-  Santuari Alceste  -  31/10/2012

WELFARE E INNOVAZIONE ISTITUZIONALE – Alceste SANTUARI

In un articolo molto efficace, pubblicato sul Corriere della Sera di martedì 30 ottobre 2012, il prof. Mauro Magatti, Preside della Facoltà di Sociologia dell"Università Cattolica del Sacro Cuore, scriveva che "l"innovazione istituzionale, soprattutto in tema di welfare, potrebbe aiutare a sfuggire alla morsa tra lo stringente vincolo finanziario e la mera rivendicazione di diritti che si scaricano poi sul bilancio pubblico".

 

Si tratta di un"affermazione ricca di suggestioni e a mio dire soprattutto carica di potenzialità, in specie se riferita ad un contesto caratterizzato proprio dalla riduzione delle risorse finanziarie a favore delle politiche di welfare e da una maggiore consapevolezza circa il diritto alla fruizione delle prestazioni sociali e socio sanitarie da parte dei cittadini.

 

Ma quale innovazione istituzionale si può ipotizzare in un contesto normativo, sociale ed economico in cui i "fondamentali" sono in crisi sistemica? Da un punto sembra possibile partire, incontrovertibile, inamovibile anche a dispetto della confusione che regna sovrana nella materia dei servizi pubblici e delle modalità con cui i medesimi debbono essere affidati. Si tratta del ruolo e della posizione assunta e svolta dagli enti locali, i quali, anche e soprattutto alla luce delle disposizioni contenute nel d.l. n. 95/2012 (c.d. "spending review") debbono assolvere, tra l"altro, alla funzione fondamentale di definire ed organizzare la rete dei servizi sociali (e socio-sanitari) sul territorio di riferimento. Quindi, ancora una volta, agli enti locali (che dovranno necessariamente essere sostenuti per questo) spetta garantire ai cittadini la realizzazione dei servizi e delle attività che integrano il livello essenziale delle prestazioni sociali.

Livello, preme evidenziare, che deve essere definito dallo Stato (centrale), ai sensi dell"art. 117, comma 2, lett. m) della Costituzione, ma che necessariamente, anche per quanto sopra descritto, non può prescindere dai livelli organizzativi che i singoli territori sono in grado ovvero saranno in grado di offrire ai propri cittadini. Considerando, poi, che i comuni, sempre in ossequio alle previsioni del d.l. n. 95/2012 che ha novellato la precedente disciplina riguardante le unioni / convenzioni tra comuni, a far data dal 1 gennaio 2013, dovranno iniziare obbligatoriamente a gestire in modo associato le funzioni ad essi attribuiti, si comprende come le innovazioni istituzionali nel settore del welfare costituiscano il "piatto forte" dei prossimi anni. In questa direzione, dunque, rafforzata la posizione dell"ente locale, in senso programmatorio e di coordinamento degli interventi, dovrà essere altrettanto, se non in misura maggiore, in conformità al contenuto dell"art. 118, u.c. Cost., rinvigorito l"apporto delle organizzazioni non lucrative. Queste ultime, schiacciate tra isomorfismo organizzativo e scarsità di risorse finanziarie, non possono limitarsi ad essere la cenerentola del welfare. Soprattutto nella sua definizione di welfare community/society, gli interventi e le politiche sociali non possono prescindere dal ruolo fondamentale e vitale che le organizzazioni non lucrative sono in grado di apportare alla costruzione di modelli di solidarietà e di coesione sociale. Questo, tuttavia, presuppone una scelta di campo, che è innanzitutto culturale prima ancora che giuridico-istituzionale, atteso che per quanto attiene alla seconda dimensione non difettano gli interventi anche di matrice comunitaria a sostegno delle organizzazioni di terzo settore. La scelta da operare non risiede nella convinzione che le realtà non profit permettano maggiori risparmi di spesa, ma che attraverso la loro azione, coordinata, stimolata, sostenuta dall"ente locale, sia possibile una più efficace ed efficiente implementazione del principio di sussidiarietà. Il quale, lungi dall"essere considerato quale arretramento dell"ente pubblico, ne certifica al contrario la sua esatta e corretta collocazione, quale entità superiore che interviene soltanto laddove quella inferiore non è in grado di provvedere. Forse, anche per quanto riguarda il non profit, così come avviene per il comparto dei servizi pubblici locali a seguito della recente sentenza della Corte Costituzionale n. 199/2012, si dovrebbe "chiamare in causa" la legislazione europea.




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