Cultura, società  -  Redazione P&D  -  22/07/2021

Vengo anch'io ...no tu no! - Marco Faccioli

Clubhouse: l'irresistibile desiderio di esserci.

Una vecchia pubblicità di una nota casa automobilistica francese invitava tutti i suoi clienti (già fidelizzati o potenziali che fossero) a recarsi presso i propri concessionari nei week-end per provare su strada i nuovi modelli e farsi così un'idea precisa delle loro prestazioni. Lo slogan era semplice e diretto: “porte aperte” ...naturalmente per tutti. Sebbene senza sbandierare le stesse parole d'ordine, anni e anni dopo i social media hanno adottato la stessa politica: “porte aperte per tutti, iscrivetevi in massa a Facebook, Twitter, Instagram” ...e via cliccando. Ogni social oggi è a disposizione di tutti, e dai più questa possibilità è salutata come un traguardo di democrazia e di libertà. Ma c'è, come sempre, un “però”. Un bel giorno (correva l'anno scorso) Paul Davison e Rohan Seth, due programmatori americani, si sono messi in testa che questa situazione doveva finire, ed era finalmente giunto il momento di chiudere quelle porte (finora aperte per tutti) per lasciare passare solamente qualcuno. E' nato così “Clubhouse”, un nuovo social media (nel quale si può interagire solo a mezzo audio, quindi senza foto, scritte o filmati), che permette di creare stanze in cui discutere dei propri argomenti preferiti e, naturalmente, del più e del meno. Ma come fare a realizzare un social super-esclusivo (quindi per pochi) con milioni di persone (tutti gli altri che ne sono fuori) che bruciano dal desiderio di farne parte? Semplice: prima i vip. Fin dal lancio nell’aprile del 2020, la strategia di marketing della piattaforma è stata attentamente pianificata dai fondatori: a Clubhouse si può accedere solo dopo aver ricevuto gli appositi inviti, inizialmente distribuiti con estrema parsimonia alle più note celebrità statunitensi: dai divi della televisione come Oprah Winfrey ai venture capitalist come Marc Andreessen, dagli attori come Chris Rock alle popstar come Drake, e via di questo passo. Prima ancora degli utenti “normali”, per capirci, su Clubhouse sono approdate, per invito mirato, le celebrità ...che hanno iniziato a loro volta a invitare gli amici dando così vita a un piccolo circolo elitario. Il principio è lo stesso delle feste riservate in discoteca: dentro gli invitati, e fuori, con le orecchie tese e gli occhi vigili, la ressa di tutti coloro che sperano di imbucarsi in qualche modo. Naturalmente con il passare del tempo (e quindi con il moltiplicarsi degli inviti di chi ne faceva già parte) questo super club virtuale si è fatto via via meno elitario, fino al punto da attraversare gli oceani e sbarcare alle nostre latitudini. In Italia Clubhouse è arrivato all’inizio di gennaio, registrando l'ingresso favorito di influencer, comunicatori, guru del marketing e di tutta quella vasta categoria di gente che è brava poiché è famosa (oggi come sappiamo non funziona al contrario). Entrare in Clubhouse è diventato quindi relativamente facile (ma non comunque facilissimo), dal momento che bisogna mettersi in lista d’attesa e aspettare che qualche conoscente ci dia il via libera dall’interno ...come si suol dire, è quindi solo una questione di tempo. Una particolarità non da poco è che in Clubhouse si può entrare sfruttando il proprio profilo di Twitter o di Instagram, ma non quello di Facebook, rigorosamente escluso. Perché una decisione del genere? Forse perché ormai il logo di Facebook, che oggi conta più di 2,7 miliardi di iscritti attivi, è considerato una cattiva pubblicità, ovvero il simbolo stesso di un mondo social nazionalpopolare dal quale Clubhouse sembra volersi tenere a debita distanza. L’aura di esclusività che questa piattaforma ha così accuratamente coltivato è probabilmente solo un modo per attirare utenti in un panorama social sempre più sovraffollato (e in cui il monopolio di Facebook, chissà, inizia forse a incrinarsi). La domanda da un milione di dollari (o, viste le poste in gioco, anche molto di più) è la seguente: riuscirà Clubhouse a mantenere nel tempo la sua immagine di social media di nicchia o deciderà/dovrà piegarsi alle logiche del mercato, aprendo quindi le sue porte a tutti come fanno gli altri social presenti in Rete? Molto dipende dal modello di business che vorrà consolidare: se, come prevedono alcuni analisti del settore, si andrà verso il modello della pubblicità targettizzata, allora la spinta per aumentare il più possibile gli utenti farà rapidamente crollare ogni barriera d’ingresso (e quindi addio club esclusivo). Qualora invece, come alcuni immaginano, si opterà per un modello dove i creatori dei contenuti più popolari ricevono donazioni dai followers (e Clubhouse ne percepirà una quota percentuale), allora sarà possibile mantenere un ambiente controllato e di qualità, e quindi esclusivo. Da non escludersi anche un modello misto (sebbene nell'era digitale, il vecchio adagio di un colpo al cerchio ed uno alla botte va sempre bene), ovvero di un social media “per molti ma non per tutti”, con aperture cicliche delle porte per effettuare periodiche acquisizioni di nuovi membri. Comunque vada a finire, tra qualche anno, se non tra qualche mese, potremo capire se l’esclusività di Clubhouse è stata inizialmente concepita come un valore aggiunto oppure trattavasi solo di un semplice specchietto per le allodole.




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