-  Rossi Stefano  -  12/12/2012

SULLA SENTENZA CASS. N. 16754/2012: VOCI DA UN DIBATTITO PLURALE

Si riporta all"attenzione del lettore un interessante dibattito sviluppatosi, sulla sentenza della Cassazione n. 16754/2012 tra esponenti rappresentativi di quel mondo complesso e variegato che ha cura e tutela dei diritti delle persone disabili.

 

Quel retrogusto di carattere eugenetico

Franco Bomprezzi

Qualcuno troverà ineccepibile la Sentenza con cui la Cassazione ha deciso di risarcire con un milione di euro non i genitori, ma una giovane donna con sindrome di Down, per essere "nata così", a causa dell"errore di un medico. «Io invece – scrive Franco Bomprezzi – sono molto turbato dalle conseguenze logiche e morali di una Sentenza che sancisce come "nascere con una disabilità sia un disastro"!»

Matteo è uno dei protagonisti della campagna denominata "Siamo differenti. Tra noi", promossa dal CoorDown (Coordinamento Nazionale Associazioni delle Persone con Sindrome di Down), in vista della Giornata Nazionale del 14 ottobre

Ammetto di essere molto turbato dalle conseguenze logiche e morali di una sentenza clamorosa, ma che stranamente, per ora, ha avuto scarsa eco, forse per l"imbarazzo che suscita e per il rispetto doveroso nei riguardi della famiglia al centro della vicenda. Una bambina che nasce con la sindrome di Down, in poche parole, ha un danno per la propria vita che oggi si può quantificare: un milione di euro. Una somma da destinare non ai genitori, ma proprio a lei, alla bimba, ora ragazza. Lo ha deciso in via definitiva la Cassazione. La storia nasce a Castelfranco Veneto, in provincia di Treviso, ma ciò che a me colpisce non è il merito della sentenza, ma la cultura che l"ha prodotta, e che la sostiene. In estrema sintesi, una donna, incinta, chiede al medico di effettuare esami tali da tranquillizzarla sulla salute del nascituro. Il medico non le ordina – fra i vari esami di routine – quelli che consentono la diagnosi precoce di una serie di possibili malformazioni genetiche, fra cui la sindrome di Down. La bambina nasce proprio con tale sindrome. I genitori denunciano il medico e l"ospedale. Ritengono di non essere stati messi in condizione di decidere se portare avanti o meno la gravidanza. Il tribunale dà loro torto per due volte, fino al verdetto ribaltato in Cassazione. Ma la vera novità, che l"avvocato della famiglia giudica infatti una «rivoluzione copernicana», è che per la prima volta si stabilisce che nascere con un handicap è un danno gravissimo per la persona che nasce, non per i genitori. E quindi il bambino con disabilità ha diritto a un indennizzo, per i danni che la sua vita comporterà in modo permanente.

Sono certo che moltissime persone riterranno questo ragionamento del tutto corretto, anzi ineccepibile, giusto. Diranno: «Finalmente!». Io sinceramente sono invece terrorizzato dall"idea che passa attraverso questa Sentenza. In Italia, da oggi in poi, è sancito che nascere con una disabilità è un disastro. È una vita persa in partenza. Non è un ragionamento legato all"eterna e mai risolta diatriba attorno all"aborto, si badi bene. È qualcosa di più sottile e di più inquietante. Si stabilisce che un bimbo con sindrome di Down vale un milione di euro (di danni). Se c"è un modo per quantificare lo stigma attorno alla disabilità, questo è uno dei più sottili e convincenti, proprio perché si traduce in denaro, ossia in risorse fornite alla ragazza con sindrome di Down, per "rifarsi una vita", visto che la sua – poveretta – è "di seconda scelta", di scarsa qualità, definitivamente compromessa.
Non voglio certo negare le difficoltà che tuttora esistono nell"educazione e nella crescita di un bambino con una disabilità congenita, anche se negli ultimi anni abbiamo esempi eccellenti di vita piena e dignitosa di tante persone con sindrome di Down. Ma questo retrogusto di carattere eugenetico mi preoccupa. Ci vedo l"eco di teorie utilitaristiche del primo Novecento, le stesse che – importate dagli Stati Uniti in Nord Europa e in Germania – hanno condotto fino alle teorie eugenetiche condotte all"estremo esito dello sterminio nazista, raccontato stupendamente da Marco Paolini in Ausmerzen vite indegne di essere vissute.

Meglio non nascere, dice in sostanza la Cassazione. E se si nasce con un handicap, è colpevole chi non ha fatto la propria parte per evitarlo. E deve pagare. Tanto. Mi guardo allo specchio: ho sessant"anni. Sono nato con venti fratture per gli esiti dell"osteogenesi imperfetta. Una vita segnata, certo. Ma che vita. Anche mia madre non sapeva, allora, che le cose sarebbero andate così. Non so, sospendo il giudizio. Il mio personale giudizio.

L"Autore è Direttore responsabile di Superando.it.

 

Quella sentenza che riflette il comune modo di pensare

Salvatore Nocera

«Dissento dall"interpretazione che Franco Bomprezzi ha dato di quella Sentenza con cui la Cassazione ha risarcito con un milione di euro una giovane donna nata con la sindrome di Down»: lo scrive Salvatore Nocera e ne spiega le ragioni, pur dichiarandosi convinto che Bomprezzi abbia voluto «costringere tutti a riflettere su come la società veda ancora la disabilità come una "disgrazia" o una "sventura"»

Condivido sempre, sin nelle virgole, gli articoli dell"amico Franco Bomprezzi, perché mi ci ritrovo per ispirazione, logica e sentire profondo che mi ispirano. Stavolta, però, debbo dissentire da quello pubblicato il 9 ottobre scorso su queste pagine ["Quel retrogusto di carattere eugenetico", N.d.R.], forse perché sono troppo condizionato dalla mia deformazione professionale di avvocato.
Bomprezzi dice sostanzialmente che stabilire in sentenza che nascere con sindrome di Down è un «fatto dannoso» e che richiedere un grande risarcimento dei danni costituisce un precedente di «retrogusto eugenetico ».

Intendiamoci: qui non siamo in presenza di quelle sentenze americane fatte proporre dai figli contro i genitori perché li hanno fatti nascere con disabilità e con le quali si chiedono loro i danni. Qui siamo in presenza di una famiglia che chiede i danni a un medico che avrebbe dovuto usare la sua competenza professionale per dar loro delle informazioni obbligatorie per legge, circa la possibilità o meno di arrivare a un aborto, se l"esito delle analisi fosse stato positivo.

La Magistratura valuta per legge, secondo quod plerumque accidit (il comportamento dell"uomo comune), e non secondo la visione della nostra vita di persone con disabilità che abbiamo maturato negli ultimi decenni. Ovviamente, poi, la Magistratura stessa punisce non la nascita della persona con disabilità, ma il medico che non ha informato la madre, come è imposto dalla legge, e siccome il danno patrimoniale – dovuto alle condizioni di vita "con disabilità" – è risentito dall"interessata, ha condannato il medico a rifonderle un risarcimento economico, poiché secondo appunto il modo comune di pensare, la vita di una persona con disabilità è molto più onerosa di quella di chi tali disabilità non ha. A me sembra che il punto sia solo questo.

Che poi invece noi – alcune persone con disabilità – abbiamo maturato la convinzione che una vita con disabilità sia non solo degna di essere vissuta, ma anche di essere vissuta con soddisfazione, questa è una conquista che non è comune a tutte le persone con disabilità e ancor meno alle altre. La Magistratura, pertanto, non può mettersi nei panni di coloro i quali (non molto) abbiano raggiunto questa conquista, ma deve socialmente giudicare secondo le leggi e le leggi sono formulate secondo il comune modo di pensare. A meno di non ritenere che siano le stesse leggi ad "istigare" una visione pessimistica dello stato di vita delle persone con disabilità, Ma allora è con le norme che bisognerebbe prendersela.

E tuttavia, anche in questa ipotesi, io, mettendomi nei panni dell"uomo comune, ritengo che le leggi – e nella fattispecie la Legge 194/78, che consente l"aborto qualora la notizia di una nascita con disabilità crei gravi sofferenze psicologiche alla madre – sia una norma che rispetta il comune modo di pensare della gente, anche se da cattolico non la utilizzerei. A tale visione noi, persone con disabilità, contrapponiamo la nostra, che però ci siamo conquistati con lotte contro la società e talora anche contro noi stessi; lotte che non tutte le persone con disabilità sono in grado o hanno la forza di sostenere. A meno che – altra questione – non si voglia sostenere che «handicap è bello», come dichiarano alcuni oltranzisti americani, quali ad esempio quelle persone sorde che hanno costituito l"associazione "Orgoglio sordo" [Deaf Pride, N.d.R.], con la quale si impegnano – qualora potessero riacquistare l"udito – a rifiutare qualunque intervento perché loro si ritengono «la razza eletta di una comunità che costituisce una minoranza linguistica».

Sono certo che Franco Bomprezzi non condivida queste assurdità, ritenendo invece che – com"è suo solito – abbia voluto costringerci a riflettere su come la società veda ancora la disabilità come una "disgrazia" o una "sventura". E a mio avviso lo sarebbe, se non fosse intervenuta la lotta per l"inclusione che ci ha portato a conquistare una serie di diritti, senza i quali saremmo in uno stato di emarginazione, nel quale tuttavia rischiamo di tornare, se le politiche sociali mondiali e italiane abbatteranno le certezze e le conquiste che guadagnate in tanti decenni di battaglie.

L"Autore è Vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell"Handicap).

 

Ma chi ha ragione su quella sentenza ?

Giorgio Genta

Nell"interessante dibattito aperto su queste pagine dalla Sentenza con cui la Corte di Cassazione ha risarcito con un milione di euro una giovane donna nata con la sindrome di Down – tema sul quale sono intervenuti, tra gli altri, Franco Bomprezzi e Salvatore Nocera – si inserisce anche Giorgio Genta, che tenta di cogliere il comune sentire di due tesi da lui ritenute «solo apparentemente contrapposte»

Alice è tra i protagonisti della campagna denominata "Siamo differenti. Tra noi", promossa dal CoorDown, in occasione della Giornata Nazionale delle Persone con Sindrome di Down del 14 ottobre

Quella sentenza della Corte di Cassazione – per molti versi clamorosa – che ha riconosciuto a una famiglia un indennizzo di un milione di euro per la nascita di una bimba con sindrome di Down – malgrado la madre avesse espresso chiaramente la richiesta che venisse effettuata tutta la diagnostica per conoscere il possibile verificarsi di tale eventualità e il medico non avesse poi prescritto gli esami specifici – ha aperto un interessantissimo dibattito nel mondo delle persone con disabilità, con gli interventi su queste pagine, tra gli altri, di Bomprezzi e Nocera .

Ebbene, il fatto clamoroso è rappresentato dal riconoscimento dell"indennizzo del danno anche a favore della bambina stessa, oltre che naturalmente della famiglia. Bomprezzi sostiene in sintesi che questo assunto – che la disabilità, cioè, sia di per sé "un danno" e quindi sia risarcibile nei confronti dell"interessato – nasconda preoccupanti significati di sapore eugenetico, mentre Nocera analizza la Sentenza "secondo il comune sentire", portandolo ad ammettere che per la maggioranza della popolazione, si è ancora lontani dal non considerarla tale. La stima e l"ammirazione che proviamo per entrambi gli interlocutori ci induce ad entrare cautamente nel dibattito e ad esprimere il nostro pensiero, che tenta di cogliere il comune sentire di due tesi che a parere di chi scrive sono solo apparentemente contrapposte.

In via di principio, riteniamo che il nascere "con disabilità" non dovrebbe costituire una discriminante al diritto di nascere. Riconosciamo tuttavia che la scelta se far nascere o non far nascere una persona con grave disabilità sia di esclusiva pertinenza della madre, nel rispetto della legge e della libertà personale. Ci permettiamo solo di rammentare che molte delle "non nascite" sono da ascriversi a colpe della società, che non ha saputo o voluto eliminare, superare o ridurre fortemente l"handicap, che accompagna un"esistenza con disabilità. Dobbiamo altresì riconoscere che la quantificazione economica del danno personale di nascere con una grave disabilità abbia fondate ragioni. In termini economici, infatti, tale evento comporterà non solo – e "fatalmente" – una forte riduzione della capacità di produrre reddito da parte della famiglia (ad esempio con l"abbandono del lavoro da parte della madre), ma impedirà quasi altrettanto "fatalmente" alla stessa persona con disabilità di produrne, raggiunta l"età lavorativa. Possiamo dunque sostenere che vi sia un danno economico risarcibile anche verso la persona con disabilità stessa, dovuto all"handicap prodotto dalla disabilità e non alla disabilità di per se stessa, e che tale danno permanga anche oltre l"esistenza della famiglia, intesa come genitori della ragazza. Appare tuttavia dubbio che tale danno possa avere un identico risarcimento, se provocato oppure se non rilevato per tempo.

Realisticamente, infine, dobbiamo riconoscere che esistenze fortemente volitive e compiutamente realizzate, come quelle di Bomprezzi e di Nocera, rappresentino ancora l"eccezione alla quale mirare piuttosto che la consuetudine nel mondo delle persone con disabilità e che tuttavia tale mondo sia impegnato in una stupefacente evoluzione che lo porta a reclamare e a compartecipare alla conquista dei propri diritti di "persone normali con esigenze speciali".

 

Tratto da www.superando.it




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