-  Mazzon Riccardo  -  09/01/2017

Società a responsabilità limitata: invalidità dell'atto di fusione e risarcimento danni - Riccardo Mazzon

Premesso il divieto, per la nuova società frutto di fusione, di assegnazione di azioni o quote in sostituzione di quelle delle società partecipanti alla fusione possedute, va altresì precisato che, dopo l'iscrizione, l'invalidità dell'atto di fusione non può più essere pronunciata ma resta fermo, però, il diritto al risarcimento del danno, come ne fa fede anche recente casistica giurisprudenziale, specie in materia di cooperative e revocatoria.

 

La società che risulta dalla fusione non può assegnare azioni o quote in sostituzione di quelle delle società partecipanti alla fusione possedute, anche per il tramite di società fiduciarie o di interposta persona, dalle società medesime:

"la società che risulta dalla fusione non può assegnare azioni o quote in sostituzione di quelle delle società partecipanti alla fusione possedute anche per il tramite di società fiduciaria o interposta persona, dalle incorporate medesime o dalla società incorporante. La ratio della norma sarebbe da ricercare nella circostanza che la riserva iscritta in bilancio a fronte delle azioni proprie non rappresenta un valore patrimoniale positivamente esistente e, quindi, non può originare un valore di concambio con le azioni di nuova emissione" (Tamburini 2005, 2565).

Parallelamente, la società incorporante non può assegnare azioni o quote in sostituzione di quelle delle società incorporate possedute, anche per il tramite di società fiduciaria o di interposta persona, dalle incorporate medesime o dalla società incorporante:

"la norma non subisce particolari modifiche, continuando ad essere espressione del principio della c. d. "sterilizzazione" delle azioni proprie" (Di Sabato 1991, 903).

 Eseguite le iscrizioni dell'atto di fusione (cfr. paragrafo 9., capitolo ventitreesimo, del volume: "LE SOCIETA' A RESPONSABILITA' LIMITATA - ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI", CEDAM 2013, Riccardo MAZZON), l'invalidità

"la nozione di invalidità di cui all'art. 2504 quater c.c. include ogni tipo di vizio dell'atto, e si estende a tutto il procedimento di fusione, comprendendo pertanto i vizi che inficiano la validità delle delibere che si inseriscono nel più complesso procedimento della fusione stessa; la disciplina sanante prevista dall'art. 2504 quater c.c., secondo cui eseguita l'iscrizione nel registro delle imprese non può più essere pronunciata l'invalidità dell'atto di fusione, opera anche nel caso in cui la delibera di fusione, successivamente dichiarata nulla, sia stata impugnata prima dell'iscrizione; la sentenza che accoglie la domanda di opposizione alla fusione tempestivamente proposta da un creditore ai sensi dell'art. 2503 c.c., se è pronunciata dopo che l'atto di fusione è stato iscritto e se viene seguita dalla dichiarazione di fallimento della società risultante dalla fusione, non attribuisce a suddetto credito carattere preferenziale, privilegiato o prededucibile rispetto ai crediti della massa" (Trib. Milano 8.9.2003, GMil, 2004, 253)

dell'atto di fusione non può essere pronunciata:

"l'art. 2504 quater c.c. espressamente prevede che, una volta eseguite le iscrizioni dell'atto di fusione, l'invalidità del medesimo non possa più essere pronunziata e la tutela "reale", in cui tale pronunzia si sostanzierebbe, viene sostituita dalla tutela "obbligatoria" del previsto risarcimento del danno. La "ratio" di una siffatta disposizione, chiaramente, si rapporta alla necessità di tutela del pubblico affidamento (connesso all'intervenuta pubblicazione dell'atto) ed a quello che può, ormai, considerarsi come un principio generale del vigente ordinamento societario, cioè quello della "irregredibilità degli effetti organizzativi prodotti", di cui si riscontrano puntuali applicazioni, oltreché nella citata norma, anche negli art. 2332, 2500 bis e 2379 ter c.c. Naturalmente tale principio, applicandosi alla categoria della "invalidità", si applica, ed a ben maggior ragione, a quella della inefficacia: il pubblico affidamento circa l'assetto organizzativo pubblico, riguardando integralmente il patrimonio dei soggetti coinvolti, si riferisce, invero, anche a tutte le pretese creditorie relative a tali patrimoni (qualora esse non abbiano evidenza pubblica ed opponibilità agli altri creditori). Né dicasi che una siffatta disposizione normativa (quella di cui all'art. 2504 quater c.c.), privando il creditore della tutela "reale" nelle forme suddette, possa avere profili di incostituzionalità, per contrasto col disposto dell'art. 2 l. delega 26 marzo 1990 n. 69, che vietava al legislatore delegato di "ridurre in modo sostanziale il livello di protezione accordato dalle disposizioni vigenti…ai creditori": per un verso, infatti, il creditore, che abbia fondate pretese ed abbia fondato timore che la fusione pregiudichi i suoi diritti di credito, ben può chiedere ed ottenere idonee cautele, sia per evitare la pubblicazione dell'atto di fusione, sia per creare sul patrimonio del suo assunto debitore vincoli conservativi di soddisfacimento, che possano essere pubblici ed opponibili agli altri creditori. Né dicasi che una siffatta disposizione normativa (quella di cui all'art. 2504 quater c.c.), privando il creditore della tutela "reale" nelle forme suddette, possa avere profili di incostituzionalità, per contrasto col disposto dell'art. 2 l. delega 26 marzo 1990 n. 69, che vietava al legislatore delegato di "ridurre in modo sostanziale il livello di protezione accordato dalle disposizioni vigenti. ai creditori": per un verso, infatti, il creditore, che abbia fondate pretese ed abbia fondato timore che la fusione pregiudichi i suoi diritti di credito, ben può chiedere ed ottenere idonee cautele, sia per evitare la pubblicazione dell'atto di fusione, sia per creare sul patrimonio del suo assunto debitore vincoli conservativi di soddisfacimento, che possano essere pubblici ed opponibili agli alti creditori" (Trib. Milano, sez. VIII, 5.3.2009, n. 3014, GiustM, 2009, 3, 23; FP, 2010, 2, 387).

Così ha chiarito, anche recentemente, la Suprema Corte (nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto che dai vizi lamentati in ordine alle modalità di rilascio delle deleghe, all'esercizio del diritto di voto e alla redazione del verbale fosse da escludere la derivazione di una macroscopica ed evidente deviazione del procedimento conclusosi con la stipula e la pubblicazione dell'atto di fusione tale da tradursi in una ragione d'inesistenza giuridica di tale atto percepibile anche dai terzi), confermando per l'appunto che, quando l'iscrizione di un atto di fusione nel registro delle imprese sia avvenuta in base a una sequenza procedimentale priva di significative e riconoscibili anomalie esteriori, pur se si voglia (e nei limiti in cui si possa) ipotizzare una ragione d'inesistenza giuridica di una delle deliberazioni assembleari propedeutiche, assunte dalle società interessate all'operazione,

"non ne consegue la giuridica inesistenza anche dell'atto di fusione ormai iscritto nel registro, e resta perciò esclusa la possibilità di impugnarlo al fine di farne venir meno gli effetti o di mettere in discussione gli effetti da esso già prodotti" (Cass. civ., sez. I, 01/06/2012, n. 8864, Gdir. 2012, 31, 50).

In effetti, quando il parametro normativo di riferimento, della fattispecie dedotta in giudizio (nell'esempio che segue, costituita dalla invalidità della delibera di fusione, in considerazione dell'asserita violazione delle norme del codice civile, relative alla determinazione del rapporto di cambio) è costituito, in via primaria dall'art. 2504 quater c.c., è necessario tener conto come tale norma, in omaggio ad esigenze di certezza e di stabilità dei rapporti societari,

"precluda la declaratoria di invalidità della delibera di fusione, una volta che l'atto di fusione sia iscritto presso il registro delle imprese" (Trib Prato, 25/05/2011, n. 579, RN, 2012, 3, 735).

Nonostante, eseguite le iscrizioni dell'atto di fusione, l'invalidità dell'atto di fusione non possa più essere pronunciata,

"sopravvenute durante il giudizio di impugnazione le iscrizioni dell'atto di fusione, non si opera una conversione automatica dell'impugnazione in domanda di risarcimento. È ammissibile la modificazione consequenziale della impugnazione in domanda risarcitoria, una volta sopravvenute le iscrizioni dell'atto di fusione e proposta l'eccezione di inammissibilità dell'impugnazione" (App. Milano 23.5.2003, GI, 2003, 1637)

resta salvo il diritto al risarcimento del danno, eventualmente spettante ai soci o ai terzi danneggiati dalla fusione:

"la delibera di approvazione del progetto di fusione assunta in violazione delle disposizioni degli art. 2501 quater e 2501 quinquies c.c. configura un inadempimento contrattuale della società, la quale è tenuta a rispondere, bei confronti dei soci danneggiati, dei danni che possono derivare dall'inosservanza contestata; la società è responsabile, sia contrattualmente, sia extracontrattualmente, in caso di approvazione ed esecuzione di un progetto di fusione basato su di un'incongrua determinazione del rapporto di cambio; il rapporto di cambio è sindacabile dal giudice quando sia determinato in modo arbitrario o sulla base di dati incompleti o non veritieri" (App. Milano 23.5.2003, GI, 2003, 1637; VN, 2004, 991).

In particolare, la società risponde direttamente, a titolo contrattuale, per i danni subìti dai soci e dai terzi in conseguenza delle invalidità realizzate nel corso del procedimento di fusione, mentre gli amministratori rispondono nei confronti dei soci in via extracontrattuale:

"la norma di cui all'art. 2504 quater c.c. (per la quale "Resta salvo il diritto al risarcimento del danno" anche quando l'invalidità dell'atto deliberativo non può più essere pronunciata) evidenzia che, quanto alla società, il risarcimento del danno derivante dalla delibera illegittima involge una "responsabilità oggettivamente derivante dall'accertamento dei vizi di invalidità della deliberazione nonché dalla lesività della stessa rispetto al patrimonio del socio, il cui carattere esclude la necessità di ulteriore dimostrazione di condotte negligenti di soggetti impersonanti gli organi sociali". Si tratta di una responsabilità autonoma e diretta, cui può aggiungersi quella indiretta ex art. 2049 c.c. per il fatto dei suoi amministratori: ben può esserci, infatti, il concorso della responsabilità di questi ultimi per l'aver predisposto il progetto con quel rapporto di cambio e per aver eseguito una delibera invalida; sicché con la responsabilità diretta e contrattuale della società concorrerà quella extracontrattuale della stessa "dato che il medesimo fatto viola contemporaneamente tanto i diritti derivanti agli azionisti dal contratto, quanto i diritti spettanti alla persona offesa indipendentemente dal contratto stesso". Conforta l'attribuzione di una responsabilità diretta alla società deliberante la considerazione che sul piano giuridico esiste un chiaro criterio di imputabilità degli atti delle persone fisiche alI'ente collettivo (cd. persona giuridica) onde la delibera, frutto dell'espressione di volontà dei singoli soci, è per l'appunto un atto della società; peraltro detto atto costituisce il mezzo attraverso il quale i soci danno esecuzione al contratto sociale, sicché, se la delibera ha costituito un atto illecito (come è nella specie per violazione del diritto dei soci ad un congruo rapporto di cambio), essa non può che dar luogo alla responsabilità contrattuale diretta della società; questa, però, potrà rivalersi sulle persone fisiche (singoli soci ed amministratori) le quali, agendo illegittimamente (rispettivamente abusando del voto o violando nella gestione i doveri imposti dalla legge), abbiano coinvolto la società proprio in forza dei meccanismi di imputazione che presiedono al concetto di persona giuridica, determinando il sorgere di una sua responsabilità patrimoniale ed esponendola al danno del risarcimento" (Trib. Milano, sez. VIII, 27.11.2008, n. 14099, GiustM, 2008, 11, 74; FI, 2009, 9, 2545).

Così, anche recentemente, è stato ribadito come

"con riferimento alla responsabilità risarcitoria ex art. 2504 quater, c.2, c.c., la società risponde direttamente a titolo contrattuale per i danni subìti dai soci e dai terzi in conseguenza delle invalidità realizzate nel corso del procedimento di fusione, mentre gli amministratori rispondono nei confronti dei soci in via extracontrattuale", (Trib Prato, 04/05/2011, www.dejure.it)

posto che, con riferimento alla loro posizione, la norma non prevede altro che un'ipotesi di responsabilità speciale rispetto a quella generale disciplinata ex art. 2395 c.c.; ne consegue che il socio, una volta provato il titolo costitutivo dell'obbligazione inadempiuta (contratto di società) può limitarsi ad allegare l'altrui inadempimento mentre è la società a dover provare il fatto (estintivo) di quest'ultima costituito dall'esatto adempimento.

Si confrontino, in argomento, le seguenti pronunce, rilasciate in ambito di società cooperative

"per effetto del richiamo operato dall'art. 2538 c.c. all'art. 2504 quater c.c., anche in materia di cooperative, l'avvenuta iscrizione dell'atto di fusione ha efficacia sanante delle pregresse deliberazioni, ma limitatamente alle cause che attengono al procedimento o a particolari requisiti dell'operazione negoziale, e non anche con riferimento a quelle che contrastino con norme e principi di ordine pubblico (ad es. contrasto con le normative antitrust o con il divieto di trasformazione in società avente scopo di lucro di cui all'art. 14 l. 17 febbraio 1971 n. 127)"(Cons. St., sez. IV, 14.10.2004, n. 6670, FA, 2004, 2817)

 e azioni revocatorie:

"l'azione revocatoria è un rimedio di carattere generale previsto dall'ordinamento per la tutela conservativa del diritto di credito la cui operatività non è escluda dalla disciplina in tema di invalidità dell'atto di scissione prevista dall'art. 2504 quater c.c. e dall'attribuzione ai creditori di opporsi alla delibera ai sensi dell'art. 2503 c.c." (Trib. Palermo 26.1.2004, DPSoc, 2004, 17, 78).

 




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