritto amministrativo, quale diritto di conciliazione e riconciliazione secondo la formula di Morand-Devilleur, conosce nuove vie della malizia che si riannodano nelle esigenze delle pubbliche casse (si spera comunque lontane, dagli interessi più o meno confessabili impaginati nelle cronache quotidiane). L"ordine giuridico del mercato (Irti) ha del resto fatto ingresso nella nostra Carta Fondamentale, ridisegnando, mezzi e fini dell"agire pubblico, attese e intese con il potere.

In primo luogo, va posta in evidenza, il retroterra da cui muove la geografia motivazionale del decisum, che condiziona la distribuzione dei carichi processuali e del relativo peso dimostrativo. Si sottolinea come rappresenti una regola di buona amministrazione, declinata dalla nuova logica dell"art. 97 della Costituzione, quella che induce l"Amministrazione a valorizzare i propri beni e a trarre dai suoi utilizzatori il massimo importo percepibile, sulla scorta di procedimenti precostituiti e trasparenti.

Al di fuori delle ipotesi di canoni imposti rigidamente ex lege, ed eccetto anche i casi in cui ai beni pubblici sia conferita dalla legge la funzione di realizzare finalità sociali (ad es. assegnazione di alloggi alle persone che ne abbiano bisogno, con importi inferiori a quelli di mercato), è dovere della p.a. quello di mirare alla riscossione di corrispettivi più elevati. Tale maggiorazione si inscrive nella modulazione del sinallagma negoziale anche alla luce delle aspettative d"apparato (ancor più degne di nota, nelle tristi vicende che ci raccontano di esauste casse che tentano di risalire la china secondo ventate aziendalistiche, a dir il vero spesso disarmoniche con i compiti di uguaglianza sostanziale imposti dall"art. 3, II co. Cost., fortunatamente scampato alla riforma imposta alla nostra Grundnorm dai vincoli di bilancio).

Quindi, a dire del Collegio, tanto più è appetibile il bene sul mercato, "tanto più l"Amministrazione – nel rispetto della legge – può predisporre meccanismi procedimentali, volti alla riscossione degli importi più congrui (e dunque alla ordinaria gestione degli interessi pubblici sulla base di risorse anche così conseguite)".

Destituite di pregio giuridico, sono state ritenute le argomentazioni spiegate dalla società ab origine e accolte in prime cure, incentrate sull"asserita violazione dei principi del diritto europeo e di quello nazionale sull"obbligo di indire la gara per la scelta dell"utilizzatore dei propri beni.

Invero, come correttamente osservato dal Consiglio di Sato nel caso specifico, le contestate disposizioni regolamentari del Comune non hanno né limitato, né cancellato l"obbligo dell"amministrazione di indire periodicamente la gara per la scelta del concessionario.

Riguardo all"accordo avente per oggetto la cessione dell"utilizzo della res, giova precisare che tale ipotesi negoziale può dunque avere effetti solo per il "periodo residuo", ferma restando la data di scadenza della concessione originaria, avente la durata di dodici anni.

Con maggior impegno esplicativo, la sentenza in commento evidenzia come nell"atto genetico del rapporto ovvero con una determinazione generale e astratta (applicabile anche alle relazioni in corso, ma per le sopravvenute contrattazioni), l"Amministrazione titolare del cespite ".. ben può disporre che il proprio consenso -necessario per rendere opponibile il subentro e l"efficacia della cessione dell"affitto, del ramo d"azienda o del rapporto concessorio- sia subordinato non solo alla sussistenza dei requisiti morali di cui già deve essere titolare il concessionario e alla perdurante compatibilità con l"interesse pubblico del previsto utilizzo del bene, ma anche all"incremento di quanto risulti già dovuto dal cedente", così realizzando anch"essa un vantaggio economico legata alle dinamiche e agli appetiti del mercato.

Nell"accingermi alla conclusione, non voglio ulteriormente tediarvi sulle travianti tendenze privatistiche che informano ormai l"agire dei pubblici poteri, di cui v"è traccia ed allarme nelle recenti stampe, ma ritornare al nodo gordiano di cui in premessa. La via che si sollecita induce a sfide interpretative, che varchino le soglie della evasività di giudizi formali (hic sunt leones). Si tratta, comunque, solo di una voce intonata alla vostra velata indulgenza. Nel ricordare il titolo di un importante autore, La modernità liquida, in cui si rimarca come l"individuo prevalga sul cittadino che invece domanda, per il proprio riscatto, più e non meno sfera pubblica, mi scappano talune riflessioni (modeste, per carità, e soprattutto lontane dagli interessi che contano). Non si è ancora registrato nel nostro continente il distacco dal mito del mercato e della invisible hand di Smith, cui in modo o nell"altro finiscono per confidare persone pubbliche e private. La mano del mercato è fallita (come già intuivano Malthus e ancor più Keynes), eppure non riusciamo a liberarci dalla cupa religione della tecnica mercatoria, fonte di spaesamento, per dirla con le parole di Heidegger. Se bisogni di cassa possono avallare una lettura aziendalistica del dovere di buona amministrazione, non va dimenticato nell"era dei vincoli di bilancio e dei tagli lineari, come i compiti affidati alla p.a. non possano andar disgiunti dalle esigenze di giustizia sostanziale. Decisivo rimane il ritorno dell"uomo risorgimentale sognato da Capaccioli, come essere in grado di contrastare e superare gli intrecci e le logiche interne al mercato, che finisce per non bastare a sé stesso. Un essere che deve spezzare le politiche del contingente, le appendici clientelari, le geometrie inappaganti, che conosce per dire ciò che deve esser fatto per la dignità sociale dell"iniziativa economica…un essere..in essere?

 




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