-  Redazione P&D  -  14/01/2008

QUANDO MI VERGOGNO DI ESSERE UN CITTADINO ITALIANO, UN MEDICO, UNO PSICHIATRA - Mario IANNUCCI

(segue)

Non mi vergogno affatto, quindi, di usare la ‘forza’ a fin di bene, per curare una persona. Non lo fa anche il chirurgo, quando per salvare la vita al suo paziente gli incide la carne e gli asporta dal corpo pezzi di organi? Sebbene io sia sempre ricorso con grandissima parsimonia ai TSO, tuttavia non sono fra coloro che si dichiarano ideologicamente contrari a tali interventi ‘di forza’. Capita che, prima di stabilire una relazione terapeutica con pazienti molto gravi, magari affetti da deliri persecutori o da una devastante eccitazione maniacale, si debba necessariamente ricorrere a ‘cure coatte’, che non possono che costituire il passo prodromico di una terapia cui il paziente partecipi consapevolmente. Non mi vergogno affatto di sfruttare talora anche le prescrizioni giuridiche per aiutare i miei pazienti a uscire dal carcere e dall’Ospedale Psichiatrico Giudiziario per guadagnare posizioni di maggiore responsabilità, di maggiore libertà, di maggiore coinvolgimento nella cura. 

Mi vergognerei però moltissimo se dovessi concorrere, attraverso il potere Sanitario che detengo, a piegare la volontà di una persona che non presenti gravi turbe psichiche. A piegare tale volontà perché quella persona si sottometta docilmente a un altro potere: Giuridico, Poliziesco o Politico che sia. Non sopporterei, quindi, di essere confuso con dei figuri da lager o da gulag, o anche solo con quei pusillanimi così magistralmente illustrati dalla figura del medico tedesco ne “La vita è bella” di Roberto Benigni. 

Per questo sento di dover commentare la vicenda dell’anziano accordatore di pianoforti per il quale è stato proposto un TSO poiché non voleva allontanarsi dalla sua casa, una casa requisita dall’ente pubblico per acquisire il terreno sul quale costruire la terza corsia dell’Autosole. Conosco la vicenda per come tutti i quotidiani locali l’hanno riportata, in maniera non molto dissimile gli uni dagli altri. Una vicenda che mi pare possa riassumersi all’incirca in questi termini. Un signore ereditò dai genitori una casa colonica a pochi metri dalla quale (a giudicare dalle foto comparse sui giornali) costruirono quarant’anni or sono l’Autosole. Il signor “Franco B.” si ritrovò così, invece che in un paradiso campestre, in un inferno di rumore e di veleni. Pare che abbia per questo promosso una o più cause civili senza ottenere quello che chiedeva. 

La cosa ha un interesse limitato nella disamina cui ci stiamo accingendo; un interesse limitato, ma non inesistente, se supponiamo che il signor Franco B. abbia patito, in questi ultimi quarant’anni, un notevole danno biologico ed esistenziale per essere vissuto in quella casa a pochi metri dall’Autosole (a proposito, i medici dell’Ufficio di Igiene dell’Azienda Sanitaria considerano ‘abitabile’ una simile casa?). E se abbiamo ragione di ritenere che un ‘notevole’ danno biologico ed esistenziale il signor Franco B. l’abbia patito, ci meraviglieremmo forse se fosse nato, cresciuto e solidificato in lui un atteggiamento ‘antagonistico’ nei confronti di quei poteri pubblici che tale danno gli avevano prodotto? Comunque, non sazio di averlo fatto abitare per quarant’anni in un inferno, l’Ente Pubblico decide di confiscargli la casa per demolirla e far passare su quel terreno la terza corsia dell’Autosole. Ci si aspetterebbe, noi povere persone di buon senso illuse che l’Ente Pubblico agisca con una certa oculatezza, che la proposta di risarcimento per una simile confisca, fatta a un uomo tanto esasperato perché tanto danneggiato, fosse adeguata al danno e per lui soddisfacente (vista soprattutto la posta in gioco: l’Autosole per questa povera Italia afflitta da trasporto su strada!). Forse così è stato o forse no. 

Comunque il signor Franco B., al quale l’offerta deve essere stata avanzata molti anni addietro (ho avuto in cura un’altra signora in condizioni analoghe, in contrasto con l’Ente Pubblico per quasi due lustri), non accetta l’offerta e decide di resistere all’esproprio fin dove può. E in questi lunghi anni, a quanto pare di capire, nessuno, né il medico di base, né i familiari del signor Franco B., né gli organi della Giustizia o gli Operatori degli Enti Pubblici che pare siano venuti in contatto con questa persona, hanno ritenuto di dover verificare se questa resistenza del signor Franco B. potesse dipendere da una qualche condizione psicopatologica rilevante. Nel qual caso si sarebbe dovuto far intervenire il Servizio Pubblico di Salute Mentale. Nel qual caso si sarebbero dovuti richiedere all’Autorità Giudiziaria competente accertamenti al fine di stabilire se egli fosse capace di provvedere ai suoi interessi. Forse questo è stato fatto o forse no. Se non lo si è fatto, è perché si è ritenuto che i suoi atteggiamenti non dipendessero da gravi turbe psichiche. Se lo si è fatto, evidentemente non si sono trovate gravi turbe psichiche (pare che egli non fosse in cura presso il Servizio di Salute Mentale) e si è stabilito che il signor Franco B. non abbia necessità di essere interdetto o inabilitato, e non vi sia bisogno di un Amministratore di Sostegno. 

Giungono infine le ruspe per demolire la casa del signor Franco B. Ci sono “la digos, i carabinieri, i vigili urbani, il dottore, i tecnici della società autostrade”. Il dottore non è uno psichiatra, forse è il medico di famiglia. Forse questo medico, se è quello di famiglia, conosce bene la situazione. Forse c’è anche un medico del 118. In ogni caso un medico, in una situazione che va avanti così da moltissimo tempo, con gli atteggiamenti del Franco B. che sono rimasti immutati per anni (per anni!) senza che nessuno decidesse di appurare le sue condizioni psichiche, ebbene questo medico decide di redigere un certificato di TSO, di somministrare dei farmaci (degli psicofarmaci?) per via parenterale e di inviare il paziente di urgenza al PS dell’ospedale per un ricovero in psichiatria. Io non so se questo medico abbia agito bene o abbia agito male. So soltanto quello che mi avrebbe fatto piacere che mi accadesse se mi fossi trovato in condizioni analoghe a quelle in cui si è trovato il signor Franco B. ieri mattina. 

Bene. Io, Franco B., sono nella mia casa ‘autostradale’ del Vingone. La “la digos, i carabinieri, i vigili urbani, i tecnici della società autostrade” giungono per procedere a un “esproprio per pubblica utilità”. Io ribadisco, come ho già fatto molte volte, che non me ne voglio andare da casa mia. Chiedo che intervenga il mio medico di famiglia, per documentare che il mio stato di mente non è alterato. Il medico di famiglia interviene e, nel caso dubiti che la mia resistenza a lasciare la casa dipenda da un consistente disturbo psichico, mi dice che ritiene opportuno l’intervento, anche urgente, del Servizio pubblico di Salute Mentale. Nel caso io rifiuti tale intervento, il medico di famiglia (o anche il medico del 118), può e deve richiedere un Accertamento Sanitario Obbligatorio, da effettuare ovunque fuorché presso il Servizio Psichiatrico Ospedaliero. Il medico di famiglia (o quello del 118) può invece richiedere un TSO qualora sia fermamente convinto che io sia affetto da gravi turbe psichiche, che richiedono immediati interventi terapeutici che io rifiuto, e qualora ritenga che non siano utilizzabili nel mio caso altre idonee misure extraospeliere. Può addirittura somministrare subito le terapie necessarie e farmi trasportare d’urgenza al PS dell’Ospedale per un ricovero nel Servizio Psichiatrico (senza aspettare la convalida del suo certificato di proposta, convalida che deve redigere uno psichiatra del Servizio Sanitario Pubblico e la Ordinanza del Sindaco), qualora sussista lo stato di necessità o una condizione di pericolo di natura sanitaria. 

Io dunque, tornato ad essere Mario Iannucci, auspico che queste ultime siano state le condizioni dell’intervento di ieri sul signor Franco B.. Molti dubbi però mi sorgono. Perché ad esempio, essendo gli atteggiamenti del signor Franco B. presenti da tempo e non essendoci niente di acuto, non si è pensato di procrastinare lo sgombero di qualche giorno in attesa di procedere ad accertamenti sul suo stato di mente? Cosa che sarebbe stata molto meno traumatica per tutti, in particolare per lui, e decisamente più propedeutica a una eventuale cura/assistenza da fornirgli successivamente. Perché nessuno ha richiesto prima l’intervento degli operatori di Salute Mentale? Qualora tale intervento fosse stato richiesto, perché non è stato effettuato? Certo sarei molto deluso e mi vergognerei tantissimo, come medico e come psichiatra, se invece un TSO fosse stato disposto, e una terapia psicofarmacologica fosse stata somministrata, a una persona che non presenta gravi turbe psichiche e che solo si oppone a un esproprio che ritiene ingiusto. Sarei tanto più deluso se tornassi a mettermi nei panni del signor Franco B.. A chi infatti potrei esporre reclamo: a una Sanità, succube del potere politico, che ha finora consentito che vivessi a pochi metri dall’Autosole? A un Ente Pubblico che è finora stato sordo alle mie esigenze e che, pur di realizzare i suoi progetti, calpesta le mie più elementari esigenze vitali? A una Giustizia che non ha finora stabilito un equo risarcimento per i gravissimi danni che mi sono stati procurati? 

Sarei ulteriormente deluso e, magari insieme all’accordatore Franco B., mi ritirerei a vivere in campagna, con qualche gatto e molti pianoforti. Ovviamente in una campagna non Italiana.

Mario Iannucci
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