Diritto, procedura, esecuzione penale  -  Redazione P&D  -  20/10/2022

Spia con le telecamere nascoste in casa il marito da cui si sta separando: condannata

A scoprire le microspie l'uomo che non aveva però sospettato della moglie. Lei l'aveva denunciato per maltrattamenti, il processo è in corso

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Spiare il marito, piazzando telecamere nascoste in casa per scoprire cosa faccia, è un reato. Ed è per questo che una torinese di 48 anni è stata condannata a due mesi con l’accusa di interferenze illecite nella vita privata.

Per un anno la donna aveva ricevuto sul proprio smartphone le immagini in diretta di tutto quello che accadeva nella casa in cui abitava con il coniuge da cui si stava separando. Le due microspie “Trasmettevano in tempo reale le immagini su un’applicazione installata sul cellulare" e così l'imputata "si procurava indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata”, si legge infatti nel capo d’imputazione.

Le telecamere erano sofisticate e piccolissime: erano due ed erano state nascoste all’interno del sistema antifurto, sostituendo i sensori di allarme. Lui se ne era accorto a luglio 2020, ma inizialmente non aveva pensato che potesse trattarsi di una questione coniugale, e non aveva quindi sospettato della moglie, ritenendo piuttosto che potesse essere vittima di uno spionaggio per motivi professionali. A scoprire che fosse proprio lei la destinataria delle immagini della sua vita privata, erano stati gli inquirenti. E lui, in ogni caso, ha poi preferito non costituirsi parte civile nell’intenzione di lasciarsi la vicenda alle spalle.

Le due microtelecamere puntavano una sull’ingresso e l’altra sul soggiorno. La vittima all’epoca, lavorava fuori Torino e rientrava in quell’appartamento solo nel fine settimana. Il rapporto coniugale, ormai in crisi visto che era già in atto la separazione, aveva attraversato anche altre difficoltà, tanto che è in corso anche un processo parallelo dove la donna sostiene di essere stata vittima di maltrattamenti.

In questo processo si era difesa sostenendo che non volesse spiare il marito per conoscere la sua vita privata, ma solo per tutelarsi convinta di essere a sua volta osservata di nascosto da qualcuno.

Il pm contestava l’accusa in concorso anche a due investigatori privati di una nota agenzia torinese che sono stati assolti perché, secondo il gup,  il fatto, per loro, non costituisce reato.




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