-  Trisolino Luigi  -  20/04/2015

PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO E PRINCIPIO INQUISITORIO – Luigi TRISOLINO

-La fase istruttoria tra principio inquisitorio e partecipativo

-La L. n. 241/1990 e le facoltà ispettive della Pubblica Amministrazione

-Logica partecipativa del cittadino nei procedimenti amministrativi come portato della teorica del contratto sociale tra non-sudditi

 

Il concetto di procedimento evoca quello di uno svolgimento seriale e coordinato, meta-sistemico, di attività soggettivamente ed oggettivamente sussumibili nell"entroterra dispositivo e logico della legalità, attività formalizzate in atti, posti in essere secondo modelli e schemi procedimentali rispondenti ad ottiche peculiarmente funzionalizzate.

Sulla scorta della storia delle riflessioni scientifiche di matrice giusprocessualistico-penale, nonché sul portato gnoseologico concreto – di derivazione eminentemente positivistico-prescrittiva – conseguente all"ingresso nel panorama ordinamentale giuridico italiano del codice di procedura penale alla fine degli anni "80 del Novecento, si è proceduto parallelamente e per similitudine, isolando le astrazioni ontiche riferite alle sequenze procedimentali dell"esercizio del potere della Pubblica Amministrazione, per considerarle diacronicamente e sistematicamente, oltre che sinteticamente, ai fini della elaborazione di definizioni macroscopiche fondanti gli inquadramenti socio-sovrastrutturali in cui incardinare la considerazione dell"agire amministrativo, e delle sue dialettiche con la sfera privata dei singoli privati consociati interessati.

Si può, così, avvertire una progressiva tensione dell"ontologia del potere pubblico amministrativo nel suo funzionalistico divenire "in acta", una aspirazione graduale alla partecipazione simil-democratica dei piani nomopoietici rappresentativamente filtrati. In verità, e a rigore, non di solo spirito socio-evoluzionistico-politologico in senso personologico si può trattare nel discorrere di mutazioni morfologiche e di "ratio" del procedimento amministrativo, ma di applicazione ragionevole di parametri razionali di stretta logica pura, la quale ultima non può non condensare il rapporto tra cittadino e P.A. dal cui amplesso gius-funzionale sfocia costitutivamente un atto provvedimentale incisivo nella conformazione dei precedenti elementi fenomenici del "Tatbestand" ("stato di fatto"): sarebbe irrazionale – e quindi confliggente con l"apparato ermeneutico reattivamente sviscerato dalle maglie argomentative e strutturalistiche della riflessione della Corte Costituzionale sul terreno dispositivo (immediato) dell"art. 3 Cost. – rendere aprioristicamente recessivo un fattore giuocante la propria attività realizzativa della persona come singolo o come animale umano associato in cittadinanza (art. 2 Cost.), nei confronti e in favore di un soggetto pubblico portatore di equilibri pluralisticamente realizzativi e avverativi delle interessate istanze della complessità della soggettività sociale; se il c.d. contratto sociale è strutturalmente e funzionalmente teleologicizzato a costruire un rapporto non di mera sudditanza ma di cittadinanza sotto la copertura di una ispirazione stutualistica personologicamente orientata, non può affermare la volontà olistico-finzionistica oltrepassando le esigenze dei singoli partecipi (le parti del contratto "de quo"), esigenze sulla cui pulsione satisfattoria si fonda il "pactum" medesimo.

Si è passati da un"esplicazione seriale amministrativistico-autoritaria di tipo soltanto inquisitorio, ad una di tipo accusatorio-partecipativo (sulla scia della logica penalprocessualistica).

La L. n. 241/1990 ("Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi"), invero, ha caratterizzato la stagione di apertura al principio partecipativo da esplicare e realizzare anche nel procedimento amministrativo, tra legalità, discrezionalità tecnica di matrice amministrativa, economicità, efficacia (e, per portato ermeneutico consequenziale, anche di efficienza, secondo l"ottica del giudizio di costi-benefici), e ancora, di semplificazione, pubblicità e trasparenza. Gli anzidetti principi sono stati oggetto di una lenta primavera dalle spente ma compulsive fioriture, spesso più preannunciate ed esaltate dall"apparato di "governance" del Belpaese che realizzate concretamente. L"assetto attuale di efficacia ed efficienza realizzativa dei principi "de quibus", comunque, è riuscito nel tempo a soddisfare una certa porzione di istanze garantistico-partecipative, riuscendo a confinare strutturalmente e funzionalmente l"ispirazione ontologica inquisitoriamente caratterizzata del procedimento amministrativo che fu.

Secondo la novecentesca, autorevole dottrina patria salutata come soggettivistica, il procedimento amministrativo si compone della fase preparatoria (a sua volta strutturata cronologicamente nel momento della iniziativa, in quello della istruttoria, in quello pre-decisionale e in quello della determinazione del contenuto della decisione), della fase costitutiva (si potrebbe dire anche di formulazione della decisione con effetto tecnicamente costitutivo, "stricto sensu"), e della fase c.d. integrativa dell"efficacia.

Il dato soggettivistico su cui la dottrina autorevole anzidetta faceva perno era l"altisonanza pubblicistico-statuale nella sua sfera d"azione funzionale alla realizzazione dell"interesse generale, a sua volta composto dall"interesse pubblico nella cui fattezza logica e d"impatto pratico sociale vanno contemperati e condensati tutti gli interessi pubblici e privati rilevanti e incidenti o incisi. La fase istruttoria era dommaticamente relegata in una mera ramificazione della fase c.d. preparatoria. Nelle successive e più moderne impostazioni dommatiche, invece, il momento istruttorio ha assunto la qualità primaria di momento autonomo di prima linea: e ciò a rigor consonantico-sistemico, e di ordine di coerenza razionale, con l"effetto precludente o anche con quello invalidante che si può verificare nella fase decisionale-provvedimentale per via di un vizio procedimentale (violazione di legge o eccesso di potere) manifestatosi nella fase istruttoria, appunto. Tale effetto consequenziale, che innesta le sorti effettuali e la resistenza di tali sorti medesime alla regolare validità e ponderatezza dello svolgimento delle attività e degli atti fondamentali dell"istruttoria, erge quest"ultima a momento pre-genetico del provvedimento finale, momento dal cui patrimonio logico e pseudo-cromosomico scaturisce il prodotto dell"agire organizzato legale. Questo profilo riporta la mente alla fattezza del rapporto logico-fenomenico di causalità (e al broccardo "natura non facit saltum"), ma, anzitutto, e giuspositivisticamente, ad una norma generale di stretta tenuta organica e di realizzazione della completezza sistemico-dispositiva propria dell"assetto ordinamentale del "ius" scritto: l"art. 3, comma 1, parte seconda, L. n. 241/1990. L"articolo anzidetto, a proposito – e in occasione – della motivazione del provvedimento (similmente associabile alla logica del comma sesto dell"art. 111 Cost., comunque operante in un differente ambito, ossia quello non procedimentale ma processualistico-giurisdizionale), invero, sancisce che la motivazione del provvedimento amministrativo deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell"amministrazione, in relazione alle risultanze della fase istruttoria (ecco la importanza gnoseologica – con effetti consequenziali necessari – dell"istruttoria).

La fase istruttoria opera attraverso e intorno alla efficienza funzionale della trasparente attività operativa dell"unità organizzativa responsabile del procedimento (art. 4 L. n. 241), nonché attraverso l"operato del responsabile del procedimento (art. 5 L. n. 241).

A proposito del responsabile del procedimento, si può rilevare come una testimonianza giuspositivistica del principio (e del modello) inquisitorio residualmente operante nella struttura razionale procedimentale, a rigore, può essere rinvenuta nella lettera b) dell"art. 6 L. n. 241, sui compiti del responsabile appunto. La lettera "de qua" dispone che il responsabile accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all"uopo necessari, e adotta ogni misura per l""adeguato" (principio di efficacia "ex ante" determinabile) e "sollecito" (principio di semplificazione ed efficienza) svolgimento dell"istruttoria.

Autorevole dottrina ha invero rilevato l"associazione logica tra la porzione dell"art. 6 in questione e la caratterizzazione in senso inquisitorio della fase istruttoria del procedimento amministrativo, con una connessa spiegazione fondativa di siffatta permanenza del principio inquisitorio nelle maglie delle attuali formulazioni legislative. Oltre alle ragioni di esplicazione del potere autoritativo dell"organo tecnico amministrativo, e a quelle di contenimento della estensione cronologica del procedimento, nella sua diacronicità spesso non solo logica – scientificamente analizzabile – ma anche e soprattutto fenomenica e dinamico-strutturale, si noti come il principio accusatorio di formazione della prova in dibattimento dinanzi ad un giudice terzo e imparziale sia in verità un principio costituzionalmente ("ergo", "de jure majore") associato alla sfera procedurale di tipo giurisdizionale, sfera che può ispirare ma non essere concettualmente confusa con quella procedimentale amministrativa.

Il soggetto che si assume leso da un provvedimento può agire giurisdizionalmente per l"annullamento dell"atto per eccesso di potere, a fronte del cattivo accertamento dei fatti, nel momento acquisitivo, preludio del momento – spesso tecnicamente discrezionale – valutativo di quanto acquisito. Oppure, quando a rigor di legge può, solleva i provvedimenti reattivi nei confronti della stessa autorità pubblica autrice del finale prodotto procedimentale.

A far da cuscinetto, in un"ottica vocàta alla logica dei "checks and balances" nel cui equilibrio sintetico si configura l"istanza personologica dell"esigenza gius-garantistica, poi, vige tutta una serie di istituti e, comunque, di disposizioni.

Si rilevi, a titolo d"esempio indicativo, tra i vari, quanto sancisce l"art. 6-bis della legge sul procedimento amministrativo: il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnando ogni situazione di conflitto, anche potenziale.

Se la prima parte della lettera b) dell"art. 6 L. n. 241/1990 nel disporre che un determinato organo del procedimento amministrativo – il responsabile – accerta d"ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all"uopo necessari (principio di discrezionalità tecnica), e adotta "ogni misura" per l"adeguato e sollecito svolgimento dell"istruttoria, non può non rilevarsi come il legislatore abbia comunque lasciato attivo ed operante il principio di autoritatività attenuata, divergente nelle sue rotte fenomeniche e nelle sue teleologie fondanti, dal più vetusto principio di autoritarietà allargata, anche attraverso una sorta di "favor omniscientiae" per il tecnico potere amministrativo discrezionale.

Se poi si prosegue, con intento analitico-sistemico, la lettura della medesima lettera b) nella sua seconda parte, si acquisisce la cognizione della peculiare struttura volitiva della legislazione, volta a specificare nel particolare il contenuto potestativo del pubblico organo procedimentale (si noti l""incipit" della seconda parte: "In particolare"). Il legislatore ha fornito il responsabile del procedimento della facoltà ("può chiedere") di chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete – facoltà tecnicamente necessitata dal riscontro delle carenze del comportamento e del formale agire del privato  interessato o coinvolto – e di esperire accertamenti tecnici ed ispezioni, ed ordinare esibizioni documentali.

Attraverso la previsione di strumenti potestativi di tipo ispettivo in capo all"Amministrazione procedente, così, si tecnicizza e si concretizza in senso forte la generica veglia sulla regolarità e sulla veridicità dell"operato e del dichiarato del privato, veglia ricavabile dall"insieme dei cocci normativi nei loro combinati disposti logico-ermeneutici. Si evince il carattere funzionale di controllo dell"organo competente nel procedimento amministrativo, un controllo che non si organizza in mera vigilanza passiva, ma in attiva vigilanza ispettiva. Ciò non deve esser letto sempre come ingerenza nella libera esistenza di cittadinanza dei privati nel loro agire giuridicamente interessante, e rilevante, bensì come una attrezzatura legale di cui la P.A. risulta specificamente fornita nella sua sfera di competenza a mezzo di specifici organi. I parametri operativi – necessariamente improntabili secondo ragionevolezza – e i criteri di condotta (e di etica) del potere pubblico nel suo facoltativo esplicarsi in senso ispettivo-istruttorio, poi, devono ovviamente essere orientati in senso imparziale (principio di imparzialità di cui all"art. 97, comma 2, Cost.) per soddisfare le esigenze funzionali tecniche, e di buon andamento (art. 97, comma 2, Cost.), dei casi concreti del mondo della vita dei consociati, non sudditi ma cittadini persone.




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