-  Pellacani Stefano  -  19/09/2015

RESPONSABILITÀ DI UNA SOCIETÀ SPORTIVA PROFESSIONISTA IN CASO DI INFORTUNIO DI UN ATLETA – Stefano PELLACANI

Interessi protetti – sport

Responsabilità ex art. 2087 c.c.

Accettazione del rischio – salute

 

Il presente contributo mira ad esaminare – alla luce dei principi enunciati dalla recente pronuncia della Cassazione Civile, Sez. Lav., 23 aprile 2015, n. 8297[1] – gli eventuali profili di responsabilità del presidente di una società sportiva di basket, nella veste di datore di lavoro di un atleta professionista, infortunatosi durante un"azione di gara[2].

Sotto tale profilo preme evidenziarsi l"art. 2087 c.c. il quale, com"è noto, opera sotto il duplice profilo della tutela dell"integrità fisica e della personalità morale del prestatore di lavoro, da realizzare con l"adozione, da parte di quest"ultimo, delle misure ritenute necessarie in relazione alla peculiarità del lavoro prestato,dell"esperienza e della tecnica utilizzate[3].

Sul punto la Suprema Corte ha precisato che la società sportiva è tenuta, in forza di tale norma, ad adottare le misure generali di prudenza e diligenza e le cautele necessarie, secondo le norme tecniche e d"esperienza, nonché a tutelare l"integrità fisica dell"atleta, parametrandole alla specifica pericolosità dell"attività svolta, seguendo e controllando l"atleta stesso con continuità sotto il profilo medico[4]. Invero,l"eventuale responsabilità della società sportiva deve essere valutata sulla base dei criteri dettati dall"art. 2087 c.c. in relazione al rischio intrinseco della specifica disciplina sportiva praticata e all"assunzione del rischio stesso da parte dell"atleta[5].

Va, peraltro, rilevato come la giurisprudenza abbia sancito il principio secondo cui le società sportive ovvero le federazioni – con riferimento ai sinistri avvenuti nello svolgimento di competizioni delle squadre nazionali – hanno l'obbligo, in forza degli articoli 2043 e 2087 c.c., di tutelare la salute dei propri atleti, adottando tutte le cautele necessarie, secondo norme tecniche e di esperienza, volte ad impedire eventi lesivi della loro integrità fisica[6].

Si tratta, com"è evidente, di un"obbligazione piuttosto ampia dal punto di vista del contenuto, posto che la società è chiamata a tutelare la salute degli atleti sia attraverso la prevenzione degli eventi pregiudizievoli della loro integrità psicofisica, sia attraverso la cura degli infortuni e delle malattie che possono essere causate dai rilevanti sforzi che caratterizzano la pratica sportiva a livello professionale.

In tal senso, infatti, nell"ipotesi in cui il danno all"integrità fisica dell"atleta professionista sia stato cagionato dalla carenza dei necessari accertamenti sanitari, per errore nella diagnosi o nelle terapie prescritte, la società sportiva, come già ricordato, può essere chiamata a rispondere in base al disposto degli articoli 1218 e 2049 c.c. per il fatto dei propri "ausiliari" ovvero, nella specie, del personale medico sportivo o di coloro i quali sono preposti alla tutela della salute degli atleti[7].

In materia di tutela sanitaria degli sportivi professionisti va evidenziato l"art. 7 della legge n. 91 che appronta una specifica disciplina aggiuntiva in ragione della specialità dell"attività prestata. Tuttavia, com"è evidente, esso non esaurisce la gamma delle disposizioni dirette a garantire il diritto alla salute nello svolgimento dell"attività sportiva. L"art. 7, prescrivendo i modi e le forme del controllo medico dell"attività sportiva professionistica, ha consolidato il regime di tutela preventiva della salute dei professionisti sportivi già instaurato dalla legge n. 1099 del 1971 per la generalità dei praticanti l"attività agonistica, con la previsione di accertamenti periodici obbligatori[8] la cui operatività, a seguito dell"entrata in vigore delle legge n.91, deve considerarsi riferita ormai all"attività sportiva non professionistica[9].

A fronte dell"obbligo imposto alla società, va sottolineato altresì il dovere dell"atleta di preservare la propria integrità fisica mantenendo una condotta di vita sana e regolata, pena,anche in questo caso, come in quello dell"assunzione di sostanze dopanti, della risoluzione del contratto di lavoro[10].

Ad ogni modo può affermarsi che, prescindendo dalle prescrizioni dell"art. 7, l"accertamento delle condizioni di salute degli atleti, costantemente aggiornato a scopo di prevenzione, costituisce un obbligo della società proprio in base all"art. 2087 c.c. e la condotta del sodalizio sportivo può essere generatrice di responsabilità[11]anche qualora sia semplicemente omissiva e negligente al riguardo.

Dalla natura contrattuale della responsabilità di cui al 2087 c.c. derivano, altresì, rilevanti conseguenze in merito alla ripartizione dell"onere della prova. Quest"ultimo, una volta dimostrato dall"atleta il verificarsi dell"infortunio nel corso dello svolgimento del rapporto lavorativo, sarà a carico del datore di lavoro il quale, ove voglia esonerarsi, dovrà dimostrare che l"evento dannoso si è verificato per causa a lui non imputabile e nonostante abbia adoperato tutte le misure idonee ad evitare il danno.

Sul punto, nella sentenza qui in commento, la Suprema Corte stabilisce che l'obbligo incombente derivante dall"art. 2087 cod. civ. sul datore di lavoro debba essere parametrato alle peculiarità del lavoro prestato e alla natura dell'ambiente e dei luoghi in cui il detta prestazione deve svolgersi.

È evidente, infatti, che determinate e specifiche attività comportano – per loro natura – rischi per la salute del lavoratore. Tra dette attività va annoverato lo svolgimento di un"attività sportiva agonistica, tenuto conto della pericolosità insita nel suo svolgimento e dei rischi ineliminabili, in tutto o in parte, da parte del datore di lavoro rispetto alla possibilità dell'atleta di subire un infortunio nel corso della prestazione lavorativa.

Seguendo tale orientamento, pertanto, secondo la Corte, per le attività lavorative che prevedono la necessaria accettazione del rischio alla salute da parte del lavoratore, non si configura una responsabilità ex art. 2087 c.c. del datore di lavoro, salvi i casi in cui possano addebitarsi alla società sportiva comportamenti specifici, da provarsi di volta in volta da parte di colui il quale che assume di essere il danneggiato, che abbiano causato l"aggravamento del rischio collegato alla natura dell"attività sportiva stessa[12].



[1]Corte di Cassazione, Sez. Lav., 23 aprile 2015, n. 8297 che si riporta: J.D.M., giocatore di pallacanestro professionista, ingaggiato dalla soc. F. Basket, nel corso di una partita di pallacanestro subì un grave infortunio al tendine di Achille sinistro, a seguito del quale, dopo interventi chirurgici e tentativi di riabilitazione, si dovette ritirare dall'attività agonistica, per inabilità permanente. In primo grado la domanda risarcitoria avanzata ex art. 2087 cod. civ. nel confronti della società sportiva veniva respinta per non avere il lavoratore neppure esposto il comportamento datoriale che sarebbe stato fonte della responsabilità: le modalità del sinistro erano state descritte con la sola indicazione della lesione subita, che si sarebbe verificata "correndo durante una azione di gioco" e quindi durante le normali modalità di esecuzione della prestazione sportiva. In sede di appello l'atleta deduceva che, descrivendo il sinistro, aveva dato per presupposta la connaturata pericolosità dell'agonismo sportivo, riconosciuta e disciplinata dall'art. 7 l. n. 91/81, che contempla obblighi di sorveglianza sanitaria a carico della società sportiva; deduceva inoltre che la società aveva omesso di effettuare i dovuti controlli sanitari ed aveva consentito che egli continuasse a giocare nonostante la affermata degenerazione del tendine di Achille. La Corte di appello di Ancona ha confermato la sentenza di primo grado, in quanto nel ricorso introduttivo, seppur articolato, il ricorrente non aveva mai fatto richiamo al tipo di obblighi specifici di sicurezza del lavoro o generici di diligenza o prudenza che il datore di lavoro sportivo avrebbe violato e che sarebbero stati in nesso causale con l'incidente: non era stata dedotta l'omessa sottoposizione del ricorrente a controlli medici o che questi fossero stati superficiali o errati o che, nonostante fosse emersa da questi controlli l'usura del tendine, la società avesse consentito comunque al dipendente di giocare. Ogni allegazione in tal senso, tale cioè da introdurre una serie di fatti materiali richiedenti accertamenti istruttori, effettuata in appello, era da ritenere tardiva ed inammissibile. Né la carenza di allegazioni originarie poteva essere colmata con il ricorso a c.t.u. medico-legale. Osservava la Corte territoriale che non poteva essere accolta neppure l'altra domanda, diretta ad ottenere il pagamento dell'indennizzo oggetto del contratto di assicurazione stipulato dalla società sportiva con la compagnia Fara s.p.a., esaurendosi l'obbligo datoriale ex art. 8 legge n. 91/80 con la stipulazione del contratto in favore del terzo.

[2]Il giocatore di basket professionista, infortunatosi gravemente al tendine di Achille sinistro durante la gara, dopo numerosi interventi chirurgici e riabilitativi, è stato costretto a ritirarsi dall"attività sportiva.

[3]G. Liotta e L. Santoro, Lezioni di diritto Sportivo, ed. Giuffrè, secondo i quali le società sportive sono chiamate a rispettare oltre il dovere di sicurezza imposto ad ogni datore di lavoro dall"art. 32 Cost. e dall"art. 2087 c.c., una serie di obblighi specifici previsti dalla normativa di settore.

[4]Cass., 8 gennaio 2003, n. 85, in Resp. civ. prev., 2003, 765, con nota di F. Gherardi, Responsabilità contrattuale delle società calcistiche a livello professionistico per infortunio dei calciatori; in Mass. giur. lav., 2003, con nota di M. Lanotte, Infortunio del calciatore, obblighi di sorveglianza sanitaria e profili di responsabilità civile; in Dir. lav., 2003, II, con nota di G. Laspina, Obbligo di sicurezza e società sportive; in Nuova giur. civ., con nota di E. Minale, Specialità del lavoro sportivo, obblighi di sorveglianza sanitaria e responsabilità risarcitoria della società sportiva. Precedentemente, nel senso indicato, Trib. Taranto, 22 aprile 1970, cit., e App. Milano, 23 luglio 1963, cit.

[5]L. Santoro, "Sport estremi e responsabilità", Milano, Giuffrè 2009. La nozione di sport estremo, che deriva dall"esperienza americana, è entrata in Italia nel linguaggio corrente nell"ultimo decennio per indicare una serie di pratiche sportive, variamente configurate, alcune delle quali in parte riconducibili a modelli di sport tradizionali, che sono accomunate da tre caratteristiche principali e, cioè, l"apporto individuale, l"espressione creativa e, appunto, l"assunzione di particolari rischi. Le regole tecniche (di gioco e di gara, e quelle organizzative, preposte alla tutela dell"incolumità dei gareggianti "cosiddette safety rules) evidenziano le modalità di svolgimento dell"attività sportiva e permettono la conoscenza dei confini entro i quali debba attendersi che l"azione del gareggiante si svolga; conoscenza che è condizione perché il principio dell"accettazione del rischio possa operare

[6]Cass. civ., sez. lav., 8 gennaio 2003, n. 85, in Lavoro nella giur. (II) 2003, con nota di G. Mannaccio.

[7] V. Frattarolo, "Il rapporto di lavoro sportivo", ed Giuffrè, Milano, 2004: "L"assicurazione contro gli infortuni è la forma più remota di tutela previdenziale degli atleti, essendo stata istituita nel 1934 con la costituzione in seno al C.O.N.I. della Cassa di Previdenza per l"assicurazione degli sportivi, che, con la legge 5 gennaio 1939, n. 133, venne autorizzata all"esercizio diretto delle assicurazioni - divenute obbligatorie - a favore degli atleti di tutti gli sport e con oneri a carico delle singole federazioni.160 Il campo d"applicazione dell"assicurazione SPORTASS era circoscritto agli infortuni occorsi nello svolgimento dell"attività sportiva, ivi compresi gli allenamenti e i viaggi, ed abbracciava qualsiasi tipo di attività agonistica, professionistica, dilettantistica e giovanile. Tuttavia, l"art. 28   del D.L. 1 ottobre 2007, n. 159, convertito con modifiche nella legge 29 novembre 2007,n. 222, ha soppresso l"ente a causa dell"ingente indebitamento, mentre, in precedenza, l"art. 6 del D. Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38 (Disposizioni in materia di premi dell"INAIL) ha introdotto l"obbligo assicurativo per gli sportivi professionisti dipendenti anche in presenza di altre disposizioni contrattuali o di legge di tutela con polizze privatistiche. La determinazione del premio assicurativo è demandata a un decreto del Ministro del lavoro, di concerto con il Ministro del tesoro, su delibera del Consiglio d"amministrazione dell"INAIL. In tal modo anche il rapporto di lavoro sportivo è stato assoggettato all"assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali recata dal D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, con le integrazioni e le modifiche dello stesso D. Lgs. n. 38 del 2000, fra le quali la più innovativa è la inclusione del danno biologico nelle prestazioni dell"Istituto (art. 13), quando l"invalidità permanente è pari o superiore al 6%".

[8] Le modalità di esercizio della tutela, in base all"art. 2, 2° co., della legge n. 1099 del 1971, sono state definite dai D.M. 5 luglio 1975 e 18 febbraio 1982, già cit., le cui disposizioni sono assistite da sanzioni pecuniarie nei casi d"inosservanza.

[9] R. Carmina, L"obbligo degli enti sportivi dilettantistici di tutelare la salute degli sportivi e i correlativi profili di responsabilità, in Responsabilità Civile e Previdenza, Giuffrè 2015.

[10] E" il caso, per esempio, dell"art. 6 della legge n. 376 del 2000 che impone al C.O.N.I., alle federazioni e alle società ed associazioni sportive di stabilire le sanzioni e le procedure disciplinari nei confronti dei tesserati in caso di doping o di rifiuto di sottoporsi ai controlli. L"accordo collettivo F.I.P.-G.I.B.A. vieta espressamente l"assunzione di farmaci non prescritti o autorizzati dal medico sociale e l"uso, anche occasionale, di sostanze psicotropiche o di metodi doping, conseguendone, altrimenti, la risoluzione anticipata del contratto.

[11]V. Frattarolo, "Il rapporto di lavoro sportivo", ed. Giuffrè, 2004, aggiornamento 2015. La responsabilità della società sportiva, a titolo contrattuale ed extracontrattuale a norma degli art. 1228 e 2049 c.c., per eventi dannosi subiti dall"atleta è stata affermata per il fatto colposo dei dirigenti e dei responsabili sanitari: si veda, nell"un caso, relativo al giocatore di basket Vendemini, per vero attinente ad un comportamento doloso per aver il presidente della società, condannato per truffa, ceduto il giocatore ad altra società pur conoscendo le sue precarie condizioni di salute che ne provocavano poi il decesso, Trib. Forlì, 12 giugno 1981, in Foro it., 1982, I, 269; nell"altro caso, relativo al calciatore Curi, per comportamenti omissivi del medico sociale, Cass. pen., 9 giugno 1981. In dottrina, A. Lepore, "Pratiche sportive e obblighi di protezione – La tutela della "persona-atleta", in Contratto Impresa Europa, 2010, 109. Naturalmente nulla si può imputare alla società se l"evento dannoso sia provocato dalla condotta dell"avversario sul terreno di gioco, come ha deciso Trib. Monza, 23 giugno 1981, in Riv. dir. sport., 1982.

[12]Cass. Civ. n. 11427 del 2000, in caso contrario la responsabilità del datore scadrebbe in responsabilità oggettiva.




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