Letteratura  -  Cecilia De Luca  -  22/04/2024

‘Nnanze e aret per ‘na tazzulella ‘e cafè

“Ed è così, che al batter delle ore,

già di primo mattino,

mentre il frenetico ed affannato avvocato segue il solito moto

dell’andar “avanti ed indietro”

– per una delle “lingue” più melodiche al mondo il cosiddetto ‘nnanze e aret

tra i teatri dei processi – le aule dei tribunali – ove vivente è il diritto,

ed i laboratori, tumultuosi, affollati, rumorosi, dei moderni studi legali,

ove ha sede il processo di “confezionamento” del “giusto prodotto” per il cliente,

il pensoso ed insonne giudice,

confortato, ed accompagnato nella sua solitudine,

nel seguire di tutta la giornata,

dal profumo, sempre piacevole e rassicurante, di una dolce e gentile tazzulella ‘e cafè,

segue lo stesso moto, dell’andar ‘nnanze e aret, ma

giacendo sulla sua poltrona,

riflettendo, in fondo, nient’altro che uno stato interiore,

in attesa che una nuova quantità di carte,

prevedibilmente sempre maggiore e più voluminosa,

venga depositata sulla propria scrivania,

lasciando, certamente, il dovuto spazio a quella “innocente” tazzulella ‘e cafè.

Chest’è ‘a verità. Che sebbene l’avvocato ed il giudice siano percepite come due figure,

diverse, opposte, quasi antagoniste,

di chi sta n’coppa e chi ‘a sotto,

essi, in verità, condividono due elementi essenziali:

quella tazzulella ‘e cafè”, che il primo è costretto a prendere,

a volte di fretta, correndo,

altre volte stando in piedi, aspettando,

altre ancora quasi ustionandosi la gola, senza poterlo assaporare,

diventa, per questo, indispensabile per “tirar su”, fino a tarda sera,

per riuscir a mantenere quel ritmo, materiale, dell’‘nnanze e aret,

per il secondo, invece, è un’attesa desiderata, ogni singola volta,

nei diversi momenti della giornata,

come se ciascuna di quelle volte

rappresentasse il primo appuntamento con la propria ‘nnammurata;

è, cioè, quella compagna, che si vorrebbe custodire, gelosamente,

ed avere costantemente accanto a sé

nella propria vita. Di una vita, alla fine dei conti,

trascorsa in una stanza,

umanamente vuota,

colma di pile di carte impolverate che,

secondo dopo secondo,

occupano sempre più spazio,

fino a prendere, quasi, il sopravvenuto sull’ormai esausto giudice,

il quale, però, trova il proprio conforto e piacere

in quello spazio d’angolo, sulla scrivania, riservato,

come un “tavolo per due” al ristorante,

all’appuntamento con la sua tazzulella ‘e cafè,

la quale, sola ed unica, riesce a calmare ed attenuare quel “moto interiore”,

che anche lui caratterizza,

dell’andar “‘nnanze e aret””.

di Cecilia De Luca




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