Deboli, svantaggiati  -  Redazione P&D  -  12/09/2021

Storia di Marzia - Paolo Cendon

(da ‘’Rifiorire’’, Corsiero, 2021)
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 Quarantacinque anni, vive a   Torino con un compagno, Ugo: lei insegnante di disegno alle scuole medie, pittrice dilettante; lui giornalista free lance, buon carattere.  Insieme da vent’anni, vanno d’accordo: mai sposati, due figlie sui quindici anni.
 Sempre graziosa Marzia, occhi verdi, mai stata ricca; Ugo alti e bassi economicamente.
 Il padre di Marzia adesso, personaggio centrale nel racconto. Pensionato alle poste, vedovo da qualche anno, abita a Genova; si ammala a un certo punto di Parkinson, in forma grave: sorgono complicazioni, due anni dopo è in carrozzina. Ancora un po’ e l’autosufficienza nell’uomo scende al minimo: Marzia, che è la sua unica figlia, gli propone di venire a vivere a Torino, da lei; amava molto il padre, da bambina, ne era più che ricambiata. Lui accetta di trasferirsi.  
 E’ una scelta che si rivela ben presto sbagliata.   Appartamento piccolo, niente ascensore, tre scalini all’interno; affezionate le nipotine, peccato spazi così stretti, un solo bagno. La vita in casa si fa ogni giorno più complicata; inevitabile dopo un po’ pensare a una sistemazione in istituto.
 Neanche alla residenza “Le foglie verdi” andrà bene tuttavia. Riva destra del Po, alla base della collina, si tratta di un villone in degrado, un po’ isolato; stanze a due letti, l’uomo resterà lì un anno e mezzo.  I soldi della pensione bastano appena per la retta.
  Marzia va a trovarlo ogni due giorni; scontento il padre però, non si trova bene, anche se di rado protesta: delicato di stomaco, le pietanze che cucinano non sono adatte a lui, salsicce, brodo, fagioli, pesce surgelato. Depresso, le forze in calo; anche i giretti con Marzia, sulla riva del Po, in carrozzina, diventano a un certo punto   problematici. Avverrà di notte la morte, all’improvviso, per collasso cardiaco; cerimonia   in chiesa, sepoltura a Torino, alle spese funerarie pensa Ugo.  E’   in quel periodo che Marzia comincia a bere.
 Di nascosto a casa, da sola: vino le prime volte, poi birra, spumantini, vermouth; più tardi amari, porto, marsala. In quantità crescente, prima alla sera, poi anche il pomeriggio; da un certo momento già la mattina.  
 Presto se ne accorgono i suoi; lei prima nega, poi minimizza, alla fine ammette: si sente in colpa, ecco la spiegazione, per non aver tenuto il padre con sé sino alla fine.  ‘Non sapete come mi guardava quando lo salutavo, a fine visita”. “Potevamo cercare una casa più grande, forse, non allontanarlo così”.
 Per un po’ non migliorano le cose: abile Marzia nel nascondere le bottiglie, nel diradare il sentore dell’alcol, con gli incensi; mente su tutto, isolata dalle amiche, non fa confidenze a nessuno. Una notte si alza, va in bagno, beve un sorso di troppo; perde il controllo, cade uscendo dalla doccia. Commozione cerebrale, polso sinistro rotto, tre giorni d’ospedale.
 Capisce finalmente di dover fare qualcosa; prende un’aspettativa a scuola, va da una psicologa, consigliatale da un’amica.  Tanti poi i mini-cambiamenti: riesamina il passato, vita sportiva, farmaci leggeri; comincia lentamente a migliorare. Trova vecchie lettere in cui il padre parla bene di lei, si rinfranca; riprende   con la pittura, disegni figurativi, schizzi a china con lei alle elementari.
 Non beve più oggi, fuma di meno. Ombre di ritorno ogni tanto; sono passati sei mesi dalla caduta, cura di più i vestiti, dieta, bicicletta, nuovo taglio di capelli.  Le figlie affettuose, dimostra meno di quarant’anni; con Max una specie di ritorno d’amore, week-end a due ogni tanto. Dovrebbe reggere”.




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