-  Mazzon Riccardo  -  22/05/2013

SOCIETA' A RESPONSABILITA' LIMITATA: RAPPRESENTANZA E CONFLITTO D'INTERESSI - Riccardo MAZZON

La rappresentanza generale della società è attribuita ex lege agli amministratori; le limitazioni ai poteri degli amministratori che risultano dall'atto costitutivo o dall'atto di nomina, anche se pubblicate, non sono opponibili ai terzi, salvo che si provi che questi abbiano intenzionalmente agito a danno della società:

"in ipotesi di conclusione di un contratto mediante sottoscrizione da parte del legale rappresentante "pro tempore" di una società a responsabilità limitata senza che risulti indicata "expressis verbis" la società medesima come parte contraente, è possibile ritenere sussistente la spendita dei poteri rappresentantivi qualora in tal senso deponga il comportamento univoco e concludente del sottoscrittore" (App. Milano 14.12.2004, Redazione Giuffrè, 2005 - cfr., da ultimo, "LE SOCIETA' A RESPONSABILITA' LIMITATA - ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI", CEDAM 2013, Riccardo MAZZON);

Gli atti eccedenti i limiti dell'oggetto sociale posti in essere dall'amministratore rimangono quindi, di regola, validi anche se si provi la malafede del terzo (cioè che questi fosse a conoscenza delle limitazioni stabilite dallo statuto) con l'unica eccezione dell' "exceptio doli".

Dal campo di operatività della norma testé esaminata esulano, tuttavia, le ipotesi in cui l'amministratore abbia agito con abuso di rappresentanza, cioè con superamento dei limiti legali (non convenzionali) del potere di rappresentanza, rimanendo questi comunque opponibili ai terzi.

Tra tali ipotesi rientrano certamente gli atti che comportano una rilevante modifica dell'oggetto sociale quali, ad esempio, la cessione dell'azienda costituente la sola attività dell'impresa sociale non accompagnata dal contestuale riacquisto di altra azienda con la quale continuare l'attività d'impresa in precedenza esercitata:

"l'art. 2475 bis c.c. attribuisce agli amministratori di s.r.l. il potere di rappresentanza generale della società e stabilisce che ai terzi non sono opponibili le limitazioni ai poteri degli amministratori che risultano dall'atto costitutivo o dall'atto di nomina, anche se pubblicate, salvo che si provi che i terzi hanno intenzionalmente agito a danno della società" (Trib. Roma, sez. III, 28/04/2011. VN, 2011, 2, 1016).

Si confronti, in argomento, anche la seguente pronuncia (in fattispecie relativa a una domanda proposta dall'amministratore unico - nominato altresì amministratore giudiziario di una società, cui era stata applicata la misura di prevenzione - avente ad oggetto l'ammissione al passivo di un credito della medesima altresì verso un fallimento), laddove è chiarito come, nel caso di confisca, disposta in base alla legislazione antimafia, avente ad oggetto non solo la quota di partecipazione al capitale sociale, appartenente ad una persona fisica, ma anche il patrimonio stesso della società,

"l'amministratore giudiziario dei beni confiscati non può stare in giudizio senza l'autorizzazione dell'organo, cui la l. n. 575 del 1965 (art. 2 novies, introdotto dalla l. n. 109 del 1996) attribuisce il controllo sullo svolgimento delle funzioni proprie dell'amministratore stesso" (Cass. civ., sez. I, 14/10/2011, n. 21240, DeG, 2011; GCM, 2011, 10, 1456).

Se gli amministratori, che hanno la rappresentanza della società, concludono contratti in posizione di conflitto di interessi

"il merito dell'attività gestoria non è di norma suscettibile di sindacato, salvo sia questione di scelte manifestamente illegittime e arbitrarie, prive della minima logicità di conduzione economica. Tuttavia, può essere valutato dal giudice il quadro delle scelte dell'amministratore al fine di verificare l'eventuale omissione di quelle cautele, verifiche o informazioni normalmente richieste per una scelta di quel genere, tali da configurare la violazione dell'obbligo di adempiere con diligenza il mandato di amministratore ovvero la conduzione degli affari in conflitto di interessi. Ne consegue che l'amministratore può essere chiamato a rispondere dei danni prodotti alla società per aver posto in essere quelle condotte che avrebbero dovuto essere compiute con modalità e fini differenti, ma che l'amministratore ha invece perseguito in conflitto di interesse. Si tratta, pertanto, del limite davanti al quale si arresta il generale divieto per il giudice di valutare le scelte gestionali compiute. Non si tratta di valutare con giudizio a posteriori l'economicità di quelle scelte gestionali operate ovvero il mancato profitto conseguito da quella specifica scelta di amministrazione di azienda, quanto di valutare che quello specifico atto gestionale contestato non avrebbe dovuto essere compiuto, con giudizio riferito al tempo della sua consumazione" (Trib. Milano 17.5.2007, n. 6016, GDir, 2007, 42, 82),

con la medesima - per conto proprio o di terzi -, tali contratti possono essere annullati su domanda della società, sempre che il conflitto fosse conosciuto o riconoscibile dal terzo.

Quanto alle decisioni, adottate dal consiglio di amministrazione, con il voto determinante di un amministratore in conflitto di interessi con la società, qualora esse cagionino, alla società medesima, un danno patrimoniale,

"l'art. 2475 ter c.c. – a differenza del vigente art. 2391 c.c. che, per le società per azioni, si limita a chiedere il riscontro di un interesse personale dell'amministratore (anche non confliggente) e la prospettiva meramente "potenziale" del correlativo danno alla società - sanziona le fattispecie ove siano preliminarmente dimostrate tre condizioni: esse sono date dalla contemporanea esistenza di un conflitto di interessi "effettivo" in capo all'amministratore; di un suo voto "determinante" ai fini dell'approvazione della contestata delibera consiliare; di un danno "reale" cagionato alla società con tale decisione. Tale norma si occupa del pregiudizio subito dalla società – anziché dai suoi soci – donde la legittimazione attiva prevista dall'art. 2475 ter comma 2 c.c., risulta testualmente affidata ai soli amministratori ed ai sindaci, sempreché quest'ultimi vi siano. In altri termini, per le società a responsabilità limitata manca una disposizione esplicita corrispondente a quella – viceversa prevista dall'art. 2388 comma 4 c.c. – che, nelle società per azioni autorizza altresì i soci ad impugnare "in proprio" le delibere dei c.d.a., ove riconosciute "lesive dei loro diritti", applicandosi, in tal caso, in quanto compatibili, gli art. 2377 e 2378 c.c." (Trib. Bologna, sez. IV, 20.10.2006, n. 2412, Mer, 2007, 5, 39),

possono essere impugnate - entro novanta giorni - dagli amministratori e, ove esistenti, dai soggetti previsti dall'articolo 2477 del codice civile (sindaci o revisori); 

"l'interesse ad impugnare dei soggetti individuati dall'art. 2477 c.c. sussiste nelle sole ipotesi previste dall'art. 2475 ter c.c., per le delibere adottate dal consiglio di amministrazione in conflitto di interessi con la società a responsabilità limitata. Non trova applicazione il sistema delineato dall'art. 2388 c.c. - e, in quanto compatibili, dagli artt. 2377 e 2378 c.c. - che consente l'impugnativa per lesione dei diritti individuali a favore dei soci di società di capitali; dal difetto di legittimazione stabilito dall'art. 2475 ter c.c. per i soci di società a responsabilità limitata - in mancanza di una disciplina analoga a quella dettata dagli art. 2388 comma 4, 2377 e 2378 c.c. nei riguardi dei soci di s.p.a. - discende l'inapplicabilità dell'art. 700 c.p.c. e dunque l'impossibilità di chiedere la sospensione e/o la revoca in via cautelare delle delibere assunte dal consiglio d'amministrazione" (Trib. Verona 1.9.2004, GM, 2006, 1, 124),

in ogni caso, sono salvi i diritti acquistati, in buona fede, dai terzi, in base ad atti compiuti in esecuzione della decisione de qua.

 




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