-  Scozzafava Guendalina  -  20/01/2015

TALVOLTA GLI ANGELI NON HANNO LE ALI - Guendalina SCOZZAFAVA

Stranieri e Immigrazione

Sbarchi

Le forme di accoglienza possibile

 

Talvolta gli angeli non hanno le ali, ma diventano un appoggio per zoppicare, si bagnano nelle fredde domeniche di gennaio, sanno leggere una vita dai suoi piedi

Il racconto di un angelo senza ali che il 16 gennaio 2015 era presente all'ultimo sbarco ... di più non vuole dire di sè, ma le sue parole raccontano quanto serve

"Il 16 gennaio un caro amico mi scrive un messaggio con una semplice domanda: "che farai domenica?". Domenica?, "si, è la giornata mondiale del migrante. Tu hai sempre a che fare con loro, che programmi hai?". La risposta, che sarebbe stata piuttosto semplice, 'nulla', è invece stata sostituita da una chiamata improvvisa: domenica mattina sbarco, ore 08.30 al porto. Ed ecco che nel giro di quindici secondi ho programmato la mia domenica! Arrivato al porto vedo già tutti schierati sul molo, la nave è già attraccata, la passerella assicurata. Mentre indosso la tuta e la mascherina protettive vengo colpito da una suora che insieme ad alcuni scout sta sistemando una notevole pila di scarpe. Una scena già vista, ma che per qualche motivo questa volta mi rimane nella mente. Ma non c'è il tempo di pensare al perché, i migranti, i protagonisti inconsapevoli di questa giornata mondiale, stanno scendendo. Arrivano prima quelli che stanno male. Uno zoppica, aiuto il dottore a capire il problema, il ragazzo mastica un poco l'inglese. Il dottore lo affida a me, lo porto in ambulanza per la medicazione. Nel tragitto si appoggia a me per non pesare troppo sul piede ferito, sul quale il mio sguardo cade. E' scalzo, le unghie distrutte dai chilometri percorsi.I soccorritori non ci metteranno molto a medicarlo. Dopo averlo tranquillizzato un poco lo lascio nelle esperte mani dei miei colleghi, poi mi sposto di nuovo vicino al medico. Ecco un altro ragazzo, avrà solo qualche anno più di me. Parla inglese, capisco che ha delle ustioni da petrolio ad entrambi i piedi. Il dottore affida anche lui a me. Anche lui si appoggia, ma il fastidio si fa sentire comunque. Nel tragitto fino all'ambulanza parlo con lui. Ci scambiamo i nomi, gli do il benvenuto in Italia. Alla parola 'welcome' gli si illumina il sorriso, non smette di ringraziarmi. Arrivati in ambulanza c'è da aspettare, il ragazzo di prima non ha ancora  finito. Guardo di nuovo i piedi del ragazzo appoggiato a me...e capisco tutto! Ecco perché le scarpe mi hanno colpito! I piedi sono i protagonisti silenziosi di questa esperienza. Sono loro che hanno sostenuto il peso del viaggio, il dolore della barca, la fatica necessaria a realizzare un sogno nuovo. Forse è per questo che ad ogni sbarco persone straordinarie si prodigano per reperire scarpe e calze. Chiedo al mio nuovo amico che numero ha. All'inizio è confuso, non capisce bene perché gli faccio questa domanda così strana. "Fourty one, maybe fourty two". Ho un numero, lo aiuto ad appoggiarsi all'ambulanza, poi scappo via. Vado dalla suora che ho visto neanche un'ora prima. Mi da un trentanove, è dispiaciuta, dal quaranta in su è andato tutto esaurito. Le scarpe sono andate a ruba. Le porto al mio amico, ed ecco il secondo luminoso sorriso. Mentre gli porgo le scarpe non la smette di ringraziarmi. Nonostante le ferite ne prova una, ma è davvero troppo, troppo piccola. Credo che nel mio sguardo lui abbia letto la mia frustrazione, mi stringe la spalla e mi dice di non preoccuparmi, lo apprezza davvero, ma è meglio dare le scarpe a qualcun altro. I ruoli si sono invertiti, per un attimo è lui che consola me. E' il suo turno. Accompagno il primo ragazzo, che ancora zoppica vistosamente, nella tenda dove ci si prepara per salire sul bus. E' ancora spaventato, o confuso, non riesco a farmi capire bene. Accoglie con timore un bicchiere di tè caldo ed il foglio con le informazioni. Gli spiego che adesso starà al caldo nel bus, andrà via da qui, si prenderanno cura di lui. Abbozza un sorriso. Mentre lo guardo salire con la coda dell'occhio mi accordo che stanno distribuendo anche delle calze! Colgo l'occasione al volo, me ne faccio dare un paio. Torno in ambulanza dove nel frattempo il mio amico è stato medicato. Gli faccio vedere le calze e comincia una nuova serie di ringraziamenti. Almeno i piedi, adesso, hanno trovato una piccola, nuova, casa pulita. Rimango con lui fino alla partenza del bus. Mi racconta un pezzo della sua vita, un pezzo del suo viaggio. Mi chiede di poter rimanere in contatto con me e dice di avere un account su un social network. Si scusa, non sa quando potrà accedervi di nuovo, ma ci tiene ad avermi tra i suoi amici. Di rimando mi scuso per la mascherina che nasconde quasi tutto il mio viso, rendendo la conversazione a tratti difficile, ma lui capisce, sa che dobbiamo seguire le regole, e dice che comunque riesce a vedere la parte importante del mio viso, gli occhi. È arrivato il momento di salire sul bus. Ci stringiamo forte le spalle, non c'è il tempo di un abbraccio, gli auguro buona fortuna, "thank you for all, I really appreciate". Al mio caro amico vorrei dire: ecco come ho passato la giornata mondiale del migrante! Ho scoperto che i piedi sono il motore. E non esistono barriere che la solidarietà ed il dono non possano abbattere. Buona fortuna. E buon viaggio. "

 




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