-  Redazione P&D  -  21/06/2008

ART. 1226 C.C. E QUANTIFICAZIONE DEL DANNO NON PATRIMONIALE (seconda parte) - Riccardo MAZZON

(segue)

Il danno non patrimoniale, privo, ovviamente e per definizione, delle caratteristiche della patrimonialità, è certamente danno da ritenersi non suscettibile d’esser provato nel suo preciso ammontare: ontologicamente, pertanto, attesa anche la funzione non reintegratrice, ma meramente compensativa di un pregiudizio non economico, che la dazione di somma di denaro possiede nel caso che ci occupa, l’unica forma di liquidazione ad esso appropriata risulta essere quella equitativa, ex art. 1226 c.c.:

“Unica possibile forma di liquidazione - per ogni danno che sia privo, come il danno biologico ed il danno morale, delle caratteristiche della patrimonialità - è quella equitativa, sicché la ragione del ricorso a tale criterio è insita nella natura stessa di tale danno e nella funzione del risarcimento realizzato mediante la dazione di una somma di denaro, che non è reintegratrice di una diminuzione patrimoniale, ma compensativa di un pregiudizio non economico, con la conseguenza che non si può fare carico al giudice di non aver indicato le ragioni per le quali il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare - costituente, in linea generale, la condizione per il ricorso alla valutazione equitativa (art. 1226 c.c.) - giacché intanto una precisa quantificazione pecuniaria è possibile, in quanto esistano dei parametri normativi fissi di commutazione, in difetto dei quali il danno non patrimoniale non può mai essere provato nel suo preciso ammontare, fermo restando, tuttavia, il dovere del giudice di dar conto delle circostanze di fatto da lui considerate nel compimento della valutazione equitativa e del percorso logico che lo ha condotto a quel determinato risultato”.
Cassazione civile , sez. lav., 12 maggio 2006, n. 11039 Mistri c. Lesmi Giust. civ. Mass. 2006, 5

Con l’avvertenza, peraltro, che la circostanza secondo cui la liquidazione del danno non patrimoniale debba avvenire con valutazione equitativa non esenta, naturalmente, il danneggiato dal provare quanto di sua generale competenza:

“La liquidazione equitativa concerne la mera quantificazione, mentre spetta al ricorrente che agisce per il risarcimento del danno provare gli elementi costitutivi della propria pretesa e delle relative voci”.

T.A.R. Liguria, sez. I, 21 aprile 2006, n. 391 Soc. C. c. Com. Sanremo

Quanto alle modalità applicative consentite dall’art. 1226 c.c. nell’ambito che ci occupa, è opportuno distinguere la liquidazione dei danni biologico e morale dalla liquidazione del danno esistenziale.
Quanto ai primi due, è ormai assolutamente pacifica la possibilità di utilizzo di idonee tabelle, ossia criteri predeterminati e standardizzati, elaborati da alcuni uffici giudiziari, con finalità di semplificazione ed uniformità di giudizio:

“In particolare, la liquidazione del danno biologico può essere effettuata dal giudice, con ricorso al metodo equitativo, anche attraverso l'applicazione di criteri predeterminati e standardizzati, quali le cosiddette "tabelle" (elaborate da alcuni uffici giudiziari), ancorché non rientrino nelle nozioni di fatto di comune esperienza, né risultano recepite in norme di diritto, come tali appartenenti alla scienza ufficiale del giudice. La liquidazione equitativa del danno morale, poi, può essere legittimamente effettuata dal giudice sulla base delle stesse "tabelle" utilizzate per la liquidazione del danno biologico, portando, in questo caso, alla quantificazione del danno morale - in misura pari ad una frazione di quanto dovuto dal danneggiante a titolo di danno biologico - purché il risultato, in tal modo raggiunto, venga poi "personalizzato", tenendo conto della particolarità del caso concreto e della reale entità del danno, con la conseguenza che non può giungersi a liquidazioni puramente simboliche o irrisorie”.
Cassazione civile , sez. lav., 12 maggio 2006, n. 11039 Mistri c. Lesmi Giust. civ. Mass. 2006, 5 Foro amm. TAR 2006, 4 1278.

Quanto alla quantificazione del danno esistenziale, le peculiarità che lo caratterizzano meritano particolare attenzione.
In effetti, occorre sottolineare come, proprio a causa delle molteplici forme che può assumere il danno c.d. esistenziale, si renda indispensabile una specifica allegazione in tal senso da parte del soggetto danneggiato che chieda il risarcimento: devono, cioè, essere forniti (rectius provati) tutti gli elementi, le modalità e le peculiarità della situazione in fatto, attraverso i quali possa emergere la prova del danno esistenziale.
Non è quindi sufficiente prospettare il danno esistenziale e chiedere genericamente il risarcimento di tale danno, non potendo il giudice prescindere dalla natura del pregiudizio lamentato, e valendo il principio generale per cui il giudice - se può sopperire alla carenza di prova attraverso il ricorso alle presunzioni ed anche alla consulenza tecnica d’ufficio, non può invece mai sopperire all'onere di allegazione che concerne sia l'oggetto della domanda, sia le circostanze in fatto su cui questa trova supporto.

“In relazione all'opzione difensiva del convenuto consistente nel contrapporre alla pretesa attorea fatti ai quali la legge attribuisce autonoma idoneità modificativa, impeditiva o estintiva degli effetti del rapporto sul quale la predetta pretesa si fonda, occorre distinguere il potere di allegazione da quello di rilevazione, posto che il primo compete esclusivamente alla parte e va esercitato nei tempi e nei modi previsti dal rito in concreto applicabile (pertanto sempre soggiacendo alle relative preclusioni e decadenze), mentre il secondo compete alla parte (e soggiace perciò alle preclusioni previste per le attività di parte) solo nei casi in cui la manifestazione della volontà della parte sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (come nel caso di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un'azione costitutiva), ovvero quando singole disposizioni espressamente prevedano come indispensabile l'iniziativa di parte, dovendosi in ogni altro caso ritenere la rilevabilità d'ufficio dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito, senza che, peraltro, ciò comporti un superamento del divieto di scienza privata del giudice o delle preclusioni e decadenze previste, atteso che il generale potere - dovere di rilievo d'ufficio delle eccezioni facente capo al giudice si traduce solo nell'attribuzione di rilevanza, ai fini della decisione di merito, a determinati fatti, sempre che la richiesta della parte in tal senso non sia strutturalmente necessaria o espressamente prevista, essendo però in entrambi i casi necessario che i predetti fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultino legittimamente acquisiti al processo e provati alla stregua della specifica disciplina processuale in concreto applicabile”.
Cassazione civile , sez. un., 03 febbraio 1998, n. 1099 Sanfelici c. Soc. Sterilgarda alimenti Giust. civ. Mass. 1998, 1185

Invero, ragionando in termini di danno esistenziale quale pregiudizio che l'illecito provoca sul fare areddituale del soggetto, alterando le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri, sconvolgendo la sua quotidianità e privandolo di occasioni per la espressione e la realizzazione della sua personalità nel mondo esterno, e fondandosi tale tipologia di danno sulla natura non meramente emotiva ed ulteriore (propria del danno morale), ma oggettivamente accertabile del pregiudizio, risulta assolutamente indispensabile che il danneggiato offra


“…la prova di scelte di vita diverse da quelle che si sarebbero adottate se non si fosse verificato l'evento dannoso”.

Cassazione civile , sez. un., 24 marzo 2006, n. 6572

Anche in relazione a questo tipo di danno il giudice è astretto alla allegazione che ne fa l'interessato sull'oggetto e sul modo di operare dell'asserito pregiudizio, non potendo sopperire alla mancanza di indicazione in tal senso nell'atto di parte, facendo ricorso a formule standardizzate, e sostanzialmente elusive della fattispecie concreta, ravvisando immancabilmente il danno esistenziale come automatica conseguenza dell’illecito:

“Il danno esistenziale infatti, essendo legato indissolubilmente alla persona, e quindi non essendo passibile di determinazione secondo il sistema tabellare - al quale si fa ricorso per determinare il danno biologico, stante la uniformità dei criteri medico legali applicabili in relazione alla lesione dell'indennità psicofisica - necessita imprescindibilmente di precise indicazioni che solo il soggetto danneggiato può fornire, indicando le circostanze comprovanti l'alterazione delle sue abitudini di vita”.
Cassazione civile , sez. un., 24 marzo 2006, n. 6572


Non è dunque sufficiente la prova del fatto illecito ma, dimostrata questa premessa, è poi necessario dare la prova che tale fatto illecito, concretamente, ha inciso in senso negativo nella sfera del danneggiato, alterandone l'equilibrio e le abitudini di vita:


"E' sempre necessaria la prova ulteriore dell'entità del danno, ossia la dimostrazione che la lesione ha prodotto una perdita di tipo analogo a quello indicato dall'art. 1223 cod. civ., costituita dalla diminuzione o privazione di un valore personale (non patrimoniale) alla quale il risarcimento deve essere (equitativamente) commisurato".

(Corte Costituzionale sent. n. 378/94).




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