-  Crovetto Monica  -  22/08/2014

RISARCIMENTO IN CASO DI SOMMINISTRAZIONE IRREGOLARE - Monica CROVETTO

Con la pronuncia n. 18046 dello scorso 20 agosto la Suprema Corte dà continuità all'indirizzo giurisprudenziale di cui alle sentenze nn. 1148/2013 e 13404/2013, ritenendo applicabile l'indennità prevista dalòl'art. 32, comma 5, della Legge n. 183/2010 (cd. Collegato Lavoro), "nel significato chiarito dal comma 13° dell'art. 1 della legge n. 92/2012" (meglio nota come Riforma Fornero) a qualsiasi ipotesi di ricostituzione del rapporto di lavoro avente in origine un termine illegittimo e, dunque, anche nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore a causa della nullità di un contratto per prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato, ai sensi della lett. a) del co. 1 dell'art. 3 della Legge n. 196/1997. In primis, la Corte ribadisce l'analogia tra il lavoro interinale di cui alla normativa del 1997 e la somministrazione di lavoro disciplinata dagli artt. 20 e segg. del D.Lgs. n. 276/2003 (cd. Legge Biagi). Ricordiamo che la somministrazione di lavoro, che può essere a tempo determinato o indeterminato, è il rapporto che coinvolge tre soggetti: un soggetto autorizzato (agenzia di somministrazione), l'utilizzatore ed il lavoratore. Esso presuppone la stipula di due contratti: il primo tra il somministratore e l'utilizzatore, il secondo tra quest'ultimo ed il prestatore di lavoro. Come sottolineato dalla Corte, "trattandosi di negozi collegati, la nullità del contratto fra somministratore ed utilizzatore travolge anche quello fra lavoratore e somministratore, con l'effetto finale di produrre una duplice conversione, sul piano soggettivo (ex art. 21 ult co. d.lgs. n. 276/03 il lavoratore è considerato a tutti gli effetti alle dipendenze dell'utilizzato e non più del somministratore) e su quello oggettivo (atteso che quello che con il somministratore era sorto come contratto di lavoro a tempo determinato diventa un contratto di lavoro a tempo indeterminato con l'utilizzatore). Ma fino a quando la sentenza non accerti tale conversione, il rapporto fra utilizzatore e lavoratore finchè si è protratto de facto ha avuto caratteristiche analoghe a quelle d'un rapporto a termine ...". La sanzione indennitaria prevista dall'art. 32 citato, dice la Corte, è pienamente applicabile a tale fattispecie, anche perchè "essa è destinata - grazie all'ampia formula adoperata dal legislatore - ai 'casi di conversione del contratto a tempo determinato'". Tale norma, inoltre, viene applicata anche ai processi in corso, compresi i giudizi di legittimità, sempre che sul relativo capo di decisione non si sia già formato il giudicato. I Giudici hanno dunque disposto il rinvio ed il Giudice di appello dovrà limitarsi a liquidare in favore del lavoratore l'indennità risarcitoria, nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. Preme ricordare che il contratto di cui trattasi è stato oggetto della recente Riforma del Lavoro (cd. Jobs Act - Legge n. 78/2014), che ha previsto che nell'ambito della somministrazione di lavoro a tempo determinato trovi applicazione la nuova formulazione dell'art. 1 del D.Lgs. n. 368/2001, che introduce una acausalità del contratto a termine per una durata massima di 36 mesi. Il Legislatore ha infatti eliminato i primi due periodi del comma 4 dell'art. 20 del D.Lgs. n. 276/2003 ed il comma 5 quater del medesimo articolo. Sul punto vedasi la Circolare emanata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali lo scorso 30 luglio (n. 18/2014), pubblicata su questo sito.




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