-  Valeria Cianciolo  -  05/03/2017

Revoca dellassegnazione della casa familiare ed interesse del minore - di Valeria Cianciolo

Nota a Tribunale di Palermo Sez. I, Ord., 29.12.2016

Nei giudizi di separazione e di divorzio l"individuazione dell"abitazione che, durante la convivenza della famiglia, abbia rappresentato la c.d. "casa familiare", risulta preliminare rispetto alla risoluzione di qualsiasi altra questione nascente in ordine alla sussistenza o meno dei presupposti richiesti dalla legge per l"adottabilità del provvedimento di assegnazione.

Come noto, il legislatore ha introdotto l"istituto dell"assegnazione della casa familiare con la riforma del 1975 omettendo, tuttavia, di fornire, anche nella successiva regolamentazione della materia, una specifica definizione di cosa debba intendersi per casa familiare, riservando in questo modo alla dottrina ed alla giurisprudenza il compito di riempire di contenuto l"espressione utilizzata.

Il fatto. Due coniugi, genitori di un figlio minorenne, in sede di divorzio congiunto stabilivano che il diritto di godimento della casa familiare attribuito alla moglie sarebbe venuto meno qualora questa avesse instaurato una convivenza more uxorio.

Il Tribunale, ritenendo tale pattuizione non rispondente all"interesse del figlio, collocato presso la madre, disponeva la rimessione della causa sul ruolo e la comparizione personale delle parti al fine di verificare la loro disponibilità a rimodulare le condizioni della domanda.

Questo il principio affermato nel provvedimento palermitano: "L'instaurazione di un rapporto more uxorio da parte del coniuge affidatario dei figli minorenni può non giustificare la revoca dell'assegnazione della casa familiare, trattandosi di una circostanza ininfluente sull'interesse della prole e ciò in quanto, come opportunamente messo in luce anche dal formante dottrinale, l'interesse tutelato dalle norme che disciplinano l'assegnazione della casa coniugale si rifrange nell'esclusiva esigenza di assicurare al figlio, nel tumulto ingenerato dalla disgregazione del nucleo familiare, la conservazione del proprio habitat domestico."

In sostanza, occorre contemperare due interessi contrapposti: da un lato, in via prioritaria, l"interesse dei figli da valutarsi caso per caso dal giudice e dall"altro lato, la necessità di evitare una ingiustificata compressione del diritto di proprietà ove si accerti che l"habitat domestico, sia venuto meno.

La norma di riferimento per quanto riguarda l"assegnazione della casa familiare è l"art. 337- sexies c.c. che al primo comma stabilisce espressamente "il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli" per la cui attuazione deve essere preservato l"ambiente nel quale, durante la convivenza, si è articolata la vita familiare. Pertanto, se i tempi di permanenza dei figli presso i genitori sono equivalenti, non vi sarà necessità di disporre un provvedimento di assegnazione della casa; qualora invece, come normalmente accade, il giudice stabilisca che il figlio continui a vivere prevalentemente presso uno dei genitori, quest"ultimo dovrà poter continuare ad abitare con il figlio nella casa di famiglia.

Sul punto, unanimi sono la giurisprudenza[1] e la dottrina nel ritenere che sicuramente la deroga operi in presenza di prole. L"assunto di fondo è quello secondo cui la funzione della casa coniugale sia quella di tutelare sia i figli minorenni che quelli maggiorenni non autosufficienti e conviventi, garantendo loro la permanenza nell"ambiente domestico, nonostante la separazione personale dei genitori. Occorre comunque, ricordare che, ai fini dell'assegnazione della casa, i figli debbono essere di entrambi i coniugi  o di entrambi i genitori ove si tratti di una famiglia di fatto: per cui, se i figli siano di uno solo, non si potrà fare luogo all'assegnazione medesima.

Sebbene la legge di riforma abbia inteso privilegiare il diritto dei minori alla bigenitorialità, mediante l"adozione di provvedimenti che consentano ai figli una maggiore frequentazione delle dimore dei genitori, essa non ha, in definitiva, apportato modifiche sostanziali nella disciplina dell"assegnazione della casa coniugale, intendendo bensì «rafforzare» il diritto abitativo dei figli minori e dei maggiorenni non autosufficienti; ciò si comprende soprattutto nell"ottica di una legge il cui impianto normativo è fondato sull"interesse dei figli, con particolare riguardo alla posizione di quelli minori.

L"esigenza di assicurare una tutela globale ai diversi diritti gravanti sulla casa familiare, ha indotto il legislatore a stabilire precisi limiti al diritto di godimento dell"abitazione coniugale, qualora si verifichino mutamenti delle circostanze di fatto, tali da non giustificare il sacrificio di diritti proprietari sull"immobile del genitore non abitualmente convivente con la prole.

Trattandosi di una previsione che richiede un considerazione approfondita della fattispecie, i giudici non possono accettare asetticamente le indicazioni delle parti, seppure concordi soprattutto quando, come nel caso di specie, riguardano una situazione futura ed incerta.

 


 



[1] Dopo l'entrata in vigore della disposizione oggi contenuta nel 1° co. dell'articolo 337-septies cod. civ. , è divenuto quasi unanime l'orientamento che esclude la possibilità di assegnare la casa familiare - fosse questa anche in comproprietà tra i genitori (per l'assegnabilità in caso di comproprietà, peraltro, pare essere ancora C. 1491/2011, nella quale, peraltro, si sottolinea pure come l'assegnabilità abbia carattere eccezionale, e sia dettata nell'esclusivo interesse della prole) - al genitore che non abbia l'affidamento - o la collocazione presso di sé - della prole (C. 24473/2015; C. 18440/2013; C. 9079/2011; C. 23591/201; C. 28.4.2010, n. 10222; C. 10994/2007; A. Roma, 21.2.2013; A. Roma, 11.7.2007; T. Cagliari, 15.4.2014; T. Milano, 22.10.2013; T. Roma, 17.9.2013; T. Napoli, 4.6.2013; T. Milano 21.11.2012; T. Trieste 28.3.2012; T. Macerata, 25.6.2010; T. Bassano del Grappa, 28.4.2010; T. Catania, 16.3.2007)




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