-  Farina Massimo  -  10/03/2009

VIETATO PUBBLICARE DETTAGLI CHE RENDONO IDENTIFICABILI LE VITTIME DI VIOLENZA SESSUALE – Massimo FARINA

Il Garante per la protezione dei dati personali torna su una questione di fondamentale importanza, che riguarda il rapporto tra attività giornalistica e corretto trattamento dei dati personali. Con un Provvedimento del 16 febbraio 2009, adottato in via d’urgenza e d’ufficio, è stato, infatti, vietata ogni ulteriore diffusione delle informazioni idonee, “anche indirettamente, a identificare la minore vittima dell’atto di violenza sessuale compiuto a Roma il 14 febbraio 2009”.

Il suddetto fatto di cronaca ha occupato le prime pagine dei giornali e dei notiziari, richiamando l’attenzione dell’opinione pubblica. Le notizie pubblicate, riferite alla consumazione di una violenza sessuale su minore, riportavano una serie dettagliata di informazioni tali da rendere facilmente riconoscibile la vittima. 

È in virtù dei compiti conferitigli dall’art. 154 comma 1, lett. d. del Codice della Privacy, che l’Authority ha vietato il trattamento “non corretto” e ne ha disposto il blocco, ai sensi dell’articolo 143, comma 5, del medesimo Codice. Si tratta di un provvedimento inibitorio, avente natura amministrativa, volto ad evitare la continuazione di un comportamento viziato da illiceità. 
La tutela preventiva, in casi come questi, è, certamente, quella più appropriata, in quanto gli interessi fondamentali della persona umana (riservatezza, onore, reputazione ecc) sono difficilmente riparabili (in modo adeguato) mediante un risarcimento, per equivalente pecuniario, ex post

Già in passato, l’Autorità ebbe modo di pronunciarsi su questioni simili, invocando la necessità di un trattamento, seppur giustificato dell’esercizio del diritto di cronaca, rispettoso della dignità delle persone, ancor più se minori [1].
Le fonti che disciplinano il trattamento dei dati personali per la professione giornalistica sono gli artt. 136 e 137, comma 3, del D.lgs. n. 196/03, nonchè il codice di deontologia per l’esercizio dell’attività giornalistica (allegato A1 al Codice della Privacy) [2]. 

Dalle summenzionate fonti si ricava il principio di “essenzialità dell’informazione”, il quale rappresenta, certamente, un requisito più restrittivo rispetto alla semplice sussistenza di un interesse pubblico alla conoscenza di determinati fatti. In tal senso è condivisibile l’orientamento giurisprudenziale per cui l’informazione giornalistica è legittima quando abbia ad oggetto, non semplicemente fatti di interesse pubblico, sia “contenuta negli spazi strettamente necessari all’esposizione dei fatti” [3]. 

L’informazione è, pertanto, essenziale riguardo ai fatti d’interesse pubblico se consiste nella divulgazione di dati indispensabili per il raggiungimento della finalità informativa e di critica che è propria dell’attività giornalistica. 

Nel provvedimento in commento, si evidenzia come, nel caso di specie, sia stato violato il suddetto principio attraverso la rivelazione di informazioni, quali la specifica attività professionale svolta dai genitori e dalla zia della vittima, la circostanza che la minore avesse una sorella (con dettagli sull’età di quest’ultima), che la famiglia avesse un cane, nonché indicazioni sulla scuola frequentata. 
Ebbene, l’inserimento di questi dettagli, nonostante la mancata individuazione nominativa della vittima della violenza, consentirebbero, ancorché indirettamente, di individuare la vittima.

Ulteriore profilo di illiceità, indicato nella motivazione del Provvedimento in commento, riguarda la minore età dell’interessata, aspetto, per il quale l’ordinamento “appresta una tutela rafforzata al fine di non pregiudicarne l’armonico sviluppo della personalità”. 

Su quest’ultimo aspetto, l’Autorità compie un espresso riferimento alla prevalenza del diritto del minore alla riservatezza rispetto al diritto di critica e di cronaca e, in base all’art. 7, comma 3, del “Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività Giornalistica”, qualora, “per motivi di rilevante interesse pubblico e fermo restando i limiti di legge, il giornalista decida di diffondere notizie o immagini riguardanti minori, dovrà farsi carico della responsabilità di valutare se la pubblicazione sia davvero nell'interesse oggettivo del minore, secondo i principi e i limiti stabiliti dalla Carta di Treviso”[4]. 
É evidente che, il rispetto delle regole deontologiche rappresenta la condizione essenziale per la liceità e la correttezza del trattamento con la conseguenza che, la violazione di dette regole integra, di per se, l’illecito che giustifica l’adozione di un Provvedimento inibitorio.

[1] Provvedimento del 10 marzo 2004 (Doc. web n. 1090071); Provvedimento del 6 aprile 2004 (Doc. web n. 1091956); Provvedimento del 10 luglio 2008 (Doc. web n. 1536583); Provvedimento del 2 ottobre 2008 (Doc. web n. 1557470).

[2] “Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica” in Gazzetta Ufficiale 3 agosto 1998, n. 179.

[3] Cassazione civile , sez. III, 22 gennaio 1996, n. 465 in Giust. civ. Mass. 1996, 94. 

[4] La Carta di Treviso è un protocollo d’intesa finalizzato a disciplinare i rapporti tra informazione e infanzia, siglato il 5 ottobre 1990, dall’Ordine dei giornalisti, dalla Federazione nazionale della stampa italiana e dal Telefono azzurro e successivamente aggiornata nella versione recepita dal Garante Privacy e pubblicata sulla G.U. n. 264 del 13 novembre 2006.




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