Consumatori  -  Redazione P&D  -  22/03/2022

Una storia contemporanea del diritto europeo - Giovanni Di Salvo

Contributi ad una riflessione sul percorso dal diritto comune al diritto comunitario. 

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Ogni giorno risentiamo echeggiare appelli all’unità dell’Italia, al ristabilimento delle sovranità monetaria e, soprattutto, parlamentare. E mai come ad oggi avvertiamo l’esigenza di argomentare, di illustrare i motivi che hanno determinato i molti euro-tecnocrati ed i politici a favorire il progressivo processo di unificazione europea, oltre ogni implicazione commerciale o produttiva. Unificazione che da tanti è avvertita sempre più come un tentativo di omologazione culturale, giuridica, sociale ed economica.

Nel maggio del 1988 il Parlamento europeo assunse la decisione fondamentale di riunire in un’unica codificazione il flusso di norme che aveva accompagnato il processo evolutivo della Unione europea così come degli Stati membri. Ed in particolare un primo consenso riguardò il procedimento europeo.

Dopo un lungo periodo di lavori intrapresi al fine esclusivo di introdurre la (c.d.) unificazione (seppure per diverse aspetti forzata) dei singoli campi del sapere giuridico e del diritto, (elaborato ed introdotto attraverso Direttive e Regolamenti), si comprese che sarebbe stato imprescindibile, per ottenere un codice unitario europeo, dare seguito ad una analisi comparativa degli ordinamenti giuridici nazionali.

Una tale codificazione pose i giuristi ed i redattori dinanzi ad una molteplicità di problemi tecnici e tra essi come conciliare il diritto europeo continentale con la tradizione giuridica del diritto comune prima e della Common Law anglosassone poi. E forse anche con le tradizioni giuridiche mediterranee e filosofiche del platonismo. In un malcelato virgulto rivalutativo della filosofia del diritto e degli schemi giuridici classici ad essi riconducibili.

L’Unione europea non essendo, infatti, uno stato sovrano autonomo, nel senso assolutisticamente tradizionale per gli Stati membri, avrebbe dovuto fondare la propria credibilità unicamente sul concetto di “impero del consentito e del diritto”.

Nel raggiungimento di tale consenso giuridico, attraverso l’adeguamento ed il progressivo avvicinamento dei diversi sistemi giuridici, la storia del diritto avrebbe potuto avere un ruolo ulteriore e fondamentale. Meno omologante, nella ricerca di una uniformante standardizzazione.

Infatti la storia giuridica contemporanea, ricalcando nei diversi ambiti la storia contemporanea, la quale in quanto disciplina autonoma è affidata alla scienza politica e storica, fu reclamata come un “nuovo campo di lavoro” della scienza giuridica. Proprio dagli Stati del diritto che di quel nuovo diritto avrebbero potuto farne a meno, non avendo essi colonizzati (formalmente e visibilmente) dei nuovi continenti, se non entro i propri domini, o scoperti dei nuovi territori di nessuno.  Nel contempo, alla storia del diritto fu rimproverato di avere omesso di marcare, in maniera chiara in merito ai contenuti, i limiti temporali massimi del suo ambito di ricerca. Ovvero, fu sottolineata la necessità di impostare un avvio, di favorire un incremento immediato dei lavori sulla storia del diritto nuovo. Della storia giuridica contemporanea, sia come disciplina autonoma, che come parte della storia del diritto. Furono, altresì, individuati i suoi compiti essenziali o fondamentali, quali, ad esempio, le funzioni di servizio per il diritto vivente. Sebbene sia stato riscontrato del dissenso nella scelta del modello storico concreto al quale il nuovo diritto europeo avrebbe dovuto (o potuto) orientarsi (od essere orientato).

L’emulazione dei principi sistematici, concettuali, dogmatici e storici ideali del diritto europeo verrebbero per ciò stesso identificati come a lungo nascosti. Celati. Impediti. E se ne ravvisarono, per gli altri ordinamenti oramai ”Ancient”, gli aspetti più reconditi, contradditori, inusuali, sottaciuti; così a lungo disumani. Di una disumanità inattuale, incivile, non contemporanea. Dinanzi ai quali anche il pionierismo giuridico avrebbe potuto essere integrato.

Tali per i quali potrebbe ravvisarsi, al momento, un consenso esplicito unicamente sul fatto che la storia del diritto, trascurando le problematiche concernenti il metodo di ricerca, avrebbe potuto (ed ancora potrebbe!) giocare un ruolo significativo nella codificazione del nuovo diritto privato europeo. Ed in questo sarebbe di importanza piuttosto subordinata se nel farlo agisse nella nuova veste di un rianimato idillio del diritto romano o… questo si ri-fondasse nella, o come, storia giuridica contemporanea autonoma. 

Nulla tralasciando con ciò al tema dell’incertezza, della riconfigurazione del diritto e del dibattito esplorativo.
Talché l’insieme di questi diritti avrebbe così assunto nell’ordinamento dell’Unione una vera e propria rilevanza costituzionale alla stregua di quanto avviene presso le Corti Costituzionali nazionali, relativamente agli spazi dedicati ai diritti fondamentali. Anche perché nel costituzionalismo europeo ed in quello italiano sono ravvisabili, anche se con formule diverse, una chiara positivizzazione di un rapporto molto stretto tra concezioni della cittadinanza e dei diritti fondamentali. Basata essenzialmente sulla garanzia dei diritti soggettivi e sull’ampliamento delle situazioni giuridiche costituzionalmente tutelate. Su di una concezione ampia del concetto di eguaglianza. E sulla amplificazione dei diritti umani ed universali.

Per cui sarebbe da auspicare che l’attualità, (ri)scoperta nuovamente, di tale disciplina fondamentale delle scienze del diritto trovi espressioni aderenti, conformi od adeguate anche negli ordinamenti e negli studi delle facoltà giuridiche.

A tal proposito le posizione delle fonti, così come gli orientamenti delle dottrine, non potrebbero definirsi acquisiti al pari dei dogmi, o degli altari,  inespugnabili. Senza con ciò ricadere nei drammi delle esistenze espugnate, cancellate dalle scientificità degli ordinamenti ricolmi di riserve autoreferenziali. E privi di prospettive universali. Poichè le previsioni sarebbero, come anzidetto, in una prospettiva a più lunga scadenza tutt’altro che favorevoli.

A noi non rimane che aprire al dialogo ed al confronto il divenire del diritto, così come fu per gli ecumenisti. E ribellarsi così dinanzi ad una tendenza indulgente alla uniformità forzata, piuttosto che all’universalismo. Sino a chiederci se fosse giunto il momento di accantonare il progetto unionista (poiché prossimo all’esaurimento delle ragioni oltre che delle risorse storiche) a favore della positivizzazione (codificatoria) del diritto e del costituzionalismo europeo.

Il 13.06.2019.

Il 21.03.2022.

In allegato l'articolo integrale con note.


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