-  Sassano Francesca  -  27/10/2014

IL MOMENTO DEL BECCO DELL'AQUILA - Francesca SASSANO

Non so chi possa sapere.Di questo momento. Anzi più di tutto, di come esso arrivi a te. Bisogna essere un'aquila. Non è uno scherzo. Io, nemmeno lo sapevo. C'è un attimo, in cui ognuno di noi sente forte nell'aria un mutamento. Si crede che abbia il sorriso del cielo o l'umido delicato della pioggia d'estate. Invece è solo la carezza forte del vento: ti entra dalle narici, ti squarcia dentro e tu lo sai. Dopo ti aspetta il muro. Ci vai da solo, in silenzio. Non servirebbe a nulla parlare. Non potresti essere compreso. Per quanto duro è il tuo momento. Devi stringerlo forte, anzi diventare una cosa sola con lui. Secondo una leggenda, all'aquila anziana si annebbiava la vista e si appesantivano le ali. Essa allora volava in cielo e bruciava le sue ali e il velo che le copriva gli occhi al calore del sole, dopo di che scendeva in terra e immersasi tre volte in una fonte tornava giovane e vigorosa. Questo solo avevo sentito dire. Era un racconto diverso. Di questo momento, invece nulla. Nessuno me l'aveva detto. Forse ognuno tiene nascosto quello che non sa dire bene. Meglio il silenzio. Purchè non sia solo sconfitta. Io non so tacere. Mi avevano insegnato che un'aquila vola in alto, sempre. E' un giro solitario che non appaga. La curiosità porta a essere troppo prossimi alle cose. Anche a quelle che non ti appartengono. Lo so, ma i colori stanno tutti in basso. Non c'era storia. Le cose più belle hanno consumato i miei occhi. Mi hanno educato per essere rapace e predatore. Tutte cose ovvie. Avevo solo le unghie e un becco. Le ali non fanno testo alcuno. D'altra parte, sono un genere promiscuo. E forse questo è l'unico vantaggio. Così questo momento non fa differenze, nè indica tempi diversi. Mentre volavo, l'ho subito sentito. Ora il muro mi aspetta. E non è solo quello. Ci sono cose che il dolore aggrava. Ci vuole coraggio, ma quello non ti arriva. E ora sono qui. Di fronte a questo muro. E' da non crederci che per andare avanti devo soffrire più dell'arresto. Perchè è così, morire piano piano è sorte di tutti, nessuno ha fretta e soprattutto non si scampa. Diverso è il muro. La tua scelta: hai solo una possibilità. Puoi accorciare il tuo tempo o guadagnarne quasi il doppio. Devi solo farti tanto male. Non è facile, soprattutto se immagini lo strappo forte, l'impatto amaro con quella superficie ruvida. Il dolore che ti annebbia gli occhi, il sangue caldo che ti scende ai lati, senza sollievo e senza lacrime. E seppure avessi coraggio per tutto questo, come superare l'attesa del dopo... Lo so, questo mi appare peggio. Stare lì sdraiata senza becco, in un'attesa colma di paura. Però se ci penso, tutta la mia vita è stata sempre un salto nel vuoto. E quindi? Perchè, ora che non ho alternative, temo l'uscita? Passati i quarant'anni non sai se vuoi vedere oltre. Un poco è così. Poi rimane il resto. Ed è più importante. Altrimenti non avrei tanta paura di non esserci. E' il mio momento: quello del becco dell'aquila. Sono sotto il muro, lo guardo dal basso in alto. Solo per non vederne la fine. Anche per sentirmi piccola e senza importanza. Non un'aquila reale. Solo un becco che salta con tutto il dolore del mondo, anzi di quello che mi appartiene. Poca cosa, insomma. La sto facendo troppo lunga. Ci sono passati tutti e nessuno mi ha saputo dire nulla. Per questo io so che scriverò ogni cosa. Quasi una ordinata vendetta. Per qualcun altro e per rispettare il pudore del silenzio. Di questa montagna, troppo alta. Ora è il momento : 1,2 e 3 ... mi lancio contro questo muro che mi aspetta. Anzi lo punto con il mio becco stanco, ci vado proprio contro, prima finisce e meglio, è. Questo è ciò che è accaduto prima. Poi è venuto il resto. Sono passati 150 giorni, li ho contatti tutti piano, piano. I primi sono stati infinitamente lunghi. Guardavo il cielo da un'altra dimensione. Ne vedevo solo metà. Questo mi ha fatto capire molte cose. Anche il sapore della polvere che sta in terra, il conforto delle mie lacrime, lo splendore dell'alba che pure mi giungeva gradita nella mia immobilità. Ho trascorso quest'attesa infinita rifacendo con la mente tutti i miei voli più belli. Erano immagini che spazzavo subito via, troppo dolore per il perso non aiuta. Alla fine ho scoperto la gioia del vuoto del pensiero. Tu sei lì e nulla ti corre dietro. Non è così semplice da spiegare, ma il bello è che tutto, dopo, avviene da sè.

Una mattina, senza preavviso, ho aperto gli occhi e proprio di fronte a me, era tornato tutto come prima. Anzi meglio! E anche allora, stupidamente, non avevo appreso nulla, se mi rallegravo così d'improvviso. Ero solo a metà del mio cammino. A una sofferenza passata si doveva aggiungere quella prossima e sconosciuta. Dovevo farmi coraggio nuovamente, tanto da strappare ad uno ad uno, tutti i miei vecchi artigli. Ho fatto in fretta, proprio per non pensare. Non volevo avere memoria e maggiore timore. Quello che mi dava coraggio era la certezza di non potermi arrestare. E così è stato. Quando sono arrivato alla fine, togliermi ancora, una ad una, tutte le piume è stato un dolore di passaggio, un leggero e continuo fastidio . Solo questo. Sapevo di esserci. Ma mi chiedevo com'ero. E soprattutto se ancora volevo volare - a modo mio- per altri trenta anni. E in quel momento mi era venuta in mente una frase, me la sussurrava qualcuno tantissimi anni fa : "- Non posso venire da te perchè già ti sono accanto. Tu non sei piccola, perchè già cresciuta: sei grande e giochi con il tempo e la vita - come tutti facciamo - per il gusto di vivere "1

Allora, senza più dire , mi sono alzata in volo, per il solito gusto di vivere.

 

 

 

 

 

 

1 Richiard Bach - Nessun luogo è lontano Ed Bur.




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