Amministrazione di sostegno  -  Redazione P&D  -  19/01/2023

Ripubblichiamo - stanti alcuni recenti episodi giudiziari - uno scritto di qualche tempo fa

L’UOMO CHE VOLEVA PUNIRE SE STESSO – PAOLO CENDON

 

Nasce da una famiglia agiata, in parte nobile, padrona di vari immobili; avverte ben presto in sé una forte inclinazione mistica, celeste, da Golgota - il nostro ‘’personaggio immaginario’’.

Con una spinta profonda alla povertà, al francescanesimo, all’autodistruzione borghese, mondana.

Vorrebbe entrare in Seminario, la famiglia però glielo impedisce; e questo diniego alimenta e moltiplica subito fragilità e storture del suo carattere.

La chiave di volta personologica diventa, in lui, il lancinante senso di colpa per il fatto di avere tante cose al sole, di essere venuto sulla terra con molti più soldi e risorse di quanto non hanno gli altri esseri di questo mondo.

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Vorrebbe dar via tutto quello che ha, non pensa ad altro.

Il fatto però che i beni immobili di famiglia – alla morte dei genitori – siano in comunione ‘’pro indiviso’’ con due sorelle, meno inclini di lui alla prodigalità, ostacola i suoi piani; ci riesce due sole volte, quando persuade le sorelle a donare un edificio a una governante che era sempre rimasta in casa, e quando le convince a donare un terreno al Comune.

Da allora però dovrà accontentarsi di potersi spogliare, svenare, denudarsi patrimonialmente, soltanto rispetto a ‘’beni mobili’’ tutti suoi.

Allorché ci riesce è felice, sente che il suo senso di colpa finalmente si placa, si attenua.

È un forte peccato originale, quello dell’agiatezza di sangue, di ceto, di rango. Una necessità incessante, inestinguibile, divorante, quella di allontanarsi allora da ogni marchio d’infamia plutocratico, anticristiano, da ogni stigmate classista.

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Studia, si laurea, si accultura, insegna, il senso di colpa non lo abbandona mai tuttavia.

No pertanto ai rapporti affettivi, no al matrimonio, a fidanzamenti, no anche ad amicizie profonde, no ai figli. Spende poche lire al mese per vivere. Solitudine, clausura, romitaggio, castità, flagellazioni, rinuncia. Diventa vegetariano, sì agli animali da cortile liberamente circolanti.

No alla biancheria intima, un lusso sbagliato, recente, da signori.

No a lavarsi, un’abitudine da ricchi.

Non si compra mai un vestito.

Abnegazione, imbarbarimento, mortificazione.

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Accetta con gioia di accogliere in casa, gratuitamente, un gruppo di giovani sbandati stranieri, che da quel giorno prendono a circuirlo, a tormentarlo per i soldi. È felice di aver finalmente qualcuno che quotidianamente gli sottragga o gli strappi via qualcosa.

Viene indotto sempre più a effettuare versamenti pecuniari, a firmare carte e riconoscimenti autolesionistici, con strozzini vari.

Una vena d’ora per la triste combriccola di profittatori.

La quale - in cambio - canta le sue lodi, con tutti, ripete che il nostro è un vero santo, nobilissimo, mirabile, unico al mondo, la fotocopia di Francesco di Assisi.

Finalmente qualcuno che lo castiga e lo maltratta sul serio, pensa il nostro, che davvero sa rinfacciargli e ricacciargli in gola – fra una lode verbale e l’altra - i suoi orrendi peccati di agiatezza originaria.

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Anche quando gli animali da cortile entrano in casa e la sporcano, perfino sul letto, si tratta per lui di escrementi giustificati, meritati, benedetti.

Il Cielo è con lui pure in quei passaggi, in quelle capre.

Più la sua casa diventa una discarica, un mondezzaio, più il bisogno di umiliazione e di degrado si lenisce nel suo cuore, evangelicamente; e più lui ha uno sfogo e un sollievo momentaneo, una tregua con la coscienza e col Signore.

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Le stesse ripetute consulenze psichiatriche ufficiali, le quali dicono che lui soffre di un forte disturbo di personalità narcisistico, con serie componenti schizoidi, non gli dispiacciono troppo.

Pur esse lo offendono, infilzandolo con varie etichette, lo trafiggono secondo lui giustamente, meritatamente, lo mettono alla gogna, lo sbeffeggiano, cioè addormentano per un attimo i suoi eterni sensi di colpa.

Soldi dopo soldi buttati via? Ottimo, quale felicità, proprio quel che voleva - il gusto per l’espiazione e il martirio è finalmente soddisfatto, esaudito, in se stesso, come anelito totale.

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Il conto in banca però si assottiglia progressivamente.

Arriva così l’amministrazione di sostegno.

Che fare allora? E’ spezzato in due il nostro.

L’incapacità sopraggiunta con la banca, la saracinesca gestionale che è calata, è in fondo uno scudo burocratico da cui lui si sente in qualche modo difeso, presidiato, era tempo ….

Però non è più in grado così - ecco la questione - di accontentare coi quattrini la gang di sanguisughe che lo spolpava e assillava sin lì.

Conflitto interno, black out, dilaniamento.

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Ai carabinieri e all’amministratrice di sostegno confida, ogni tanto, che non ne può più di quegli avvoltoi, di quelle mantidi casalinghe che lo mangiano vivo. Racconta la verità.

Però, così, senza più autonomia dispositiva con la banca non può più – ecco il punto - prelevare dal conto, incassare denaro, non può regalare nulla: non riesce quindi a ricevere l'agognata ‘’dose di sacrificio, autopunizione, immiserimento’’ settimanale che placava i suoi tormenti; il dolce cilicio, le spine e le ortiche sacrosante, taumaturgiche, cui si era abituato.

E quando le sanguisughe conviventi lo inducono – addirittura - a progettare veri e propri ‘’reati’’, con la banca, visto che non c’è ormai altro modo; quando lo incitano cinicamente a escogitare un' autentica messinscena, allo sportello, per procurarsi del soldi, astutamente, attraverso furti e falsificazioni varie: ebbene, non riesce a dire di no.

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Ci prova in effetti un brutto giorno.

Lo smascherano però, immediatamente, fiutano subito il trucco, la firma altrui è visibilmente contraffatta, fasullo anche il timbro, lo bloccano all’istante.

E la vergogna per lui è subito immensa.

Per un attimo vede e comprende appieno in che abisso morale ed esistenziale è piombato.

Chiede scusa allora, supplica le autorità, piange, si cosparge il capo, racconta che è stato istigato, raggirato, costretto per il quieto vivere, non vuole andare in galera, promette che non lo farà più.

Viene perdonato infine, indulgenza, compassione, nessuna denuncia penale per quei reati.

Però quando gli chiedono di denunciare a sua volta gli aguzzini-istigatori, si tira indietro.

In fondo è loro riconoscente, anche per questo crimine che gli hanno fatto commettere. Quella neo-vergogna da reato è in fondo, nella gamma, un’umiliazione e una pena oltraggiosa - una modalità di soddisfazione - che ancora gli mancava, evviva.

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Spezzato in due il nostro, ancora: allorché gli proporranno la casa di riposo, si opporrà in prima battuta.

Senza la ‘’libertà’’ di movimento al 100%, come continuare a poter alimentare e foraggiare, sia pur lungo vie diverse dal passato, le sanguisughe di casa male/benedette?

Come quietare l’antico e perenne bisogno suo - che nessuno comprende - di degrado ambientale, di magrezza, di croste, di solitudine, di indigenza, di puzza, di lacerazione, di piaghe, di annichilimento?

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Poi accetterà, firmerà infine l’ingresso in RSA.

Oggi continua a essere tagliato in due, dentro di sè.

Per un verso, abbasso il benessere, M la civiltà e la normalità!

Però anche Il nuovo confort, sì tutto sommato, il sostegno circostante, che bello in fondo, l’affetto, il buon cibo, le medicine giuste, la pulizia, il riscaldamento, il decoro, l’accudimento, c’è del buono in tutto ciò, il bel parco, i sorrisi delle nuove presenze, non sono poi tanto male come contorni e compagni di vita …

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Ma siccome pensa di non aver ancora espiato abbastanza, il nostro, con gli altri …..

Dato che quell’antico fantasma masochistico di famiglia lo affanna, lo riprende, lo sovrasta e lo attanaglia ancora, ogni tanto, e così sarà per sempre …..

Poiché oggi non c’è più nessun Giuda o Demonio o Scippatore che lo fustighi, lo supplichi, lo minacci, lo blandisca, gli tenda agguati, lo aduli, si strofini opportunisticamente, lo derubi, lo imbrogli --- e quindi niente più che, nel segno della punizione e dell’oppressione, con la sniffatura di qualche dolce altra riga autodistruttiva, ‘’plachi sistematicamente il suo senso ancestrale di colpa’’, come fare?

Io gli auguro che il pensiero ‘’Non è colpa mia se oggi non posso più auto impoverirmi, punirmi e deprivarmi ancora - prima se non lo facevo ero senza scuse – oggi sono loro della medicina, della giustizia e del buon senso che, tenendomi qui, mi hanno tagliato i ponti con quei malviventi’’, basti a consolarlo almeno in parte.

Accanto alla presa d’atto che ormai, piuma dopo piuma, nichelino dopo nichelino, il nostro è riuscito in effetti a non essere più tanto facoltoso, neanche lui, missione compiuta.




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