-  Ferrara Eufemia  -  03/09/2016

Tutela del patrimonio e trust - Eufemia Ferrara

E' sempre più diffuso il Italia l'utilizzo del Trust in ambito familiare per detenere in modo organizzato il patrimonio di famiglia che normalmente è fatto di immobili, liquidità, investimenti finanziari, opere d'arte, collezioni e, in caso di imprese di famiglia, anche di partecipazioni in società.

Il trust può essere considerato un passe-partou che consente di raggiungere una molteplicità di scopi nell'ambito della protezione del patrimonio nell'ambito societario e nelle successioni.

La legge italiana non disciplina espressamente l'istituto del trust e in assenza di un sistema che lo regolamenta in modo specifico, la legge che disciplina il singolo trust è necessariamente straniera.

Ad ogni modo è pacifico, dalla oramai celebre sentenza del Tribunale di Bologna dell'1 ottobre 2003 e ad altre sentenze che il trust sia un istituto ammesso nel nostro ordinamento.

Il trust è stato recepito in Italia a seguito della convenzione dell'Aja del 1 luglio 1985, resa esecutiva con la legge 16 ottobre 1989, n. 364 ed entrata in vigore l'1 gennaio 1992.

La Convenzione dell'Aja permette di riconoscere efficacia nell'ordinamento italiano ai trust regolati dalla legge.

A questo scopo tuttavia è ritenuto indispensabile che il trust operi entro i limiti della Convenzione, della normativa regolatrice richiamata e del sistema giuridico.

Per trust si intende quella situazione giuridica in cui un soggetto (il disponente, traduzione del termine inglese "settlor") trasferisce la proprietà di determinati suoi beni ad un altro soggetto, persona fisica o giuridica (detto trustee) affinché questi raggiunga uno scopo o realizzi un progetto indicato dal disponente, il quale stabilisce anche tempi e modalità del suo realizzo, mediante lo svolgimento di un'attività giuridica e/o materiale relativa i beni che gli sono stati affidati.

Il negozio istitutivo di trust è solitamente un negozio a forma libera negli ordinamenti di origine, mentre per i trust interni e per ogni altro trust del quale si richiede il riconoscimento in Italia, è necessaria la forma scritta che deriva dall'art. 3 della Convenzione de L'Aja, onde si parla di "atto istitutivo".

L'istituzione del trust rientra, dunque, nell'ambito dell'autonomia riconosciuta ai privati (art. 1322 c.c.) di concludere contratti e atti unilaterali aventi contenuto patrimoniale, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo il vigente ordinamento giuridico.

Il trust, inoltre, deve indicare in modo espresso la legge regolatrice, in mancanza della cui indicazione sarà aplicabile allo stesso, la legge che risulti, per tabulas, più adeguata alla realtà fattuale dell'istituto relativamente al luogo dell'amministrazione del trust, all'ubicazione dei beni del trust, alla residenza o al domicilio del trustee, allo scopo del trust e al luogo dove questo deve essere realizzato.

E' importante specificare che la causa del negozio istitutivo del trust è il programma della segregazione di una o più posizioni soggettive, o di un complesso di posizioni soggettive unitariamente considerate come beni del trustee e, dei quali il disponente si privi o trasferendole ad un terzo (il trustee), o isolandole giuridicamente dal proprio patrimonio per la realizzazione di interessi che l'ordinamento ritiene meritevoli di tutela (scopo o finalità del trust).

Il riconoscimento del trust avrà, dunque, come conseguenza la cd. segregazione del patrimonio per cui i beni in trust rimarranno distinti dal patrimonio personale del trustee, il quale avrà la capacità di agire ed essere convenuto in giudizio, e/o comparire davanti alle pubbliche autorità.

Se previsto dalla legge regolamentatrice, il riconoscimento implica che:

- I creditori del trustee non possono rivalersi sui beni in trust;

- I beni in trust restano segregati rispetto al patrimonio del trustee in caso di insolvenza di quest'ultimo o di un suo fallimento;

- I beni in trust non rientrano nel regime matrimoniale o nella successione del trustee;

- La rivendicazione dei beni in trust è permessa nella misura in cui il trustee, violando le obbligazioni risultanti dal trust, abbia confuso i beni in trust con i propri e ne abbia disposto.

L'istituto consente dunque, di rispondere a due necessità essenziali: detenere dei beni in comune e favorire il passaggio generazionale del patrimonio, nel rispetto delle scelte e delle valutazioni di tutti gli interessati.

Su queste basi è facilmente comprendere come l'ambito familiare costituisce l'habitat più naturale del trust anche alla luce del premiante profilo fiscale.

Ciò posto, il regime di tassazione dei redditi del trust varia a seconda che l'atto istitutivo individui o meno i beneficiari di reddito. Pertanto, ai fini impositivi, occorre distinguere tra due principali tipologie di trust:

- trust con beneficiari di reddito individuati, i cui redditi vengono imputati per trasparenza ai beneficiari (trust trasparenti);

- trust senza beneficiari di reddito individuati, i cui redditi vengono direttamente attribuiti al trust(trust opachi).

Nel caso di trust trasparenti, quindi, il trust non è considerato un autonomo soggetto passivo d'imposta, con la conseguenza che il reddito da esso prodotto deve essere assoggettato a tassazione in capo ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazione di ciascuno, come individuata nell'atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi ovvero, in mancanza, in parti uguali (articolo 73, comma 2, Tuir). Nell'ipotesi di trust opaco, invece, il trust è autonomo soggetto passivo d'imposta e, pertanto, il reddito prodotto viene tassato direttamente in capo allo stesso, con applicazione dell'aliquota ordinaria Ires.

Infatti il trust gode di una tassazione con aliquota minima ridotta per il trasferimento di beni di famiglia, laddove i beneficiari siano soggetti discendenti diretti del disponente o anche il coniuge.

Occorre tuttavia evitare fenomeni di abuso che la Cassazione con sentenza n. 3886 del 2015 ha stabilito che non è ammissibile il trust cd "auto – dichiarato", ovvero che il disponente e il trustee non possono coincidere.

Più specificamente, il caso preso in esame dai Supremi Ermellini era quello di due coniugi proprietari di immobili che avevano apportato gli stessi in un trust di cui risultavano contemporaneamente disponente e beneficiario.

La Cassazione ha ritenuto che un caso simile non possa essere considerato un trust ma rappresenta un semplice vincolo di destinazione senza attribuzione donativa tra coniugi e perciò assoggettabile a tassazione con aliquota massima.

La durata del Trust è il periodo intercorrente tra il termine iniziale ed il termine finale.

Il termine iniziale coincide, nei trust diversi da quelli auto-dichiarati, con l'accettazione, da parte del trustee, della nomina contenuta nell'atto istitutivo, accettazione che può essere contestuale o successiva all'atto.

La durata del trust dipende principalmente dalla scelta della legge regolatrice che determina il termine massimo, oppure dalle specifiche finalità dell'operazione sottostante il trust si estingue al raggiungimento dello scopo di cui all'atto istituivo).

Il modello internazionale ha la tendenza a stabilire un limite di durata, decorso il quale in trust inevitabilmente cessa anche se, tuttavia, alcune leggi del modello internazionale non impongono alcun termine di durata ai trust beneficiari.

E' tuttavia importante precisare che il trust ad uso familiare istituito per tutelare un passaggio generazionale dell'azienda dal fondatore agli eredi dovrà avere una durata non inferiore a cinque anni, a decorrere dalla data di stipula dell'atto che comporta la segregazione in trust dell'azienda o delle partecipazioni di controllo.

Per quanto riguarda il trust ad uso familiare è necessario, altresì, che il trust deve avere beneficiari che risultano discendenti- imprenditori e/o il coniuge dello stesso e non ci può essere discrezionalità di poter modificare i beneficiari o l'oggetto costituito dalle partecipazioni o aziende individuati nell'atto istitutivo.

Un particolare campo di utilizzazione pratica del trust è l'applicazione in ambito dell'amministrazione di sostegno.

Il beneficiario di amministrazione di sostegno è un soggetto che subisce restrizioni alla propria libertà di azione, nei limiti fissati dal decreto di apertura dell'amministrazione di sostegno.

Il trust applicato a quest'ultima fattispecie, si presenta come un trust dinamico con finalità autodestinata: dinamico perché la protezione del soggetto beneficiario è mediata dall'attribuzione dei beni ad un ente dotato di un elevato grado di professionalità; con finalità auto-destinata, perché il disponente è contemporaneamente anche il beneficiario.

La finalità auto-destinata, trova nel caso di specie, la propria giustificazione causale nella composizione del conflitto nascente tra la tutela del patrimonio del soggetto beneficiario ed il rispetto delle prerogative e della dignità della persona medesima.

L'interesse degli eventuali creditori può così soccombere dinanzi alla tutela di un soggetto che, seppur capace, non è in grado di provvedere in piena autonomia ai propri interessi, e in relazione al quale potrebbe esserci un forte rischio di dispersione del patrimonio.

Il beneficiario dell'amministrazione di sostegno, apparentemente spogliato della proprietà e della legittimazione di disporre in vita dei beni istituiti in trust, può tuttavia regolarne la sorte per il tempo in cui avrà cessato di vivere.

A livello strutturale, la caratteristica di maggior rilievo del trust in questione è la coincidenza tra la figura del disponente e del beneficiario, entrambe concentrate nella medesima persona e cioè la persona sottoposta ad amministrazione di sostegno.

Il caso può essere assimilato a quello relativo al trust a favore di individui affetti da disabilità o da handicap.

Relativamente alla figura del trustee, si ritiene opportuno l'affidamento del trust ad un trustee professionale, che meglio può garantire l'attuazione della finalità assistenziale dell'affidamento de quo.




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