Letteratura  -  Redazione P&D  -  28/08/2022

Se morirebbe prima mia moglie - Massimo Paradiso

I primi a farsi avanti, in quella limpida mattina di settembre, furono due uomini, uno giovane l’altro di mezz’età, e una donna, più larga che alta e con una discreta peluria sotto il naso che teneva celata coprendola con lo scialle non appena smetteva di gesticolare. La donna fu la prima a prendere la parola.

«Eccellenza, mi chiamo Anita Ruiz maritata Ramon Martinez. Anzi no: già maritata, perché ora che mio marito è morto, anche se da poco, sono vedova. Ma mi chiamo sempre Anita Ruiz...», aggiunse dopo una pausa. Poi tacque perché il concetto s’imprimesse bene nella mente del giudice che, alla fine, proruppe: «A proposito del vostro nome vi crediamo sulla parola. Andate avanti». 

«Chiedo giustizia Eccellenza contro mio marito, anzi contro il mio vecchio marito...». «Intendete quello che avete seppellito di recente o vi riferite a un altro che magari avete seppellito tempo fa?». «No – rise lei –. Vostra Eccellenza non ha capito. Dico vecchio perché adesso non è più mio marito, visto che è morto. O forse dovrei dire: ex marito. Ma ex fino a un certo punto, perché fino a quando non è morto era vivo e siamo stati sempre sposati. Dico bene?». 

Tra le risa soffocate del pubblico, il giudice puntualizzò: «Dite bene. Ma se è morto, come dite, perché volete giustizia contro di lui? Credete che possiamo comandare anche nell’altro mondo?». «No, vostra Eccellenza, non mi avete capito. Voglio giustizia contro il testamento che mio marito ha fatto contro di me. Quand’era ancora vivo», aggiunse subito a scanso di equivoci. A questo punto sorrise anche il giudice, e portandosi la mano destra alla fronte, si limitò a dire: «Adesso capisco. Andate avanti»: aveva compreso che, diversamente, non sarebbe bastata una giornata per cavarle quel che aveva da dire. «Comunque – aggiunse la donna – non sono sola: c’ho pure un testimone che può attestare contro mio marito e poi ecco qua la copia fatta dal notaro, che m’è costata quattro reali, del testamento falso di mio... mio marito defunto».

«Ora sì, che la cosa si fa interessante – ironizzò il segretario –. Abbiamo un testa-tore, un testa-mento, un testi-mone, un’attesta-zione, un documento testa-mentario e una notarile testi-ficazione». Quindi allungò il braccio per prendere il documento che la donna brandiva come un’arma e, dopo un cenno d’assenso del giudice, iniziò a leggere, omettendo il “verbale di pubblicazione” redatto dal regio notaro.

“Testamento di me medesimo malato tisico ma luci­do di mente, scritto a mano contro mia moglie Anita Ruiz maritata Ramon Martinez che sarei io. Se morirebbe prima mia moglie di me sarei grato a Sant’Jago a ceri e fiori fìnacché campo. Ma lei si è sempre curata bene e schiatta di salute alla faccia mia che non ce speranza, io credo. Approfitto della controra che stà stravvaccata so­pralletto per scrivere nascostamente nel gabinetto il mio lascito testamento di robbe poche ma stentate, col sudore della fronte per tutta una vita onesta ma sfortunata. Non avendo la infamona fatti i figli perché è ari­da di panza e di cuore, non le lascio niente. Lascio l’orto, l’asino e il basso di abita  zione al suo compare Alfonso Moreno che però se vuole leredità se la deve sposare, dico a mia moglie, che sarà detta vedova quando sarò morto. Perché adesso il compare se lintende con lei, ma vediamo se ha il coraggio di sposarla, io dico di no. Se non la vuole, leredità mia va a Domingo, figlio di mio fratello Paco. 

Quando sarò morto dovete cercare il mio testa­mento qui presente dietro all’armadio. Se non lo cercate dietro all'armadio non lo trovate, e allora è inutile che lo cercate. In fede mia che sono sano di mente e sono Ramon Martinez fu Domingo”.

La donna era diventata rossa come un papavero e sembrava sul punto di esplodere: «Eccellenza! Che bisogno c’era di mettere in piazza i fatti miei? Così io vengo spubblicata pubblicamente e così pure mio compa... volevo dire il nostro vicino Alfonso Moreno, anche lui spubblicato senza vergogna di fronte a tanta gente...». «Se chiedete giustizia, la giustizia è amministrata pubblicamente, davanti a tutti. Del resto, già il notaio ha “pubblicato” il testamento: che dunque è ormai di pubblico dominio. State pur tranquilla che già tutti, in città, sanno del testamento e del suo tenore. Dite piuttosto, finalmente, quali sono le vostre domande». Anche stavolta era stato il segretario a intervenire, e certo il buon Sancho non se la prese: far da primadonna gli piaceva, ma neppur gli dispiaceva risparmiar fatica. 

A questo punto, si fece avanti l’uomo di mezz’età, un marcantonio alto sette palmi che, ottenuto il permesso di parlare, disse: «Eccellenza, mi vedo spinto e in qualche modo costretto a intervenire sia perché chiamato in causa direttamente, sia per amor di giustizia, vedendo come è stata ingiustamente calunniata la donna qui presente Anita Ruiz, già maritata a Ramon Martinez e in oggi vedova dello stesso. Sono queste le ragioni che mi spingono a intervenire e che, col suo benevolo consenso, possono supplire alla mancanza di altri “titoli”: infatti non sono avvocato né procuratore, pur se un po’ di diritto l’ho studiato anch’io, e precisamente Diritto romano e Diritto dei Sacri Canoni al Seminario Arcivescovile di Leòn, dove sono stato seminarista per qualche tempo». 

«Dite pure, vi ascoltiamo – rispose Sancho, colpito dal tono e dalle parole garbate dell’uomo. «Quel che la vedova chiede, come mi ha ripetuto dieci e cento volte insistendo perché io venissi a difenderla in questa e in altre sedi, può riassumersi così. Chiede anzitutto la cancellazione dal testo della scheda testamentaria di tutte le espressioni offensive e comunque di quelle lesive della sua reputazione. Vero che esse sono ormai di pubblico dominio e tuttavia una sanzione ufficiale, che ne faccia pubblica emenda facendone rimarcare l’irritualità e magari la schietta falsità, contribuirebbe non poco a ristabilire la verità di fatti e l’onore di questa donna. Chiede poi che si accerti l’autenticità del documento: ella ne assume infatti la falsità, non avendo mai visto il marito leggere o scrivere alcunché, ma solo vergare il suo nome. Ne desume perciò, e sia pure in via presuntiva, l’analfabetismo del preteso testatore e la conseguente falsificazione o comunque alterazione del documento testamentario. Lamenta infine di essere stata diseredata senza motivo e, comunque, di non aver dove ricoverarsi: se dovrà lasciare la casa al nipote del defunto marito, e non trova accoglienza in un pubblico ospizio, dovrà dormire all’addiaccio, sotto le stelle».

Il giudice quel giorno, dopo le battute iniziali, aveva cominciato a far trapelare palesi segni di stanchezza. Era evidente che tentava di stringere i tempi, ma chiese comunque: «Mi sembra di capire che voi non prendiate in considerazione la possibilità di sposare la vedova: il che le consentirebbe di avere un tetto sopra la testa». «Sia detto con tutto il rispetto – rispose l’uomo – ma non ci penso nemmeno. Del resto, devo ancora aggiungere, per quanto concerne me personalmente, che non sono affatto il “compare” della vedova Martinez. Siamo semplici conoscenti. A vero dire, ci conoscevamo già da ragazzi e qualche volta abbiamo parlato a tu per tu prima della mia partenza per il Seminario; così come è capitato di chiacchierare qualche volta da buoni vicini, visto che abitiamo a pochi passi di distanza. Ma nulla più». Chi avesse rivolto lo sguardo alla donna, si sarebbe accorto che lei era come sbiancata: certo, era profondamente delusa, al punto che sembrava invecchiata di colpo. Evidentemente, se pure non c’era del tenero tra i due, certo qualche pensierino, lei, doveva pur averlo fatto. Eh, certi amori di gioventù... spesso non approdano a nulla ma non si scordano mai..., e soprattutto non si vogliono scordare!

Il giudice non sapeva che pesci pigliare e il segretario, ottenuto un cenno d’assenso, chiese: «Sapete voi qualcosa circa la stesura del testamento? Ramon Martinez sapeva leggere e scrivere? E sapete qualcosa circa i loro rapporti, circa i rimproveri e gl’improperi rivolti dal defunto alla moglie?». «Nulla so di specifico, ma qualche volta gli ho visto in mano dei foglietti con degli appunti: se scritti da lui non so; immagino però che li potesse leggere, visto che li aveva con sé. Per il resto, un po’ tutti nel quartiere li hanno sentiti litigare. Una cosa è certa: erano una coppia male assortita». 

«E voi chi siete e perché siete qui?» chiese il giudice al giovane che all’inizio si era avanzato insieme agli altri e che fin’allora era stato zitto. «Eccellenza, sono Domingo Martinez, nipote del defunto. E che devo dire? Se l’eredità mi spetta, certo non la rifiuto. Quanto ai rapporti tra mio zio e la moglie, si sa che erano cattivi e lo zio subiva in silenzio le isterie della moglie». 

Rifletteva, il giudice, che tutto il mondo è paese. Dove sono i coniugi che non hanno questioni o litigi? Certo, nel caso di specie il dissidio era totale, ma... Deluso lui, delusa lei. Vale la pena cercare chi ha più torto? Forse sì. Ma adesso non è più il caso. Una volta aveva sentito una frase, in latino, che più o meno voleva dire che bisogna perdonare chi è sepolto. Dunque, pensava il buon Sancho, anche tu, sepolto, perdona chi ha avuto il torto di sopravviverti... Dunque, si disse, due parole a mo’ di sentenza.

«Taluni sospetti e alcune questioni, qui sollevate o indirettamente adombrati, non hanno avuto riscontro o risposta: dal livello di istruzione del defunto all’infedeltà della moglie. Solo una cosa è certa: i continui litigi e il carattere isterico della donna, preda di aspettative deluse e in balia di vaghe chimere giovanili. Non mi sembrano però ragioni bastanti per mettere in mezzo alla strada una donna ormai avanti negli anni. Non so come si usa qui, ma al mio paese la vedova ha diritto all’usufrutto della casa del defunto marito o almeno di abitarvi fino alla morte. Stabilisco perciò che la casa, l’orto e l’asino vanno al nipote Domingo come da testamento, ma sulla casa la vedova avrà diritto di abitare finché campa. E questo, in fondo, non è diverso da quanto previsto dal defunto marito se il preteso compare l’avesse sposata. Qui manca solo il loro matrimonio, ma non si vede perché dovrebbe gravare sulle spalle di un estraneo quella che si appalesa come una postuma vendetta maritale».

Brano tratto da

“Chiedo giustizia, Eccellenza..." Resoconto esattissimo delle udienze di giustizia tenute da S.E. don Sancho Panza Governatore dell’isola di Baratteria




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