Cultura, società  -  Redazione P&D  -  24/11/2021

Uccise il padre violento, A.P. assolto perché il fatto non è reato: "Abbiamo vinto noi, finalmente una vita vera"             =====

Sentenza dopo sei ore di camera di consiglio per il delitto a Collegno, il pm chiedeva 14 anni. Il ragazzo: "Cosa faremo adesso? Andremo a casa e ci abbracceremo"

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È stato assolto perché il fatto non costituisce reato A. P., lo studente diciannovenne che il 30 aprile 2020, a Collegno nel Torinese, uccise il padre G. P., operaio di 52 anni, per difendere la madre e il fratello dalle violenze del genitore. La sentenza è stata pronunciata dalla corte di Assise di Torino. "Spero che sia fatta giustizia e che mio figlio venga assolto, vogliamo solo vivere una vita normale" aveva detto stamattina in tribunale M. C., madre del ragazzo, e i giudici hanno deciso proprio così: A. è stato assolto "perché il fatto non costituisce reato".

 L'abbraccio tra A. P. e la madre M. C. alla lettura della sentenza di assoluzione

A.P. aveva ucciso il padre violento sferrandogli 34 coltellate, usando sei coltelli diversi, spezzando la lama nell’ultimo fendente mortale. Ma il ragazzo, 18 anni compiuti da poco quando il 30 aprile 2020 chiamò i carabinieri confessando subito il delitto commesso, agì per difendere la madre dalle continue aggressioni di un marito ossessivamente geloso e continuamente aggressivo. Una motivazione che la Corte ha riconosciuto in pieno.

Il commento di A. P.: "Ce lo meritiamo, abbiamo visto l'inferno"

Adesso, subito dopo la sentenza, lo studente commenta felice: "Siamo contentissimi, ce lo meritiamo: sappiamo quello che abbiamo vissuto, abbiamo visto l'inferno". Ora avremo una vita finalmente vera, normale, come tutti i ragazzi con una madre e un fratello accanto. Ringrazio la Corte: abbiamo sempre confidato nella giustizia e abbiamo sentito davvero il supporto di tutti nonostante tanti momenti duri. La prima cosa che faremo andare a casa e abbracciarci, è stata una giornata pesante.Questa è giustizia, abbiamo vinto noi". "Abbiamo visto la morte in faccia, A. ci ha salvato la vita" aggiunge il fratello Loris.

Il benefattore che gli ha pagato "il miglior penalista della città"

Ad ascoltare la sentenza in aula c’erano anche l’ex preside dell’alberghiero di Pinerolo che il giovane frequentava all’epoca dell’omicidio, R. M., e un imprenditore trevigiano, P. F., che quando aveva sentito la storia di A. al telegiornale si era commosso e aveva deciso di aiutarlo. Come un “angelo custode” (così l’ha definito il giovane) gli ha subito trovato un difensore, “ho scelto il miglior penalista della città”, e da allora ogni 15 giorni telefona al ragazzo, seguendo ogni passo della vicenda e dispensando consigli di vita.

La Corte d’Assise presieduta dal giudice Alessandra Salvadori, dopo sei ore di camera di consiglio, ha emesso un verdetto difficile, dove anche le norme del codice incontrano ostacoli. L’accusa, sostenuta in aula dal pm Alessandro Aghemo, si era trovata “costretta a chiedere 14 anni di carcere”, perché l’introduzione delle regole per il codice rosso portano a escludere la concessione di attenuanti per chi uccide una persona legata a vincoli familiari. Per questo la procura aveva invitato i giudici a sollevare una questione davanti alla Corte costituzionale.

M.C., madre del giovane imputato, con A. P. (al centro) e l'altro figlio L., in aula oggi

Solo due alternative erano possibili come verdetto. Quattordici anni oppure l’assoluzione: per legittima difesa, come aveva chiesto l’avvocato difensore C. S.a che nella sua arringa aveva spiegato la drammatica situazione familiare vissuta in quella casa a Collegno, oppure "perché il fatto non costituisce reato", come ha deciso la Corte. Per far rivivere quella situazione ai giudici l'avvocato ha fatto loro ascoltare 250 registrazioni choc, oltre 9 ore di audio in cui le urla e le minacce, gli insulti e le aggressioni tra marito e moglie hanno riecheggiato in aula. “Vi rendete conto che cosa ha vissuto A.? Non poteva studiare, non poteva dormire, non poteva vivere. Ogni sera come lui stesso ha raccontato, si coricava solo dopo aver abbracciato a lungo sua madre temendo di risvegliarsi e non trovarla più viva”.

L'incubo in famiglia: "Mio padre odiava il sorriso di mamma"

Una perizia psichiatrica aveva stabilito che A. fosse parzialmente capace di intendere al momento dell’omicidio per via di un disturbo post traumatico da stress causato proprio dall’incubo familiare vissuto a casa. Lui e il fratello Loris si dovevano alternare a casa per proteggere la madre dal padre. Il giorno dell’omicidio G. P. l’aveva spiata al lavoro e aveva visto un collega appoggiarle una mano sulla spalla, un gesto che l’aveva fatto infuriare. 

“Dopo averla chiamata 101 volte al telefono, non appena mia madre era rientrata a casa, lui l’aveva aggredita, sembrava indemoniato, pensavamo che ci avrebbe ammazzato tutti” avevano testimoniato sia A. che il fratello. Alle 22 e 29 di quella sera, L. mandò un messaggio a suo zio, “l’unica persona che era in grado di farlo ragionare”, chiedendogli di intervenire. “Abitava a un minuto e mezzo di distanza, visualizzò il messaggio ma non fece nulla”. Lo zio, fratello dell'uomo ucciso, e la madre avevano chiesto un risarcimento di 250mila euro.

“Mio marito odiava il mio sorriso” aveva invece detto la madre M.C.. “La sua condanna Alex l’ha già scontata, è stata quella di crescere con un padre violento. Se non fosse stato per lui, noi oggi non saremmo vivi”.




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