-  Redazione P&D  -  05/09/2012

TESTIMONI DI GEOVA E AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO: NUOVI ORIZZONTI DEL FINE-VITA – Maurizio DI MASI

Con decreto del 18 agosto 2011 la giudice tutelare (g.t.) del Tribunale di Bari, sezione distaccata di Putignano, ha autorizzato l"amministratore di sostegno «a manifestare, per conto del beneficiario, la volontà in ordine agli atti trasfusionali di sangue ed emoderivati secondo il credo religioso della Congregazione dei Testimoni di Geova, previa verifica della possibilità di esperire rimedi alternativi salvavita».

L"anziano beneficiario dell"amministrazione di sostegno (ads), puntualmente ascoltato dalla g.t., non è risultato difatti in grado di esprimere la propria volontà a causa dello stato avanzato della malattia. Ed è qui che emerge, subito, la novità della fattispecie in questione: considerando la gravità dello stato di salute, infatti, la g.t. ha dovuto ricostruire la volontà dell"interessato, seguendo implicitamente il principio di diritto stabilito dalla Cassazione nel caso Englaro, ossia in base ad elementi di prova chiari, univoci e convincenti – tratti dalle precedenti dichiarazioni del malato, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti – della sua identità e del suo modo di concepire la dignità della persona.

Pertanto si è proceduto alla ricostruzione dello stile di vita e della personalità dell"anziano, iter che ha portato la giudice, Dott.ssa Marisa Attollino, a riscontrare che «il beneficiario, quando ancora pienamente cosciente e sin dal 1973 (come riferito dai suoi figli), aveva aderito alla congregazione dei Testimoni di Geova, sottoscrivendo in data 31 gennaio 2004 una dichiarazione di volontà denominata "Niente Sangue", con la quale aveva espresso il proprio incondizionato rifiuto alle terapie emotrasfusionali», né tale convincimento risulta mutato col sopraggiungere della malattia.

Dovendo fare una scelta tragica nell"ambito dei poteri discrezionali ex art. 407 c.c., la g.t. emana il provvedimento che si sostanzia in un"integrazione del decreto di nomina dell"amministratore di sostegno con relativo ampliamento dei poteri dello stesso, facendo una considerazione e ponendo un limite.

Da una parte, difatti, si ritiene di dover garantire la libertà religiosa e di coscienza del beneficiario così come espressa tramite inconfutabili scelte di vita quando era in buone condizioni fisiche e mentali; dall"altra però si precisa che, dati i «livelli raggiunti in campo medico anche grazie alle apparecchiature medicali di nuova generazione, è possibile utilizzare tecniche diverse dalla trasfusione di sangue ed emoderivati (ad esempio facendo ricorso all"autotrasfusione con l"utilizzazione del sangue intraoperatorio dello stesso paziente) per garantire le cure opportune in caso di necessità, sicché l"esercizio della libertà religiosa non è in contrasto con il primario diritto alla vita».

Tale bilanciamento di interessi, che come vedremo appare equilibrato e rispondente ai principi fondamentali del nostro ordinamento, dimostra come ad oggi la nomina di un amministratore di sostegno sia lo strumento giuridico più adatto ad assicurare il rispetto della volontà, della dignità e dell"identità personale del malato.

 […]

 L"Ads ha mostrato di essere un valido strumento processuale per "dar voce" al beneficiario, ridefinendo altresì il "potere di cura" del rappresentante rispetto alle "ottocentesche" figure del tutore e del curatore. Il rispetto del progetto di vita e della Weltanschauung di ciascun individuo, il diritto ad essere sé stessi anche negli ultimi istanti di vita, richiede poi che lo Stato, (che dovrebbe essere) laico, rispetti le opzioni esistenziali del singolo soggetto, frutto di un processo di identificazione delineato attraverso numerose scelte, attraverso atti quotidiani di autodeterminazione non sempre espliciti e consapevoli, che la persona compie non già nel vuoto o nella completa solitudine, ma all"interno di modelli collettivi e relazionali (quali sono anche quelli religiosi e familiari) disponibili nell"ambiente sociale. Atti giornalieri che, di fatto, contribuiscono a costruire l"identità di ciascuna persona, identità che, se il soggetto rimane cosciente sino alla fine della vita, può essere tutelata efficacemente dall"autodeterminazione tramite il consenso informato; ma che, in caso di incapacità del morente, possono servire per ricostruire e/o interpretare la volontà e il concetto di dignità a cui il soggetto interessato ha – durante la propria esistenza – aderito.

  

L"Autore è Dottorando in Diritto Privato e Nuove Tecnologie nell"Università degli Studi di Bari "Aldo Moro" ([email protected]).

 

Il saggio è tratto dalla Rivista critica di diritto privato, 2012, 3, 145 ss.




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