-  Valeria Cianciolo  -  22/03/2016

Stepchild adoption. Il tribunale romano consente l'adozione di un bambino di due papà – Valeria Cianciolo

La lunga e ben articolata sentenza capitolina battuta dalle agenzie di stampa nel pomeriggio di ieri (il 21 marzo 2016 per chi legge) torna a parlare della step child adoption, istituto che nei giorni scorsi ha infiammato la nostra politica con il ddl Cirinnà e che consente l'adozione del figlio del partner in quei Paesi dove le coppie conviventi dello stesso sesso hanno un riconoscimento giuridico.

Il Tribunale per i Minorenni di Roma ha detto sì a una nuova "stepchild adoption". 
È la prima volta in Italia che una coppia di uomini si presenta in tribunale. Fino ad oggi le altre richieste di adozione del figlio del partner sono state portate avanti solo da coppie di donne. Ed è anche la prima volta che un pubblico ministero non si oppone alla sentenza del tribunale nei tempi previsti dalla legge e che questa diventa automaticamente definitiva.

La sentenza riguarda due papà: il bimbo di uno dei due, concepito in Canada, è stato adottato dal compagno del padre. Entrambi i genitori dopo una lunga e collaudata convivenza si erano sposati in Canada e successivamente avevano maturato l"idea di far nascere il loro piccolo con la maternità surrogata in quel Paese, dove la surrogacy non ha alcuno sfondo lucrativo.

La conferma della sentenza è arrivata dal giudice Melita Cavallo, presidente, fino a gennaio scorso, del tribunale per i minori, la quale ha così spiegato la sua decisione: «Bisogna tutelare la continuità affettiva così come riconosciuto dalla legge del 2015», ha spiegato, sottolineando come il bambino non solo riconosca la genitorialità di entrambi gli uomini ma è anche al corrente delle sue origini e in contatto con la madre di pancia.

Si tratta della terza sentenza favorevole alla stepchild adoption nel solo mese di marzo.
Accade così che mentre il Parlamento ha preferito lasciare in sospeso questo aspetto particolare ma importante dei diritti civili per gli omosessuali, i giudici decidono i casi concreti.

Un fatto che sembra piuttosto strano in Italia, se si considera che la battaglia per le unioni civili ha tenuto sotto scacco per settimane la nostra politica.

Eppure nel XXI secolo così non dovrebbe essere perché si sa che per fare un bambino, ci vogliono l"ovocita e lo spermatozoo, la femmina e il maschio, ma sa anche che ovocita e spermatozoo possono incontrarsi in modi altri che non sono il rapporto sessuale, che si può diventare genitori di figli nati da precedenti relazioni del partner, che esistono genitori adottivi, i quali a lungo concepiscono nei loro affetti e pensieri un figlio concepito biologicamente, ma poi rifiutato, da altri genitori. E sa anche che i figli di genitori omosessuali, nati da forme alternative di concepimento, sono invece a lungo desiderati e perseguiti, come è anche per le coppie eterosessuali che si rivolgono alla fecondazione assistita. Insomma, avere un bambino non è maschile o femminile, ma solo umano.

Ma quel che accade, ci impone di capire e guardare il mondo senza pregiudizi, con meraviglia o persino con fiducia se due persone dello stesso sesso  decidono di avere un bambino.

Questo è il caso esaminato dal Tribunale per i minorenni di Roma nel quale la possibilità di applicare alla richiesta di adozione di minore, avanzata dal coniuge di una persona dello stesso sesso, genitore del minore, è stata riconosciuta, attraverso la ormai collaudata interpretazione delle ipotesi di adozione non legittimante contemplata dall"art. 44 c. 1 lett. d) l. n. 184/1983 che ha smarcato la adottabilità dalla "condizione di abbandono del minore", agganciandola a quella dell"impossibilità di procedere all"affidamento pre-adottivo del minore anche di diritto – e non solo di fatto: innovativa interpretazione del quadro normativo, pienamente ammissibile posto che nella lettera e nella ratio della stessa nulla vi è che imponga tale interpretazione.

La querelle circa la possibilità di colmare il vuoto normativo sulla possibilità di adottare correlata al divieto di matrimoni same-sex (si spera che duri ancora per poco nel nostro Paese), per il tramite di una legge ordinari, interessa chi si occupa di diritto. Assai meno, forse, i destinatari che reclamano una risposta concreta da parte dello Stato.

A tale inerzia, sono riscontrabili essenzialmente due livelli di reazione: o si evoca l"esistenza di principi già vigenti che potrebbero offrire una diretta tutela o si chiede al giudice nazionale di misurarsi con l"efficacia di provvedimenti giudiziari adottati all"interno di altri Paesi che invece riconoscono a vario titolo i diritti delle coppie omosessuali.

Il contatto del giudice con principi elastici, clausole generali, vuoti normativi evoca scenari di solitudine che si prestano, quasi ineluttabilmente, a giudizi di valore radicali sul ruolo del giudiziario. Giudizi per l"un verso rivolti a enfatizzare il carattere sostanzialmente "libero" dell"agire di un giudice sempre più protagonista, sempre più artista, sempre più legislatore, fino al punto di intravedere in questo attivismo senza regole, seri pericoli per l"ordine democratico.

Melita Cavallo non ha sovvertito alcun principio. Non ha messo in pericolo l"ordine democratico, ma ha fatto quello che nel nostro Paese negli ultimi anni è stato spesso chiamato a fare il giudice non lasciandosi intimidire dalle difficoltà che si ergono sulla strada delle tutele, garantendo risposte efficaci e precise ai diritti invocati.

Il Tribunale capitolino presieduto da Melita Cavallo ha preso atto dei "principia" espressi dalla Corte dei diritti umani in tema di protezione delle coppie omosessuali  e ne ha verificato le ricadute che possono avere nell"ordinamento interno muovendo dal riconoscimento progressivo della protezione sotto il paradigma dell"art. 8 CEDU della sfera familiare delle coppie omosessuali. Il deficit di protezione rispetto alla tutela apprestata dal sistema nazionale costituisce la vera e propria testa di ponte per riconoscere la violazione del combinato disposto di cui agli artt. 14 e 8 CEDU e rappresenta il punto di partenza per modificare l"assetto normativo silente rispetto al riconoscimento di un diritto alle persone omosessuali, sia esso diretto ad ottenere protezione giuridica alla convivenza ovvero a spiegare effetti in tema di adozione.

La sentenza capitolina rammenta la sentenza del 21 luglio 2015, il caso Oliari e a. contro Italia, dove la Corte di Strasburgo ha accertato la violazione dell"art. 8 CEDU da parte dell"Italia per aver omesso di adottare una legislazione diretta al riconoscimento e alla protezione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso.

La Corte, richiamando la propria recente giurisprudenza in tema di diritti delle coppie same sex (Schalk and Kopf e Vallianatos), ha ribadito che le coppie formate da persone dello stesso sesso hanno la medesima capacità di dare vita ad una relazione stabile ed hanno il medesimo bisogno di riconoscimento e di protezione della propria unione di quelle formate da persone di sesso diverso.

Il Collegio capitolino dopo aver richiamato la giurisprudenza comunitaria e quella nazionale, afferma: "…che il desiderio di avere dei figli, naturali o adottati, rientri nell"ambito del diritto alla vita familiare, nel vivere liberamente la propria condizione di coppia riconosciuto come diritto fondamentale, anzi ne sia una delle espressioni più rappresentative."

Facendo tesoro di queste preziose statuizioni giudiziarie, il Tribunale capitolino si interroga sulla consistenza concreta del diritto alla vita privata e familiare nelle realtà omogenitoriali, prendendo spunto tra l'altro dalle recenti sentenze gemelle della Corte europea dei diritti umani del 26 giugno 2014 (n. 65192/11, Mennesson c. France e n. 65941/11, Labassee c. France). In tali decisioni la Corte di Strasburgo ha rimproverato la Francia per non aver consentito la trascrizione dell'atto di nascita estero dei figli nati dalle coppie francesi che avevano fatto ricorso alla surrogazione di maternità negli Stati Uniti. Per il Tribunale tale divieto viola il diritto del minore al rispetto della propria vita privata, la quale «include il primario interesse a definire la propria identità come essere umano, compreso il proprio status di figlio» (Mennesson, cit., § 99; Labassee, § 78).

L"American Academy of Pediatrics (Aap) ha pubblicato un importante documento in cui afferma che, «nonostante le disparità di trattamento economico e legale e la stigmatizzazione sociale», trent"anni di ricerche documentano che l"essere cresciuti da genitori lesbiche e gay non danneggia la salute psicologica dei figli e che «il benessere dei bambini è influenzato dalla qualità delle relazioni con i genitori, dal senso di sicurezza e competenza di questi e dalla presenza di un sostegno sociale ed economico alle famiglie».

Chissà quando lo capiranno i nostri politici!




Autore

immagine A3M

Visite, contatti P&D

Nel mese di Marzo 2022, Persona&Danno ha servito oltre 214.000 pagine.

Libri

Convegni

Video & Film