Deboli, svantaggiati  -  Alceste Santuari  -  14/04/2023

Terzo settore e amministrazione condivisa: una nuova legge della Regione Emilia-Romagna

E’ noto che la Riforma del Terzo settore non richiede una “trasposizione” regionale delle disposizioni ivi contenute, atteso che legge nazionale rientra nella “materia statale” dell’ordinamento civile. Tuttavia, è altrettanto noto che le Regioni, in forza delle competenze primarie e concorrenti ad esse attribuite dalla Costituzione in molteplici ambiti e settori di intervento degli Enti del Terzo settore, abbiano, in questi ultimi anni, approvato discipline regionali (si pensi, in ordine cronologico, alle leggi delle Regioni Toscana, Molise e Umbria) finalizzate a promuovere e sostenere l’azione del Terzo settore.

Ora, alle leggi già citate, si aggiunge anche quella approvata dall’assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna in data 5 aprile 2023 (deliberazione legislativa n. 64). In primo luogo, essa assegna a tutti i livelli istituzionali ed amministrativi regionali il “mandato” di applicare il principio di sussidiarietà (orizzontale), quale parametro per valorizzare l’apporto originario, autonomo, indipendente e creativo degli enti del terzo settore e della cittadinanza attiva organizzata. Non si tratta, a ben vedere, di previsione innovativa nel panorama delle leggi regionali in materia di rapporti tra enti pubblici ed enti non lucrativi. Ciò nondimeno, si tratta di una disposizione significativa, indice della volontà del legislatore emiliano-romagnolo di riconoscere, promuovere e valorizzare il ruolo, il valore e la funzione del Terzo settore nel perseguimento di finalità di interesse generale. In questo senso, degna di nota è la disposizione contenuta nell’art. 5, comma 2 della legge regionale, che attribuisce agli enti pubblici la responsabilità di assicurare “nell’esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi inerenti le attività di interesse generale, il coinvolgimento attivo degli Enti del Terzo settore”, così come stabilito dall’art. 55 del Codice del Terzo settore. In quest’ottica, la legge in parola riconosce l’importanza che i Comuni (e noi aggiungiamo le Ausl) si dotino di propria disciplina regolamentare, per permettere un migliore, più efficace e ordinato rapporto con gli enti non lucrativi, siano essi di Terzo settore o meno.

In secondo luogo, la legge regionale individua uno specifico luogo (Osservatorio), deputato, tra l’altro, a “monitorare gli interventi attivati sul territorio diretti a realizzare l’amministrazione condivisa” (art. 12, comma 2, lett. e). In questa prospettiva, si può ipotizzare che l’Osservatorio potrebbe analizzare i diversi strumenti di cooperazione tra enti locali ed organizzazioni non profit, al fine, in particolare, di evidenziare i profili innovativi e le difficoltà incontrate nelle procedure non competitive di individuazione dei soggetti del terzo settore. La ricognizione proposta potrà essere utile sia per valutare l’andamento delle procedure improntate alla collaborazione tra pubbliche amministrazioni e soggetti del terzo settore sia per verificarne la tenuta, l’efficacia e l’efficienza rispetto alle procedure di natura concorrenziale.

In terzo luogo, la legge regionale riconosce l’istituto giuridico dell’accreditamento (libero) quale esito dell’istituto giuridico della co-progettazione. E’ questo uno strumento utile e funzionale, in particolare, in ambito sanitario e socio-sanitario, per sperimentare nuovi percorsi di presa in carico di persona con fragilità e disabilità (es. budget di salute), attraverso i quali costituire una platea di soggetti non lucrativi qualificati per realizzare e gestire attività e interventi multilivello, inclusivi e capaci di attivare le migliori risorse (volontariato, associazionismo famigliare, amministratori di sostegno) che operano a livello territoriale in un logica di collaborazione circolare.

Da ultimo, ma non meno importante, da alcune disposizioni della legge regionale in argomento si inferisce la consapevolezza del legislatore di attribuire alla valutazione di impatto sociale (VIS) un ruolo fondamentale nella verifica dei risultati ottenuti dalle sperimentazioni di natura collaborativa avviate. Per VIS si intende la valutazione qualitativa e quantitativa, nel medio e lungo periodo, degli effetti delle attività svolte sulla comunità di riferimento rispetto all’obiettivo individuato. La VIS rappresenta dunque il metodo che permette il monitoraggio in itinere e la verifica delle esperienze di co-progettazione, al preciso scopo di verificare se i processi collaborativi siano in grado di produrre maggiore valore sociale nell’ambito delle comunità di riferimento. Ne consegue che gli enti del terzo settore e gli enti pubblici condividono di assoggettare la loro cooperazione ad una misurazione oggettiva che permetta di evidenziare le ricadute positive dei percorsi comuni intrapresi, anche in un’ottica di consolidamento delle sperimentazioni avviate sui territori.

In conclusione, considerando la legge regionale quale “nudging framework”, ossia una cornice istituzionale e normativa di sostegno e di stimolo, in specie nella logica dell’amministrazione condivisa, che potrà, se opportunamente implementata e agita, confermare il paradigma collaborativo. Esso – come richiamato dalla Corte costituzionale nella nota sentenza n. 131 del 2020 – completa la stagione segnata dal suffisso “co-“ (da cum: insieme), costituisce premessa delle attività di programmazione e progettazione identifica il criterio di riferimento per il sistema di relazioni tra gli enti pubblici e i soggetti non lucrativi nella vasta gamma di attività di interesse generale, compresi i servizi pubblici locali, come ribadito nel d. lgs. 201/2022.


Allegati



Autore

immagine A3M

Visite, contatti P&D

Nel mese di Marzo 2022, Persona&Danno ha servito oltre 214.000 pagine.

Libri

Convegni

Video & Film


Articoli correlati