-  Cardani Valentina  -  26/10/2014

TROVA LA MORTE SUL LAVORO: MOLTEPLICI SONO LE VOCI DI DANNO - Cass., Sez. Lavoro, 21917/14 – V. CARDANI

La vicenda all'esame della Suprema Corte riguarda la morte di un lavoratore – medico della ASL – deceduto per causa di servizio, avendo questi contratto una malattia nel corso dello svolgimento dell'attività lavorativa.

Agivano gli eredi (moglie e figlio) per il risarcimento dell'integrale pregiudizio subito, chiedendo il ristoro, in primo luogo, del danno cd. iure hereditatis, nelle sue componenti patrimoniali e non patrimoniali e, in secondo luogo, il danno iure proprio dagli stessi eredi sofferto.

La sentenza di secondo grado confermava il diritto dei ricorrenti ad ottenere il risarcimento del danno iure proprio da perdita del rapporto parentale, ma rigettava: la domanda di risarcimento del danno esistenziale e morale iure hereditatis, la domanda di risarcimento del danno biologico iure hereditatis, la domanda di risarcimento del danno patrimoniale.

Preliminarmente, nella pronuncia in commento, la Corte di Cassazione affronta il problema della qualificazione dell'azione di risarcimento, così argomentando: "deve ritenersi proposta l'azione di responsabilità extracontrattuale tutte le volte che non emerga una precisa scelta del danneggiato in favore di quella contrattuale, mentre si può ritenere proposta l'azione di responsabilità contrattuale solo quando la domanda di risarcimento danni sia espressamente fondata sull'inosservanza, da parte del datore di lavoro, di una precisa obbligazione contrattuale, senza che la semplice prospettazione dell'inosservanza del precetto dettato dall'art. 2087 cod. civ. o delle altre disposizioni legislative strumentali alla protezione delle condizioni di lavoro del dipendente deponga in modo univoco per la proposizione dell'azione contrattuale".

A ciò si aggiunga che in caso di diritto del soggetto a richiedere all'INAIL l'indennizzo del danno per poi agire nei confronti del datore di lavoro per il danno cd. differenziale, non può che trattarsi, dice la Corte, di responsabilità extracontrattuale.

Discutibile il ragionamento della Corte, che tuttavia, sulla scorta di tali osservazioni, qualificava la responsabilità per la morte del medico dell'ASL come di natura extracontrattuale.

Venendo al risarcimento del danno, i ricorrenti, in sintesi, chiedevano il riconoscimento del danno biologico iure hereditatis e iure proprio e danno morale-esistenziale iure hereditatis e iure proprio.

Secondo la Suprema Corte, il diritto al ristoro del pregiudizio biologico del dipendente, trasmesso agli eredi, è da intendersi nella fattispecie in esame, riferito allo stato di malattia, alle assenze e all'evoluzione della patologia sofferta dal de cuius, tutte circostanze ascrivibili a responsabilità del datore di lavoro. Di talchè, secondo la Corte, è necessario provvedere al riesame della vicenda al fine di valutare il danno biologico patito dal lavoratore.

Quanto al danno patrimoniale, invece, la Suprema Corte ha distinto tra danno emergente e lucro cessante. In relazione al primo aspetto, risultava agli atti la documentazione attestante la retribuzione goduta dal dipendente, cosicchè nulla osta alla sua liquidazione. Viceversa, non provato era il danno da perdita di chances, che dunque non ha potuto costituire oggetto di risarcimento neppure in sede di giudizio di legittimità. Parimenti, è stata rigettata la domanda volta al riconoscimento delle spese mediche e di cura (danno emergente), atteso che nessuna documentazione delle stesse era stata fornita in atti.

Venendo quindi al danno subito iure proprio subito dagli eredi, la pretesa risarcitoria copriva innanzitutto le conseguenze biologiche: anche la Corte di Cassazione ha escluso postumi permanenti invalidanti sulla persona degli eredi medesimi.

Affrontato e risolto il problema del danno biologico tout court, la Suprema Corte ha verificato la sussistenza di ulteriori pregiudizi non patrimoniali.

Quanto al de cuius, il danno morale si concretizza nel cd. danno catastrofale (distinto dal danno tanatologico, ovvero il danno da "perdita della vita"), inteso come coscienza della vittima dell'approssimarsi dell'evento morte e come assistenza impotente di fronte alla perdita del bene supremo della vita. Il danno esistenziale è stato rinvenuto invece nel demansionamento subito a causa della malattia e dello stravolgimento delle abitudini di vita da imputarsi all'invalidità derivante dalla malattia stessa ed alla necessità di sottoporsi a cure invasive.

Gli eredi, infine, agivano per il danno morale ed esistenziale iure proprio subito. Sul punto, la Suprema Corte ha ribadito i principi già affermati, secondo cui in caso di illecito plurioffensivo, ogni danneggiato ha diritto al ristoro del pregiudizio sofferto, da quantificarsi in via equitativa sulla base dell'intensità del rapporto con il defunto e dell'incidenza sulle abitudini di vita.

 




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