-  Gribaudi Maria Nefeli  -  07/12/2015

RESPONSABILITA PROFESSIONALE DEL PERSONALE SANITARIO: TIMORI DI UNA RIFORMA CHE SI AVVICINA – Maria Nefeli GRIBAUDI

Si riportano alcune riflessioni in merito al ddl sulla responsabilità professionale del personale sanitario elaborato dalla Commissione ministeriale guidata dal prof. Alpa, di recente passato al vaglio positivo della Commissione Affari sociali, tese ad evidenziare alcuni rischi intrinseci correlati alla previsione della responsabilità extracontrattuale del personale sanitario inserito nell"ambito della struttura e l"azione di rivalsa di quest"ultima (che risponde contrattualmente) limitata ai casi di dolo e colpa grave e nei limiti di 1/5 della retribuzione.

Gli ammirevoli sforzi compiuti in questi anni dalla giurisprudenza sono espressione di un cambiamento culturale e sociale che ha messo al centro il diritto alla salute evidenziandone le più svariate e soggettive declinazioni, valorizzando la volontà del paziente su come intenderla e tutelarla in coerenza con la propria personalità e i propri credo, dando rilievo (anche) alla sofferenza della persona e all"estrinsecarsi delle sue relazioni e attività.

Diritti che sono diventati di tutti e per tutti, senza limitazioni di sesso o di nazionalità, di età o di reddito.

In questo contesto è certamente anche cambiata la figura del medico, chiamato per professione a tutelare la salute ed è cambiato il suo ruolo nel rapporto con il paziente, dando inizio ad un processo di progressivo ampliamento delle responsabilità del medico e degli operatori sanitari tutti, al contempo aprendo la strada ad una maggiore responsabilizzazione ed attenzione alla relazione con il paziente, fino a non molti anni fa di certo ignorata non solo dal diritto ma anche da gran parte dei medici stessi.

Il concetto di responsabilità sanitaria non è di per sé negativo se è sinonimo di responsabilizzazione intesa come esercizio responsabile della professione, se incentiva ad una maggiore attenzione e diligenza a fronte di un bene di primaria rilevanza, se esprime l"esigenza di una maggiore personalizzazione della relazione con il paziente, se aiuta a pensare la professione medica di oggi in maniera diversa rispetto a quella di ieri in cui il medico era pressoché impermeabile al diritto e la relazione con il paziente era certo meno collaborativa e sinergica, ma piuttosto, come si usa dire, prevalentemente paternalistica. Così intesa la responsabilità è un dovere, è un obiettivo, è una necessità.

Certo la giurisprudenza creando istituti, regole e principi (penso ad esempio al contato sociale, al principio di vicinanza della prova, a quello della preponderanza dell"evidenza in materia di nesso causale, alla perdita di chance) proprio prendendo le mosse dalla responsabilità medica, non ha voluto assumere una posizione ostile nei confronti dei medici, ma ha voluto affermare con forza dei diritti che oltre ad essere espressione di civiltà e democrazia, hanno concorso a ridisegnare il ruolo del medico stesso, che oggi non decide per il paziente, ma lo aiuta a decidere per la sua salute in un" accezione tutta soggettiva, un medico che oggi non è esente da responsabilità perché da lui, come peraltro da tutti i professionisti, e a maggior ragione da chi assume un indiscutibile rilievo nella tutela di un diritto di massima importanza come è la salute, ci si attende una diligenza piena e qualificata, e ha voluto porre le basi per una relazione con il paziente che non è o almeno non dovrebbe essere impersonale ed asettica, ma personale, fertile, sinergica e collaborativa.

Questo processo ha portato certo ad eccessi e a pericolosi effetti distorsivi che vanno certamente combattuti, ma ha anche cambiato il modo di essere dei medici, li ha resi più attenti a profili che prima certamente ignoravano, incentivandoli all"attenzione, alla responsabilizzazione e all"informazione e ciò è avvenuto perché alle loro azioni o omissioni colpose sono derivate delle conseguenze dirette.

Il ddl rischia per certi versi di cancellare tutto questo con un colpo di penna, di fatto creando surrettiziamente un"area di impunità per il medico (e infermieri, ausiliari etc…) strutturato e quello convenzionato che se da un lato aiuta a combattere la cd. medicina difensiva dall"altro ostacola la medicina responsabile, perché in buona sostanza tutti gli operatori sanitari inseriti nell"ambito di una struttura ben potranno svolgere la loro attività con leggerezza forti di una sostanziale impunità, perché l"azione diretta nei loro confronti sarà certo più onerosa e molto più difficile sotto il profilo probatorio ( e del termine di prescrizione) per il paziente che quindi sceglierà di agire nei confronti della struttura o di agire direttamente nei confronti dell"assicurazione, e l"azione di rivalsa esperita dalla struttura nei confronti degli stessi sarà circoscritta a casi di dolo o colpa grave e nei limiti di 1/5 della retribuzione.

Attraverso questo meccanismo si deresponsabilizza il medico strutturato che al più, nei casi più gravi, verrà chiamato a rispondere nella misura di 1/5 della retribuzione.

Per tutelare il paziente, la responsabilità medica viene allora per certi versi trattata alla stregua della responsabilità da circolazione stradale, con la stessa impersonalità e sottendendo la stessa logica del rischio intrinseco ad un"attività pericolosa, dimenticando che la professione medica è una professione protetta, il cui esercizio non è di tutti, ma che necessita di una particolare abilitazione da parte dello Stato, e il medico non è un quispque de populo ma un soggetto qualificato che si relaziona con il paziente, instaura con lui un rapporto personale, e trascurando che l"errore medico non può essere considerato al pari di un sinistro stradale, perché si colloca all"interno di una professione deputata per vocazione a tutelare la salute del paziente.

E" certo apprezzabile che il paziente sia tutelato sotto il profilo risarcitorio sancendo l"obbligo assicurativo e la possibilità di agire in via diretta nei confronti dell"assicurazione, ma è opportuno non solo agire sul risarcimento e sulla sua effettività, ma sulla necessità di prevenire condotte colpose, sensibilizzare e formare il medico alla diligenza, ad un ruolo in parte diverso e rinnovato rispetto al passato, anche per effetto dei principi sanciti dalla giurisprudenza che molto ha contribuito e contribuisce a delinearne gli obblighi e il loro contenuto.

In quest"ottica è preziosissima l"attività di gestione del rischio prevista dal ddl inserendo al suo interno anche la "predisposizione e attuazione di attività di sensibilizzazione e formazione continua del personale finalizzata alla prevenzione del rischio sanitario" anche al fine di garantire che il percorso sociale, culturale e giuridico alimentato dalla giurisprudenza non vada perso nel suo senso più profondo, coinvolgendo anche alcuni obblighi che sono andati via via affermandosi e delineandosi in sede giurisprudenziale.

Tuttavia, se il livello di responsabilità del medico come singolo è abbassato in maniera così significativa, se la colpa è priva di reali conseguenze, la mancanza/attenuazione di responsabilità rischia di divenire sinonimo di mancanza di responsabilizzazione ovvero di esercizio irresponsabile della professione, dando spazio a maggiori leggerezze, a condotte imprudenti e imperite in un contesto in cui il medico tra l"altro ha un obbligo formativo privo di qualunque sanzione e che quindi spesso rimane inattuato, a discapito della stessa tutela della salute.

Obblighi il cui inadempimento non comporta conseguenze, responsabilità o sanzioni o che prevedono responsabilità molto attenuate (come è quella della rivalsa nella misura di 1/5 e limitata ai casi di dolo e colpa grave), vengono di fatto privati del loro carattere vincolante.

Per non considerare l"irragionevole disparità di trattamento rispetto al medico libero professionista che al pari di ogni altro rimane assoggettato alle ordinarie regole in punto di prescrizione e onere probatorio, con una responsabilità piena sotto il profilo dell" an e del quantum.

Categorie giuridiche a parte, a guardarla con gli occhi del paziente (e siamo tutti un po" pazienti) e sotto il profilo della ragionevolezza poco importa se il medico con il quale ci si relaziona sia un libero professionista o sia inserito nell"ambito di una struttura sanitaria perché in entrambi i casi, quando il medico interviene, ci si aspetta l"adempimento dei medesimi obblighi di diligenza.

Così facendo, invece, dalla limitazione di responsabilità sotto il profilo dell"an e del quantum del personale sanitario inserito nell"ambito di una struttura, ci si potrà ragionevolmente attendere una maggiore diligenza da parte del medico libero professionista, pena una sua diretta e totale responsabilità, rispetto a quella attendibile da un medico inserito nell"ambito di una struttura il quale potrà in ogni caso agire con più leggerezza forte di una minore responsabilità perché il paziente difficilmente agirà direttamente nei suoi confronti, e la struttura, chiamata a rispondere delle sue negligenze, potrà rivalersi su di lui solo nei casi di colpa grave ed in misura molto limitata rispetto all"ammontare del danno prodotto al paziente, a cui al più può essere parametrato e limitato il regresso da parte della struttura. Eppure il medico è pur sempre un medico dal quale ci si deve poter attendere il medesimo grado di diligenza, gli stessi obblighi e le stesse responsabilità, con la stessa ampiezza ed intensità, delle quali deve essere chiamato a rispondere nella stessa misura sia egli un libero professionista o un dipendente.

Confido nel fatto che queste righe possano indurre ad approfondire gli effetti più o meno latenti che possono derivare dalla previsione di un"azione di rivalsa limitata ai casi di dolo e colpa grave nella misura di 1/5 della retribuzione sull"esercizio responsabile della professione medica, sulla parità di trattamento e dal grado di diligenza che può ragionevolmente attendersi dal medico strutturato e da quello libero professionista. 




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