-  Mazzon Riccardo  -  25/09/2014

QUANDO L'ATTIVITA' PERICOLOSA IMPLICA PRESUNZIONE DI COLPA - Riccardo MAZZON

A norma dell'articolo 2050 del codice civile chiunque cagiona - infatti, sia con riguardo all'esercizio di attività pericolosa, sia in tema di danno cagionato da cose in custodia, è indispensabile, per l'affermazione di responsabilità, rispettivamente, dell'esercente l'attività pericolosa e del custode, che si accerti un nesso di causalità tra l'attività o la cosa e il danno patito dal terzo:

"a tal fine, deve ricorrere la duplice condizione che il fatto costituisca un antecedente necessario dell'evento, nel senso che quest'ultimo rientri tra le conseguenze normali ed ordinarie del fatto, e che l'antecedente medesimo non sia poi neutralizzato, sul piano eziologico, dalla sopravvenienza di un fatto di per sé idoneo a determinare l'evento" (Cass. civ., sez. III, 10 marzo 2006, n. 5254, GCM, 2006, 3 - cfr., amplius, il volume "Responsabilita' oggettiva e semioggettiva", Riccardo Mazzon, Utet, Torino 2012 -) -

danno ad altri nello svolgimento di un'attività pericolosa – ove deve considerarsi attività pericolosa agli effetti di cui all'art. 2050 c.c. l'attività che risulti così qualificata dalla legge di pubblica sicurezza o da altre leggi speciali nonché l'attività che, per la sua stessa natura o per le caratteristiche dei mezzi adoperati, comporti la rilevante possibilità del verificarsi di un danno per la sua spiccata potenzialità offensiva,

"da detta attività va distinta invece la condotta pericolosa tout court" che è attività normalmente innocua la quale diventa pericolosa solo in virtù del comportamento di chi la esercita" (Trib. Monza 7 febbraio 2000, GMil, 2000, 333) -;

per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati,

"la responsabilità presunta per danni da cose in custodia ex, art. 2051 c.c. è configurabile anche con riferimento ad elementi accessori e pertinenze inerti di una strada, quale un ponte (ai sensi dell'art. 1 d.m. ll.pp. 18 febbraio 1992 n. 223, "barriera stradale di sicurezza" avente lo scopo di garantire il contenimento del veicolo tendente alla fuoriuscita dalla carreggiata stradale) di proprietà della p.a. (Stato o altri enti locali), a prescindere dalla relativa intrinseca dannosità o pericolosità per persone o cose - in virtù di connaturale forza dinamica o per l'effetto di concause umane o naturali (c.d. idoneità al nocumento) - viceversa rilevante nella diversa ipotesi di responsabilità per danni da esercizio di attività pericolosa ex, art. 2050 c.c., in quanto pure le cose normalmente innocue sono suscettibili di assumere ed esprimere potenzialità dannosa in ragione di particolari circostanze o in conseguenza di un processo provocato da elementi esterni" (Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 2006, n. 3651, GCM, 2006, 2 – conforme, in quanto una attività è da considerarsi pericolosa ex art. 2050 c.c. - oltre che nei casi specifici preventivamente determinati dal legislatore - quando la natura dei mezzi adoperati è tale da costituire concreto ed attuale pericolo per i diritti dei terzi, sicché ricorre l'obbligo giuridico di adottare misure particolari atte ad evitare il danno e non invece quello - diverso in radice - di sostituire i mezzi adoperati: App. Roma 16 gennaio 1986, TR, 1986, 82);

- ma non perché resa pericolosa dalla condotta di chi la esercita

"qualora un attività normalmente innocua diventa pericolosa per la condotta di chi la esercita vi è responsabilità in base alla regola generale dell'art. 2043 c.c. e non in base all'art. 2050 stesso codice, laddove si ha riguardo alla potenzialità dannosa dell'attività" (Cass. civ., sez. III, 23 marzo 2001, n. 4207, DeF, 2001, 1007; conforme, con necessità di tenere distinta la nozione di attività pericolosa prevista dall'art. 2050 c.c. da quella di condotta pericolosa: Cass. civ., sez. II, 21 dicembre 1992, n. 13530, RCP, 1993, 821; GCM, 1992, 12),

ovvero da errori o colpe nell'uso dei mezzi adoperati:

"per attività pericolose, in relazione al cui svolgimento l'art. 2050 c.c. stabilisce una presunzione di responsabilità a carico di chi le esercita, debbono intendersi quelle che sono qualificate tali dalla legge di p.s. o da altre norme speciali (come quelle contro gli infortuni sul lavoro) ed altresì quelle che abbiano insita la pericolosità nei mezzi adoperati e nella loro stessa natura. Pertanto, restano escluse dalla previsione di detta norma le attività non pericolose in sè, ma in cui la pericolosità insorga per errori o colpe nell'uso dei mezzi adoperati" (Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 1983, n. 1394, GCM, 1983, 2) -,

è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno: la presunzione di responsabilità contemplata dall'art. 2050 c.c. per attività pericolose, infatti, può essere vinta solo con una prova particolarmente rigorosa, e cioè con la dimostrazione di aver adottato tutte le misure idonee ad impedire l'evento dannoso ivi compreso il rispetto delle più avanzate tecniche note ed anche solo astrattamente possibili all'epoca del fatto dannoso:

"Il fatto del danneggiato o del terzo può produrre effetti liberatori solo se per la sua incidenza e rilevanza sia tale da escludere, in modo certo, il nesso causale tra l'attività pericolosa e l'evento e non già quando costituisce elemento concorrente nella produzione del danno, inserendosi in una situazione di pericolo che ne abbia reso possibile l'insorgenza a causa dell'inidoneità delle misure preventive" (Cass. civ., sez. III, 4 giugno 1998, n. 5484, RCP, 1999, 115; GCM, 1998, 1212; conforme, anche in ipotesi di malattia professionale contratta da addetto a lavorazioni tabellate: Pret. Milano, 23 febbraio 1983, Tributi, 1983, 549; RI, 1983, II,163).

La norma sulla responsabilità per danni da esercizio di attività pericolose compare, per la prima volta, nel codice civile del 1942, sottraendo così, alla regola generale dell'art. 2043 c.c., il fenomeno delle attività pericolose.

Osserva la dottrina come la disposizione riguardi tutte quelle attività che sono destinate a provocare danni con un grado di probabilità molto alto, ma che sono considerate lecite

"a causa della loro utilità sociale" Comporti, Esposizione al pericolo e responsabilità civile, Napoli, 1965, 24.

Il legislatore, in altri termini, nell'ammettere l'esercizio delle attività pericolose, ha, tuttavia, reso particolarmente gravoso il regime di responsabilità per l'esercente delle medesime; piuttosto di vietare tout court l'esercizio di tali attività ha deciso di ammetterle, ma a condizione che i danneggiati potessero più agevolmente essere risarciti; nel far questo, ha dunque esposto l'esercente l'attività pericolosa ad un rischio maggiore:

"dai lavori preparatori al c.c. emerge la volontà sia di mantenere la colpa a base della responsabilità, sia di invertire l'onere probatorio relativo alla colpa a carico del danneggiante e di ampliare il contenuto del dovere di vigilanza posto a suo carico" (Visintini, Trattato breve della responsabilità civile, Padova, 1996, 694.

Dai lavori preparatori al codice civile emerge, infatti, la volontà sia di mantenere la colpa a base della responsabilità, sia di invertire l'onere probatorio relativo alla colpa a carico del danneggiante, nonché di ampliare il contenuto del dovere di vigilanza posto a suo carico; e se, in un primo tempo, la dottrina individuò nella norma in commento una fattispecie di

"responsabilità per colpa lievissima", De Cupis, Il danno. Teoria generale della responsabilità civile, Milano, 1954, 88

a partire dagli anni sessanta, la dottrina, facendo particolare riferimento all'oggetto della prova liberatoria previsto dalla legge a favore dell'esercente l'attività pericolosa, ha posto in luce la

"natura oggettiva" Trimarchi, Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, 1961, 48

della responsabilità in esame.

Si è sottolineato, infatti, come "mancata adozione di tutte le misure idonee ad evitare il danno" non significhi necessariamente violazione di un dovere di condotta; di recente, inoltre, la natura oggettiva della responsabilità de qua è stata ribadita in base ad una duplice considerazione:

  • la condotta dell'esercente costituisce un semplice antecedente dell'evento dannoso, che viene ascritto indipendentemente da ogni riguardo alle sue condizioni psico-fisiche, con la conseguenza che

"risponde anche il minore oppure l'incapace naturale"; Monateri, La responsabilità civile, in Tratt. Sacco, Torino, 1998, 1010 

  • la prova liberatoria, prevista dall'art. 2050 c.c.,

"esula completamente dalla dimostrazione di una mancanza di colpa" Franzoni, Responsabilità per l'esercizio di attività pericolose, in Alpa, Bessone (a cura di), La responsabilità civile, II, 2, Torino, 1987, 459.

E' stata, in argomento, dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 2050 del codice civile, nella parte in cui non prevede che, quando non sia possibile l'individuazione di uno specifico responsabile del danno nell'esercizio di un'attività pericolosa, sia applicabile la presunzione di responsabilità nei confronti di tutti i partecipi all'attività:

"è inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2050 c.c., nella parte in cui non prevede che, quando non sia possibile l'individuazione di uno specifico responsabile del danno nell'esercizio di un'attività pericolosa, sia applicabile la presunzione di responsabilità nei confronti di tutti i partecipi all'attività, in riferimento agli art. 3 e 24 cost." (Corte cost. 4 marzo 1992, n. 79, FI, 1992, I, 1347; GiC, 1992, 807 GC, 1992, I,1430; RDSp, 1992, 73; RCP, 1992, 348; CS, 1992, II, 373; GI, 1992, I, 1, 1202; DGA, 1992, 472).

 




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