-  Antonio Arseni  -  09/12/2016

Liberalità d'uso e donazione (Cass.19.09.2016 n.18280) - Antonio Arseni

Liberalià d'uso (in sostanza i regali che vengono fatti in determinate circostanze secondo quella che appare essere la consuetudine riferita al luogo ad al tempo) e donazione sono due istituti giuridici affini avendo in comune la causa, intesa come scopo concreto perseguito dal disponente, consistente nel c.d. arricchimento del beneficiario in danno del primo.

La liberalità secondo gli usi differisce, però, dalla donazione in quanto è posta in essere non già quale libera manifestazione del donante, bensì quale consapevole adeguamento del disponente medesimo agli usi e costumi sociali di quel periodo o luogo, a causa di determinati rapporti.

È, dunque, proprio nell'elemento soggettivo dell'animus donandi , tipico della donazione , che deve essere individuata la differenza con la liberalità d'uso, quest'ultima venendo effettuata per l'appunto in quanto vincolata da un determinato motivo.

 

Sulla liberalità secondo gli usi, significativa appare una recente decisione della Corte di Cassazione (19/09/2016 n° 18280) la quale ha testualmente affermato, nella parte motiva, che  essa  "si configura qualora sia disposta in determinate occasioni, quali, ad esempio, le nozze, i compleanni, gli anniversari, in cui per consuetudine si è instaurata l'abitualità diffusa di un certo comportamento".

La S.C. sottolinea come l'art. 770 CC , che disciplina per l'appunto la liberalità d'uso (2° comma) differenziandola anche da altra figura giuridica, quale la donazione remuneratoria (1° comma), abbia natura elastica, potendosi registrare adattamenti nel costume. A ciò consegue che le feste e ricorrenze affermatesi nel tempo possono far sorgere e consolidare usi nuovi che legittimano l'applicazione dell'art. 770, 2° co., CC.

In questo senso, oltre ai regali per Natale, anche in occasione delle feste della mamma o del papà, o più di recente per quella di S. Valentino e "delle donne", in cui si registra sostanzialmente un uso ormai impostosi con una indiscutibile rilevanza, potrebbe così affermarsi una consuetudine tale da giustificare l'applicazione dell'art. 770, 2° co., CC.

Aggiunge la Cassazione che l'uniformarsi della elargizione agli usi e costumi propri di una determinata occasione va anche rapportata sotto il profilo della proporzionalità, da operarsi in base alla posizione sociale delle parti ed alle condizioni economiche dell'autore dell'atto (in senso conforme, v. anche Cass. 18/09/2008 n° 16550).

La liberalità d'uso è, dunque, una liberalità non donativa nel senso di essere un negozio diverso dalla donazione in senso stretto, e perciò non soggetta alla forma propria di questa.

Il caso esaminato dalla decisione suddetta (Cass. 18280/2016) riguardava la vicenda di un uomo il quale, successivamente alla rottura del rapporto sentimentale, aveva richiesto all'ex compagna la restituzione di un quadro di Picasso e di un diamante di 13 carati, regalati a quest'ultima. La Corte di Appello territoriale, in riforma della decisione di primo grado (che aveva accordato la sola restituzione di un tavolo in noce intarsiato) condannava la beneficiaria a restituire il quadro ed il gioiello non trattandosi di liberalità d'uso ma di donazione che depauperava notevolmente il patrimonio del donante, tale da richiedere la forma prevista dall'art. 782 CC.

La sentenza veniva confermata dalla Corte Regolatrice che, per l'appunto, enunciava i suddetti principi.

Dunque, affinché una elargizione gratuita possa configurarsi come una liberalità d'uso, occorre che ricorrano le seguenti condizioni:

1) che essa si uniformi, in ogni caso, agli usi e costumi propri di una determinata occasione (normalmente, ma non solo, feste, ricorrenze, comunioni) da vagliarsi anche alla stregua dei rapporti esistenti tra le parti e della loro posizione sociale;

2) che tale uniformità sussista anche sotto il profilo della proporzionalità delle condizioni economiche dell'autore dell'atto.

In altro senso, deve trattarsi di una "liberalità che si suole fare", ancorché essa è individuabile in servizi resi precedentemente dal donatario al donante, altrimenti si ricadrebbe nella diversa ipotesi della donazione remuneratoria, prevista dal 1° comma dell'art. 770 CC. che consiste in una liberalità "per speciale remunerazione" del donante essendo fatta in segno di riconoscenza od in considerazione dei meriti del donatario o per speciale remunerazione alla quale il donante non è tenuto né per legge, né per uso, né per costume sociale.

Ai fini della distinzione tra donazione remuneratoria e liberalità d'uso, occorre aver riguardo soprattutto al diverso movente, ravvisabile, nella prima figura, nel desiderio di gratificare l'autore dei servizi resi e, con riguardo alla seconda figura, nell'intento di porre, rispetto a tali servizi, un elemento di corrispettività o di adeguarsi ad un costume sociale seppur non obbligatorio ma libero (così Cass. 14/01/1992 n. 324).

Conclusivamente, nella presenza dell'animus donandi (nel primo caso) andrebbe individuata la linea di demarcazione tra le due fattispecie, da scrutinarsi attentamente nella fattispecie concreta considerato che la liberalità d'uso è espressamente sottratta alla disciplina delle donazioni (art. 809 CC) ed ad essa rimangono applicabili solo le norme non incompatibili (es. art. 783, 797, 798 CC).

E' bene precisare che non osta alla configurabilità di una liberalità d'uso la elargizione di un bene di rilevante valore ove rapportato alle condizioni economiche del disponente che al contrario escluderebbe una donazione di modico valore ex art. 783 CC (Cass. 18/09/2014 n° 19636, Cass. 09/12/1993 n° 12143).

Inoltre va segnalato che la presenza di una liberalità secondo gli usi si rinviene non solo, come visto, nell'invalsa consuetudine di fare doni in occasione di festività, ricorrenze celebrative, anniversari - tenuto conto del criterio anzidetto di proporzionalità vagliato anche con riferimento ai legami esistenti tra le parti- ma anche in occasione di altre e diverse evidenze come, per fare alcuni esempi in casi trattati concretamente dalla giurisprudenza:

a) nella dazione di una cospicua somma di denaro data dal padre alla figlia per provvedere all'acquisto dei mobili destinata alla casa coniugale ove si sarebbe sistemata con il marito (Cass. 18/09/2014 n° 19636, Tribunale di Napoli 09/10/1981 in Red. Giuffrè);

b) nella elargizione di un bene fatta spontaneamente tra due fidanzati, nella specie una pelliccia in favore della partner con la quale il donante aveva da 15 anni una costante relazione amorosa ( Pretura Torino 28/06/1993, in Diritto Famiglia 1994, 1071; vedasi anche Cass. 10/12/1988 n° 6720, che ha considerato liberalità d'uso il dono di anelli di oltre 100 milioni di lire dati in occasione di un fidanzamento ufficiale, considerato che le parti appartenevano a famiglie benestanti, in un ambiente sociale abituato ad assegnare particolare solennità a detta cerimonia, con regali di sensibile entità);

d) nelle erogazioni corrisposte, nell'ambito del rapporto di lavoro, con carattere di spontanea liberalità e che non abbiano acquisito il carattere dell'elemento integrativo del corrispettivo, come nel caso esaminato da Cass. 29/03/1990 n° 2549 che aveva escluso l'uso negoziale dell'avvenuto pagamento di una speciale gratifica per la festa della donna, di recente creazione;

e) nella mancia corrisposta ai lavoratori con carattere di continuità ed abitualità, che in determinati settori della vita sociale possono acquistare natura retributiva solo ove tale natura è a loro conferita da uno specifico accordo negoziale individuale o collettivo (Cass. 16/07/1992 n° 8598).

Vi sono infine, casi particolari e non infrequenti che possono dar luogo a dubbi in ordine alla disciplina giuridica applicabile, rappresentati dalla assistenza da parte di uno dei figli ai genitori e dai doni fatti fra fidanzati.

Nel primo caso, è stato ad esempio ritenuto (v. Tribunale di Monza 13/03/2007 ,in Giur. Merito 2008 n° 643)" che detta assistenza non determina, secondo la morale sociale, una obbligazione in capo all'assistito o ad un suo parente stretto, in quanto le attuali convinzioni etiche della società – pur nella inevitabile trasformazione dei costumi che può aver indebolito i legami familiari – fanno ritenere ancora doverosa l'assistenza dei figli ai genitori anziani, peraltro prevista nell'art. 433 CC, con la conseguenza che l'attribuzione patrimoniale effettuata dal genitore al figlio potrebbe ricondursi nell'ambito di una donazione remuneratoria, atteggiandosi quale atto sorretto da uno spirito di liberalità e motivato dal desiderio di beneficiare un soggetto meritevole di essere premiato secondo una valutazione personale e non sociale.

Ugualmente nel caso affine del prelevamento, in forza di regolare delega, del denaro depositato sul conto corrente del padre, prima della sua morte ed in ottemperanza del suo desiderio di compensare il figlio per l'assistenza prestatagli (Tribunale di Monza 25/01/2001 in Nuova Giur. Civ. Commentata 2002, I, 46).

E' appena il caso di ricordare che, a differenza delle liberalità d'uso, la donazione remuneratoria, in quanto donazione, richiede, per la sua validità, il requisito di forma previsto dalla legge ed è soggetta all'azione di riduzione (Cass. 24/07/2008 n° 20387) per la reintegrazione della quota riservata ai legittimari, ma non alla collazione ex art. 805 CC.

Invece, per quanto riguarda i doni tra fidanzati si tratterebbe di una figura giuridica non equiparabile né alle donazioni remuneratorie né alle liberalità d'uso atteggiandosi alla stregua di vere e proprie donazioni, come tali soggette ai requisiti di sostanza e forma previsti dalla legge, salva la ipotesi di modicità del donativo, da valutarsi oggettivamente in relazione alla capacità economica del donante, idonea a consentire il trasferimento sulla base della mera traditio (v. Cass. 08/02/1994 n° 1260). E ciò con riferimento ai doni tra fidanzati effettuati a causa della promessa di matrimonio (questo era il caso esaminato dalla decisione appena citata) che riceve una particolare disciplina nell'art. 80 CC, laddove è prevista la restituzione, in caso di matrimonio mancato, la cui ratio consisterebbe nella opportunità di rimuovere i segni di un rapporto affettivo rimasto incompiuto.




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