Ringraziamo il Dott. Davide MOSCONE, psicologo in Roma specializzato in autismo, per avere inviato a P&D il manifesto del Portale "SPAZIO ASPERGER", associazione di cui è Presidente. Lo segnaliamo all'attenzione dei nostri lettori che già conoscono la cura e l'assiduità con le quali vengono trattate le tematiche sulle persone con disabilità. L'obiettivo è la comprensione, senza pregiudizi, delle diversità neurologiche, in nome del "diritto" ad essere autistici e come tali ricompresi, con pienezza, nella società, in nome del concetto di neurodiversità (pms).
L´idea di questo portale nasce dal desiderio di far conoscere ad ampio raggio, in Italia e in italiano, e a diversi livelli, quali scientifico, artistico, cinematografico e biografico, l´esistenza di persone che, a differenti gradi e in modo unico e irripetibile, si collocano in quello che oggi viene chiamato continuum autistico, o spettro autistico.
A questo primo obiettivo di tipo informativo e divulgativo, se ne aggiunge un secondo di natura etica, ovvero permettere alle persone autistiche/neurodiverse o con sindrome di Asperger, che stanno in un qualche punto imprecisato della parte alta dello spettro autistico, di riconoscersi prima di tutto in questa particolare condizione.
Una volta riconosciuti nello spettro o durante il processo di autoconsapevolezza, vorremmo offrire a queste persone e a coloro i quali vivono a contatto con loro, uno spazio virtuale dove trovare supporto e la possibilità di conoscere altre persone simili. Ci auguriamo che questo sito possa contribuire ad aiutare le persone neurodiverse ad accettarsi e ad essere accolte e a ricercare il proprio posto nella società, offrendo uno specifico e, a volte unico e insostituibile, contributo.
Il forum diviso in varie sezioni tematiche, offrirà tra i tanti argomenti, un luogo di confronto tra le due culture ovvero quella autistica/neurodiversa e quella neurotipica, nel tentativo di costruire insieme dei "ponti" che rendano possibile un dialogo rispettoso da ambo le parti, come auspicato da Jim Sinclair e da molte altre persone neurodiverse, impegnate nella difesa dei diritti delle persone autistiche.
Ci proponiamo di perseguire queste finalità nella convinzione che, come scrive Clare Sainsbury, adulta autistica "i problemi emergono non tanto dalla sindrome di Asperger in sé, quanto piuttosto da un ambiente sociale che è non progettato per le persone con sindrome di Asperger, ma per persone che hanno delle percezioni del mondo e uno stile di pensiero molto diversi dai nostri". (Clare Sainsbury, Un´aliena nel cortile, Uovonero Edizioni)
Riteniamo che affinché si realizzi un giorno una reale inclusione nella società, sia necessario difendere sia il proprio "diritto" ad essere autistici, ma anche permettere a chi non è autistico di comprendere le particolarità sensoriali, cognitive, affettive e comportamentali che sono l´espressione di una diversità neurologica.
Lavoriamo insieme per accrescere la conoscenza sullo spettro dell´autismo e ridurre l´ignoranza che purtroppo ancora è diffusa nel nostro paese.
Addentrandoci nella conoscenza di questa porzione di umanità potremmo restare sorpresi e scoprire cose interessanti e soprattutto conoscere persone che non ci saremmo mai aspettati di conoscere e di apprezzare. A tal proposito Tony Attwood e Carol Gray, due tra i più grandi studiosi della sindrome di Asperger, scrivono nel loro saggio "La scoperta dei criteri aspie": "C´è la possibilità di fare nuove amicizie, un´opportunità di riconsiderare chi sembrava un po´ bizzarro, ma decisamente più onesto e genuino. Oltre a scoprire nuove amicizie, c´è la possibilità di avvalersi di prospettive e talenti unici per affrontare i problemi. C´è del lavoro da fare durante il prossimo secolo: malattie da curare, un ambiente da salvare, libertà da difendere. Fortunatamente ci sono persone dotate di una mente capace di affrontare la sfida e con l´abilità di focalizzarsi e perseverare; posseggono talenti e prospettive uniche a sufficienza per risolvere i problemi più grandi o migliorare i progetti più impegnativi. Questi sono gli aspie. Sono la prova vivente che i migliori luoghi da frequentare sono sempre quelli che devono ancora essere scoperti."
Il Manifesto
Fortunatamente, negli anni, stiamo capendo che il pregiudizio è una delle maggiori cause di problemi nel mondo e le società civili cercano di educare le giovani generazioni nel rispetto della libertà individuale, di pensiero e degli stili di vita altrui.
Come per le categorie suddette, i movimenti della Neurodiversità, riguardano principalmente la società, il rispetto e l´inclusione.
Noi vogliamo incoraggiare lo sviluppo di una realtà in cui le persone siano valutate in base alla correttezza delle proprie azioni e non in base alla forma del pensiero o ai loro desideri, cioè non in base a come è collegato il loro cervello.
In questa ottica lo spettro autistico è considerata una delle tante forme di neurodiversità, una varietà naturale delle funzioni umane e non una malattia da curare.
E´ naturale per le persone avere paura del diverso, questa paura ha consentito la salvaguardia del genere umano durante la sua fase iniziale di evoluzione, ma si è poi trasformata in causa di guerra, maltrattamenti e discriminazione.
Il termine neurodiversity, neurodiversità, nasce il 30 settembre 1998 in un articolo pubblicato da Harvey Blume nel New York Times ed inviato da Judy Singer (Blume, 1998).
Neurodiversità è una idea per cui lo sviluppo neurologico atipico (neurodivergente dalla norma) è una differenza normale e situata con continuità nello spettro della naturale varianza umana, che deve essere riconosciuto e rispettato come ogni altra variazione biologica di colore, statura, sesso ed inclinazione. Le differenze possono comparire nel modo in cui le informazioni sono acquisite, elaborate e prodotte, nel linguaggio, nei suoni, nelle immagini, nella luce, nella trama, nel gusto, nel movimento e nelle emozioni. (Harmon, 2004)
Il concetto di neurodiversità è quindi nato ad indicare la naturale variazione che porta allo spettro autistico, successivamente questo aspetto ha preso due strade:
Pur rispettando le diverse idee ed estensioni del concetto di neurodiversità per motivi funzionali in questo spazio useremo il termine ad indicare:
le condizioni neurologiche divergenti che nascono a seguito del semplice mescolamento del patrimonio genetico condiviso da tutto il genere umano e quindi che portano allo sviluppo di caratteristiche distribuite con continuità su tutta la popolazione.
In particolare ci focalizzeremo sulle variazioni che portano a comportamenti e modalità di pensiero di tipo autistico.
(Morrice, 2006 e Palfreman, 2009)
Senza perdersi in discorsi riguardanti la correttezza politica del termine disabile, è importante chiarire che esistono persone neurodiverse che sono a tutti gli effetti diversamente abili (nel senso che sono in grado autonomamente di ottenere gli stessi risultati ma usando procedimenti, tecniche, modi di pensiero, differenti), persone neurodiverse che imparano autonomamente le coping skill (abilità di far fronte alle proprie difficoltà) così come ne esistono altre che le ottengono solo dopo un lungo lavoro e altre ancora che non hanno, non per colpa, le risorse per ottenerle a pieno.
In questa ottica l´importante è capire che neurodiversità e disabilità non sono aspetti complementari, ma adiacenti, di una stessa realtà.
La disabilità, sia fisica che mentale, può essere presente in qualsiasi persona, ivi comprese le persone neurodiverse.
Quello che viene chiesto è di non associare direttamente la disabilità ad una caratteristica di pensiero, ma di aggiungerla dove necessario.
Nella visione comune il termine "disabile" è usato come forma di umiliazione, ad indicare una persona costituzionalmente non abile e quindi non adatta, uno scarto, un errore. Noi rifiutiamo questa accezione, ed invece abbracciamo il modello sociale di disabilità:
Il modello sociale di disabilità nasce come reazione al modello medico dominante che trae origine in un´analisi funzionale di tipo Cartesiano del corpo come macchina da aggiustare al fine di conformare la persona ai valori normativi (Paley, 2002).
Il modello sociale di disabilità identifica barriere sistematiche, attitudini negative ed esclusione sociale (volontaria o involontaria) al fine di sottolineare come la società stessa sia il fattore che contribuisce con maggiore peso alla disabilità delle persone.
Mentre le variazioni fisiche, sensoriali, intellettuali e psicologiche, possono causano limiti e difficoltà individuali al funzionamento, le stesse non devono necessariamente condurre ad una disabilità a meno che la società stessa non fallisca nel tenere in considerazione e includere in se stessa tutte le persone senza riguardo delle differenze individuali.
La differenza di vedute è ben spiegata da Mason (Mason, 1994)
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Modello medico | Modello sociale |
---|---|
deficit | risorse |
la persona è fallata | la persona è stimata |
diagnosi medica | punti di forza e di debolezza stabiliti da se e dagli altri |
etichetta medica | identificare le barriere e sviluppare delle soluzioni |
le difficoltà sono l´unico punto di attenzione | va disegnato un programma basato su obiettivi a lungo termine |
diagnosi, monitoraggio, programmi e terapia imposti | le risorse necessarie sono disponibili a tutti per poterne usufruire |
segregazione ed istituzioni differenziate | training per genitori e professionisti |
i bisogni affettivi sono considerati subordinati ai deficit | le relazioni sono sviluppate |
ritiro della diagnosi nel caso di una prognosi buona o esclusione permanente nel caso opposto | la diversità è benvenuta e le persone sono incluse e valorizzate |
la società rimane sterile | la società si sviluppa |
In questo contesto quindi il modello sociale di disabilità e l´idea di neurodiversità vanno mano nella mano.
Esauriti i discorsi sociali bisogna fondare il discorso relativo alla neurodiversità nella scienza, in modo da avere un ponte tra il mondo medico e quello sociale, ma soprattutto basare un qualsiasi discorso sulla prova dei fatti.
Esistono due approcci alle diagnosi rispetto alle condizioni neurologiche e psicologiche che possono essere divisi nei seguenti modi: tassonomico o dimensionale.
Nell´approccio tassonomico, usato solitamente per le diagnosi cliniche/psichiatriche si valuta il soggetto in esame rispetto ad una serie di test al fine di valutarne l´appartenenza (spesso esclusiva) ad una data categoria diagnostica. In questo caso ad esempio "Disturbi dello spettro autistico".
Nell´approccio dimensionale, usato prevalentemente dalla psicologia positiva che studia le variazioni normali della personalità, il profilo della persona è determinato da una serie di tratti ai quali viene dato un peso.
In tempi recenti è sorto l´interesse e la possibilità di effettuare studi famigliari sia attraverso la storia clinica sia attraverso l´analisi del DNA.
Questi studi hanno portato all´uso del termine endofenotipo.
Con endofenotipo si identifica dei tratti che portano, nella popolazione generale, ad una maggiore facilità personale o famigliare a sviluppare una data condizione psichiatrica e che hanno un preciso corrispettivo biologico-genetico.
Gli studi sull´endofenotipo autistico (ma anche di altre condizioni) hanno fatto emergere la dimensionalità delle stesse. Lungi dall´essere categorie chiuse, i diversi tratti che compongono le stesse sono distribuiti uniformemente su tutta la popolazione e spesso non hanno una elevata correlazione tra loro.
Possiamo ricapitolare brevemente le scoperte rispetto all´autismo:
Avendo esposto le basi sociali e scientifiche del concetto, è bene parlare ora delle implicazioni personali e familiari.
Comprendere per migliorare: di pari passo con l´ottenimento dei diritti e del giusto riconoscimento sociale è tuttavia compito di ogni singolo individuo nello spettro (se in grado) e della famiglia (se giovane) di migliorare e cercare di superare le difficoltà. Tutti i bambini sono educati, a tutti i bambini vengono insegnate le cose che gli serviranno nella vita, le persone nello spettro non sono un´eccezione.
Non è colpa dell´autismo: se vostro figlio di 6 anni corre in mezzo alla strada, lo fanno tutti i bambini, non è colpa dell´autismo. Questo per dire di non addossare all´autismo o alla neurodiversità comportamenti che hanno altra origine, sia essa l´età, altre condizioni, traumi passati dalla vita od educazione. L´autismo interagisce con essi in modo particolare, ma appunto è un´interazione. Non sempre si può dividere causa ed effetto, e spesso non è neanche necessario.
Non è la fine: lo scopo di un genitore, compagno, amico, individuo è di aiutare e crescere. Le persone neurodiverse ascoltano, comprendono e costruiscono la propria immagine di se in base a quello che vedono intorno a se, come tutti.
Non è una scusa: ogni persona e ogni famiglia è responsabile di fare il possibile per superare gli ostacoli così come la società, la neurodiversità non è un concetto utile ad adagiarsi sugli allori, ma utile a formare un modello positivo a cui tendere.
La normalità non è un valore: la normalità è un concetto statistico che descrive il comportamento tipico di una popolazione, ciò che è normale varia in ogni ambiente ed epoca, ma soprattutto non è di per se un valore, i valori sono altri, e nel caso, i comportamenti da correggere sono quelli scorretti non quelli anormali.
Vorremmo concludere questo discorso con un motto tratto da Star Trek, telefim caro a molti Aspie, da tenere a mente in ogni discorso:
Infinite diversità in infinite combinazioni
L´aiuto più grande è la condivisione.