-  Fabbricatore Alfonso  -  04/02/2016

RESPONSABILITÀ DEL PROFESSIONISTA: COME PROVARE IL DANNO SUBITO? - Cass. 1984/16 - di A.F.

Cassazione, sez. II Civile, sentenza 2 febbraio 2016, n. 1984, Pres. Mazzacane – Rel. Manna

I Giudici della S.C. affrontano nuovamente il tema afferente la responsabilità del professionista, in particolar modo quella dell"avvocato, stabilendo che, qualora un soggetto intenda ottenere il risarcimento per un danno che ritiene derivante da negligenza del professionista, sarà onere del danneggiato/attore provare lo stringente nesso di causazione tra il danno in concreto verificatosi e la condotta del danneggiante.

Un imprenditore conveniva in giudizio l"avvocato che lo aveva assistito in una causa per risarcimento di danni contro altra società, lamentando di aver ottenuto una somma estremamente esigua rispetto a quanto effettivamente patito e ciò esclusivamente per l"operato poco diligente del proprio difensore cui contesta, tra l"altro, di non aver prodotto in giudizi documenti atti a provare l"entità del maggior danno lamentato.

Il Giudice di prime cure dichiarava l'inadempimento del convenuto avvicato al dovere di diligenza nell'esecuzione del mandato professionale conferitogli dall'attore e rigettava ogni altra domanda.    
Avverso la suddetta sentenza proponeva appello il convenuto , chiedendo, in riforma della sentenza impugnata, il rigetto di ogni domanda proposta nei suoi confronti dall'appellato, con condanna dello stesso al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c..

Si costituiva l'appellato imprenditore che instava per il rigetto dell'appello, ed in via di appello incidentale, chiedeva la condanna dell"ex difensore al risarcimento dei danni come indicati nell'atto di citazione in primo grado.   La Corte d'Appello rigettava gli appelli principale ed incidentale e confermava la sentenza impugnata.

A sostegno della propria decisione di rigetto anche dell'appello incidentale, la Corte territoriale evidenziava che l'omissione compiuta dall'avvocato nella causa risarcitoria, il quale non aveva prodotto in giudizio le scritture contabili della società ove lavorava il danneggiato, non poteva essere considerata ex se determinante ai fini del rigetto della domanda di risarcimento dei danni patrimoniali. Infatti, ad avviso dei giudici di secondo grado, la contrazione dei ricavi della società ben poteva essere causata da fattori diversi ed ulteriori rispetto all'assenza dal lavoro dell"imprenditore. Questi, peraltro, avrebbe potuto dimostrare l'indispensabilità della sua prestazione lavorativa per la redditività della società datrice di lavoro, attraverso prove testimoniali, che ben potevano chiarire il contenuto dell'attività lavorativa in questione. In difetto di queste prove quindi correttamente aveva deciso il Giudice di primo grado nel ritenere non provato il danno patrimoniale. 
Avverso la predetta sentenza proponeva ricorso per cassazione l"imprenditore.

Secondo la S.C., che finisce per rigettare entrambi i motivi di ricorso, la responsabilità dell'avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell'attività professionale, occorrendo verificare se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone, (Cass. sez. III, 5 febbraio 2013, n. 2638).

Detto principio di diritto è stato correttamente utilizzato dai giudici di secondo grado, che hanno rigettato l'appello incidentale proposto dall"imprenditore proprio a causa della carenza di prova sul nesso eziologico, senza incorrere in alcuna contraddizione logico-giuridico della motivazione, né tantomeno nel lamentato vizio di omessa pronuncia. 
Infatti la sentenza impugnata ha chiaramente affermato che la mancata produzione in giudizio dei documenti fiscali e contabili da parte dell'avvocato, che pure integrava una violazione del dovere di diligenza professionale nell'esecuzione del mandato difensivo, non era sufficiente per condannarlo al risarcimento del danno in favore del presunto danneggiato, in difetto di una rigorosa prova del nesso di causalità tra la condotta negligente denunciata e l'evento dannoso lamentato dal ricorrente. La Corte torinese ha spiegato che la contrazione dei ricavi della società ove lavorava l"imprenditore, ben poteva essere causata da fattori diversi ed ulteriori rispetto all'assenza dal lavoro del ricorrente stesso, e la valenza della sua attività lavorativa avrebbe dovuto essere provata non solo con i documenti fiscali e contabili non prodotti in giudizio, ma anche con prove testimoniali, soprattutto relative ai rapporti con i singoli clienti, che invece non furono dedotte.

Appare perciò evidente che il ricorrente non ha mosso alcuna specifica censura alle argomentazioni svolte dalla sentenza impugnata in ordine alla mancanza di prova del nesso di causalità, limitandosi a riaffermare quanto già esposto nei giudizi di merito, ossia che la prova della sussistenza del danno e, conseguentemente, del nesso di causalità intercorrente tra questo e la condotta omissiva oggetto di controversia ben avrebbe potuto essere desunta dalla documentazione fiscale e contabile, che l'avvocato aveva però omesso di allegare.




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