Famiglia, relazioni affettive  -  Elvira Reale  -  28/03/2022

Una buona Ordinanza (9691/22) in sintonia con gli organismi internazionali che condannano l’alienazione e il suo uso nelle aule giudiziarie

Apprendiamo dell’esistenza di un quarto grado di giudizio nel nostro sistema giudiziario.  L’esperimento  riguarda il caso Massaro e l’ordinanza di cassazione 9691/22 passata al setaccio da alcuni rappresentanti dell’avvocatura.  In un recente articolo leggiamo le censure punto per punto  della stessa ordinanza.

Non sarò certo io, psicologa, a proporre un quinto grado di giudizio, ma intervengo sulla  questione messa al centro della discussione, ovvero sull’alienazione parentale, su cui posso anche io obiettare, come è fatto nell’articolo, che sulle  questioni inerenti  la scienza psicologica non devono intervenire i giuristi, giudici e avvocati, ma gli psicologi.

E quindi un articolo di un avvocato che si addentra sui temi della psicologia non sarebbe appropriato, anche  perché avalla, all’interno del mondo psicologico,  la tesi minoritaria di un gruppo di psicologi che non trova consenso unanime.  Per questo motivo, oltre la mia opinione di psicologa, ritengo importante riportare le pronunce degli organismi internazionali sull’illegittimo uso nelle questioni giudiziarie di un costrutto ascientifico. 

Prima di tutto  però entro in una questione molto dibattuta di recente per salvare l’alienazione messa nell’angolo dalla comunità scientifica, relativamente al suo essere stata chiamata inizialmente  ‘sindrome’. Si tratta del  paragone consueto  tra mobbing o stalking e alienazione, avanzato per mantenere viva l’ alienazione non più come sindrome ma come comportamento. Questo paragone non regge.  Mobbing e stalking possono essere documentati con una pluralità di comportamenti e di fatti tutti riconducibili ad un individuo che mette in atto una strategia di annientamento dell’altro. Stalking e mobbing sono documentati quindi da comportamenti precisi e circostanziati  e non si riferiscono solo a intenzioni o modi di essere di chi esercita il mobbing o lo stalking. Nel mobbing ad esempio i comportamenti devono essere traducibili in atti concreti tutti diretti da un soggetto ad un altro, che in genere ha un minor potere nell’ambito del contesto lavorativo (sospensione ferie, lettere di censura immotivata, demansionamento, ecc. fino al licenziamento ). Anche lo stalking si compone di una pluralità di atti documentabili, testimoniabili e precisamente attribuibili ad un soggetto. Nell’alienazione l’unico fatto di cui si discute è il rifiuto del minore a incontrare il padre (comportamento del minore) e sarebbe quindi il minore responsabile del suo comportamento, come succede quando si discute di mobbing o stalking; ma invece con una inversione ad U la responsabile del comportamento del minore è (nella maggioranza dei casi) la madre, attraverso un costrutto psicologico non dimostrabile,  la cd.  manipolazione mentale. 

Mi sembra quindi che non regga in modo assoluto il paragone, perché il comportamento di rifiuto è assunto da un soggetto A, che anche se minore  è capace di intendere e volere (fino a dimostrazione contraria comprovata da fatti e non da presunzioni) ma si censura un soggetto diverso, B, del comportamento di A. Questa costruzione di responsabilità - in cui qualcuno agisce un comportamento e automaticamente, per una teoria ascientifica, consideriamo responsabile un altro soggetto ( e sempre lo stesso), attraverso il costrutto della manipolazione ovvero del plagio (abrogato nel 1981 dalla Corte Costituzionale) - è platealmente errata. 

A ciò aggiungiamo il pregiudizio che il soggetto B sia predefinito, e sia nella quasi totalità dei casi sempre e solo la madre, individuata come responsabile della manipolazione, atta  a determinare il comportamento del minore e mai, dico mai, lo stesso padre che potrebbe, aver indotto una reazione di difesa nel minore, a seguito di violenze. Non dimentichiamo a riguardo che il maltrattamento assistito (dal minore sulla propria madre, ad opera del padre) è la seconda causa di abuso sui minori (dopo l’incuria) sia a livello nazionale che internazionale.

Il costrutto ascientifico dell’alienazione, entra così nelle aule giudiziarie  suggerendo che se vi è un comportamento di  A la causa, in via pregiudiziale, è sempre e solo di B e sempre e solo dello stesso B.  Per questo motivo la teoria dell’alienazione, sindrome o comportamento, è stata messa fuori dal contesto scientifico, estraneo a pre-giudizi, dogmi e ragionamenti circolari ed apodittici, improntato invece  a uno Scire per causas et Cognitio rei per causas. 

Da questo punto di vista, se vogliamo rimanere nel contesto di un ipotetico quarto grado  di giudizio, l’ordinanza di cassazione 9691/22 è pertinente e giustamente mette in guardia la corte di appello di Roma dal negare l’ ascolto al minore, ritenendolo apoditticamente incapace di veicolare le sue opinioni ed il suo sentire,  perché manipolato dalla madre, secondo il parere di un tecnico che dà voce alla teoria ascientifica dell’alienazione.

Poi ci dobbiamo chiedere ma perché gli organismi internazionali sono così determinati nel condannare l’alienazione ed i costrutti similari? 

Lo sono perché l’alienazione è una  particolare teoria ascientifica che non  inquina solo  i procedimenti giudiziari con il pensiero circolare e apodittico, ma inquina il contesto delle relazioni paritarie uomo-donna. 

L’alienazione è una teoria misogina (Gardner, il suo inventore, parla del 90% di donne alienanti, patologiche e madri malevoli)  che colpevolizza le donne e soprattutto rende ciechi i tribunali  rispetto alle condotte di violenza maschile molto diffuse nel nostro paese così come a livello mondiale (l’OMS, 2013/17, ha parlato di fenomeno epidemico  e World bank, 2019; UN Women, 2020 hanno parlato di  pandemia della violenza nelle relazioni di coppia). 

Di seguito le ultime pronunce internazionali sul tema. 

  • Il 31 maggio 2019 Dubravka Simonović, allora relatore speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne e le sue conseguenze, e i rappresentanti di altri sei organismi  regionali indipendenti sulla violenza contro le donne e i diritti delle donne, hanno pubblicato una lettera congiunta in cui si  dichiarava che “la violenza del partner contro le donne è un fattore essenziale nella determinazione dell'affidamento del figlio”. La lettera congiunta “scoraggiava l'uso dell' ‘alienazione parentale’ e di concetti e termini simili invocati per negare l'affidamento del figlio alla madre e concederlo a un padre accusato di violenza domestica ignorando totalmente i possibili rischi per il bambino”.
  • Il 6 ottobre 2021 il parlamento europeo diffonde la Risoluzione ‘sull'impatto della violenza

da parte del partner e dei diritti di affidamento su donne e bambini (2019/2166(INI))’

“ ( Il parlamento europeo) Invita gli Stati membri a monitorare e combattere la cultura di denigrazione della voce delle donne; condanna l'uso, l'affermazione e l'accettazione di teorie e concetti non scientifici nei casi di affidamento che puniscono le madri che tentano di denunciare casi di abuso di minori o violenza di genere impedendo loro di ottenere l'affidamento o limitandone i diritti genitoriali; sottolinea che la cosiddetta ‘sindrome da alienazione parentale’ e concetti e termini analoghi, che si fondano solitamente su stereotipi di genere, operano a scapito delle donne vittime di violenza domestica, colpevolizzando le madri per aver alienato i figli dal padre, mettendo in discussione le competenze genitoriali delle vittime, ignorando la testimonianza del bambino e i rischi di violenza cui sono esposti i figli e pregiudicando i diritti e la sicurezza della madre e dei bambini; esorta gli Stati membri a non riconoscere la sindrome di alienazione parentale nella loro prassi giudiziaria e nel loro diritto e a scoraggiarne o addirittura proibirne l'uso nei procedimenti giudiziari, in particolare durante le indagini per accertare l'esistenza della violenza”.

  • Il 17 marzo scorso vi è stato  l’incontro tra esperti mondiali alla 66° sessione ONU della 

Commissione sullo Stato delle Donne (CSW66) sotto la conduzione di  Reem Alsalem, UN Special Rapporteur on violence against women, its causes and consequences.  Nell’incontro si è affermato che: In recent decades, the concept of “parental alienation” or “parental alienation syndrome” has been widely used by courts when assessing child custody cases, particularly when a child expresses fear or avoidance of a parent. Despite lacking credible scientific support, and the fact that the World Health Organization excluded it from its classification index, it continues to be an explicit or implicit reference in justice systems worldwide, with serious implications for the human rights of women and their children”.

Da questi brevi cenni possiamo desumere che , al di là del dibattitto nostrano, spesso condotto a livelli non eccelsi, vi sia una condanna ferma e unanime sul costrutto dell’alienazione e sul suo uso nelle aule giudiziarie (International law condemns the use of parental alienation allegations as a means to obscure domestic abuse and child abuse ) che non hanno basi scientifiche psicologiche ma neanche giuridiche perché sostituiscono all’accertamento dei fatti il pregiudizio sulla presenza di  un agente manipolatore che dirige la volontà  e il comportamento di un altro da sé.

Da queste pronunce dei massimi organismi internazionali, deduciamo anche che le censure all’ordinanza 9691/22 sono destituite di ogni fondamento e soprattutto che i censori sono inglobati in un sistema di mal pratica scientifica ed istituzionale.


Allegati



Autore

immagine A3M

Visite, contatti P&D

Nel mese di Marzo 2022, Persona&Danno ha servito oltre 214.000 pagine.

Libri

Convegni

Video & Film


Articoli correlati