-  Campagnoli Maria Cristina  -  14/07/2014

VIZI DELLOPERA APPALTATA: RESPONSABILE SIA LAPPALTATORE CHE IL PROGETTISTA – Cass. civ. n. 13882/2014 – M.C. CAMPAGNOLI

Il fatto – Il proprietario di un suolo stipulava con una ditta edile un contratto d'appalto per la costruzione di un immobile a civile abitazione. Ultimata la costruzione, il committente conveniva in giudizio l'appaltatore ed il progettista-direttore lavori contestando i vizi di progettazione e di esecuzione nonché domandando la condanna al risarcimento dei danni.

Responsabilità ex art. 1669 c.c. – La responsabilità per gravi difetti ex art. 1669 c.c. ha, come noto – natura extracontrattuale essendo sancita al fine di garantire la stabilità e la solidità degli edifici oltre che delle altre cose immobili destinate (per loro natura a lunga durata) a tutelare l'incolumità personale dei cittadini e, quindi, di interessi inderogabili che trascendono i confini ed i limiti dei rapporti negoziali tra le parti (per tutte, Cass. n. 2313/ 2008; Cass. n. 13158/2000; Cass. n. 7550/1994; Cass. n. 12304/1993). Ne consegue, pertanto, che detta responsabilità non può essere rinunciata o limitata da particolari pattuizioni dei contraenti, tanto più che eventuali esigenze di economicità nella costruzione non escludono il dovere del progettista e del direttore lavori di procedere alla sua realizzazione secondo regola d'arte (Cass. n. 81/2000; Cass. n. 2304/1993).

Soggetti legittimati passivi – L'ipotesi di responsabilità regolata dall'art. 1669 c.c. in tema di rovina e difetti di immobili avendo, appunto, natura extracontrattuale trova un ambito di applicazione più ampio di quanto risultante dal tenore letterale della disposizione medesima, operando anche carico del progettista, del direttore lavori e, persino, dello stesso committente che abbia provveduto alla costruzione dell'immobile con propria gestione diretta, ovvero sorvegliando personalmente l'esecuzione dell'opera sì da rendere l'appaltatore un mero esecutore dei suoi ordini. Del resto, non può non rilevarsi che il difetto di costruzione che a norma dell'art. 1669 c.c. legittima il committente all'azione di responsabilità extracontrattuale nei confronti dell'appaltatore (così come del progettista) può consistere in una qualsiasi alterazione conseguente ad un'insoddisfacente realizzazione dell'opus che pur non riguardando parti essenziali è, comunque, tale da incidere negativamente ed in modo considerevole sul godimento (v. Cass. n. 19868/2009; Cass. n.245/1995; Cass. n. 333971990).

I cd. "gravi difetti" – In ossequio a quanto appena precisato, si traducono in "gravi difetti" quei vizi destinati ad incidere sulla sostanza e sulla stabilità dell'opera, sebbene non determinino minaccia di crollo od evidente pericolo di rovina. Al contrario, sono da escludersi tutti quei difetti aventi un impatto sul godimento solo sotto il profilo estetico, dunque non tale da menomare la possibilità di utilizzo (Tribunale di Monza, 25 gennaio 2007).

Sulla proponibilità dell'azione - Sotto il profilo temporale, non va – infine – dimenticato che ai fini della proponibilità dell'azione risarcitoria prevista dal richiamato art. 1669 c.c. il termine di dieci anni dal compimento dell'opera attiene al verificarsi delle condizioni di fatto che danno luogo alla responsabilità stessa e non anche all'esercizio della suddetta azione che può essere iniziata anche dopo la scadenza del predetto termine, purché entro un anno dalla denunzia decorrente dal giorno in cui il committente consegue un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva delle gravità dei difetti e della loro derivazione causale riconducibile (giust'appunto) all'imperfetta esecuzione del lavoro (Cass. n. 81/2000). Rebus sic stantibus, la conoscenza completa idonea a provocare la decorrenza del doppio termine (decandenziale e prescrizionale) deve ritenersi acquisita (in assenza di anteriori esaustivi elementi) solo all'atto dell'acquisizione della relazione peritale (Cass. n. 11740/2003), non potendosi onerare il danneggiato dalla proposizione di azioni generiche a carattere esplorativo (Cass. n. 2460/2008; Cass. n. 1463/2008; Cass. n. 567/2005; Cass. n. 12386/2003; Cass. n. 16008/2002; Cass. n. 4622/2002). Deve, ad ogni buon conto, ricordarsi che, in ogni caso, la presa in consegna dell'opera da parte del committente non equivale – ipso facto – ad accettazione senza riserve, atteso che occorre, in concreto, stabilire se nel comportamento delle parti siano, o meno, ravvisabili elementi contrastanti con la presunta volontà di accettare l'opera (Cass. n. 5121/1998; Cass. n. 9567/2002).




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