-  Mazzon Riccardo  -  12/01/2015

ARTICOLO 2049 C.C.: IL PROBLEMA DELL'OCCASIONALITA' NECESSARIA - Riccardo MAZZON

l'accertamento dell'occasionalità necessaria, in ambito di responsabilità di padroni e committenti, va svolto con particolare rigore

si pensi, come nell'esempio riportato, al recupero da parte del mandante, delle somme affidate al mandatario per essere investite sul conto corrente di questo

la decisione di merito è censurabile, nel giudizio di cassazione, solo sotto il profilo della logicità della motivazione

L'accertamento del presupposto della c.d. occasionalità necessaria - si confronti, in argomento, anche la seguente pronuncia, dove, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto sussistente la responsabilità della banca in un caso in cui il direttore della filiale, all'interno dell'istituto bancario, aveva assunto l'iniziativa personale di far versare una somma ai risparmiatori assicurando alla scadenza dell'operazione la restituzione della stessa con un interesse netto del 10%, mentre la banca ne aveva rifiutato la corresponsione - cfr., amplius, il volume "Responsabilita' oggettiva e semioggettiva", Riccardo Mazzon, Utet, Torino 2012 -:

"la responsabilità indiretta del datore di lavoro (nel caso di specie un istituto bancario) per il fatto dannoso commesso dal suo dipendente postula l'esistenza del rapporto di lavoro ed un collegamento tra il fatto dannoso del dipendente e le mansioni da questi espletate, senza che sia richiesta la prova di un vero e proprio nesso di causalità, risultando sufficiente l'esistenza di un rapporto di "occasionalità necessaria", nel senso che l'incombenza svolta deve aver determinato una situazione tale da agevolare e rendere possibile il fatto illecito e l'evento dannoso, e ciò anche se il dipendente abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, o persino trasgredendo agli ordini ricevuti, purché sempre nell'ambito delle proprie mansioni" (Cass. Civ., sez. III, 29 settembre 2005, n. 19167, GCM, 2005, 7/8; conforme, cassando la pronuncia che aveva escluso la responsabilità di una banca per l'operato di un funzionario che aveva esorbitato dai limiti dei poteri attribuitigli senza accertare specificamente la natura delle mansioni affidate con riguardo all'incarico di acquisizione di nuovi clienti: Cass. Civ., sez. III, 11 agosto 1988, n. 4927, GCM, 1988, fasc. 8/9; cfr. anche Trib. Bologna 6 marzo 1979, BBTC, 1979, 211, II, secondo cui non sussiste responsabilità della persona giuridica committente (in specie, di una banca) "ex" art. 2049 c.c., qualora il dipendente abbia trattato l'affare in proprio e manchi perciò il nesso di occasionalità tra il fatto dannoso del commesso e le mansioni svolte) -,

con riferimento ad un istituto bancario, va svolto con particolare rigore - ed è censurabile, nel giudizio di cassazione, solo sotto il profilo della logicità della motivazione, come evidenziato nella seguente fattispecie, relativa al recupero da parte del mandante delle somme affidate al mandatario per essere investite sul conto corrente di questo, dove la corte di merito aveva rigettato la domanda - per responsabilità contrattuale o extracontrattuale - nei confronti della banca chiamata in causa, la quale, mediante il suo procuratore in giudizio aveva affermato al c.t.u., durante le operazioni peritali, di avere ricevuto ordini verbali dal mandatario in ordine al prelevamento e alla disposizione del danaro; la Suprema Corte ha rigettato il ricorso del mandante, sul presupposto che la sentenza era fondata su una motivazione logica e pertanto non censurabile:

"il comportamento processuale (nel cui ambito rientra anche il sistema difensivo adottato dal loro procuratore) o extraprocessuale delle parti, può costituire, ai sensi dell'art. 116 c.p.c., non solo elemento di valutazione delle risultanze acquisite, ma anche unica e sufficiente fonte di prova idonea a sorreggere la decisione del giudice di merito che, con riguardo a tale valutazione, è censurabile nel giudizio di cassazione solo sotto il profilo della logicità della motivazione" (Cass. Civ., sez. III, 26 giugno 2007, n. 14748, GCM, 2007, 6) -,

rigore richiesto in considerazione della peculiare natura dell'attività di raccolta del risparmio e di esercizio del credito, dei controlli e dei vincoli pubblicistici oltre che della conseguente particolare intensità dell'affidamento del cliente, in ordine alla correttezza e lealtà dei comportamenti dei preposti alle singole funzioni; in applicazione dell'enunciato principio, la Suprema corte, in accoglimento del proposto ricorso, non ha escluso la responsabilità della banca, per l'illecito commesso da un funzionario addetto all'ufficio titoli, consistente nell'aver trattenuto somme di denaro che gli erano state affidate da un terzo perché fossero impiegate in investimenti finanziari; nella specie, la Corte ha accolto il ricorso contro la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità ex art. 2049 c.c. in capo alla banca per il fatto illecito del dipendente; il vice capo dell'ufficio titoli non aveva praticamente più restituito a un risparmiatore un'ingente somma che gli era stata affidata in gestione finanziaria; le operazioni di consegna del denaro erano avvenute anche negli uffici dell'istituto ed ogni versamento era stato annotato su un libretto in uso nell'azienda di credito:

"in tema di fatto illecito, con riferimento alla responsabilità dei padroni e committenti, ai fini dell'applicabilità della norma di cui all'art. 2049 c.c. non è necessaria la sussistenza di un rapporto di causalità fra le mansioni svolte dal lavoratore e l'evento pregiudizievole; è sufficiente, infatti, che si configuri un semplice rapporto di "occasionalità necessaria": vale a dire che l'incombenza affidata all'ausiliario determini una situazione tale da rendere possibile o anche soltanto favorire la consumazione del fatto illecito e, dunque, la produzione del danno. La responsabilità della banca per il fatto illecito di un proprio dipendente richiede l'accertamento del nesso di «occasionalità necessaria» tra l'esercizio dell'attività lavorativa e il danno, ed è riscontrabile ogni qual volta il fatto lesivo sia stato prodotto, o quanto meno agevolato, da un comportamento riconducibile allo svolgimento dell'attività lavorativa, anche se il dipendente abbia operato oltrepassando i limiti delle proprie mansioni o abbia agito all'insaputa del datore di lavoro. Tale accertamento, con riferimento ad un istituto bancario, va svolto con particolare rigore, in considerazione della peculiare natura dell'attività di raccolta del risparmio e di esercizio del credito, dei controlli e dei vincoli pubblicistici oltre che della conseguente particolare intensità dell'affidamento del cliente in ordine alla correttezza e lealtà dei comportamenti dei preposti alle singole funzioni. . Si tratta, anche nell"ipotesi di cui all"art. 1228 c.c., di una forma di responsabilità obiettiva, indipendente cioè dalla colpa del soggetto responsabile (Cass. 29 agosto 1995, n. 9100). Il dolo o la colpa vanno infatti valutati con riferimento al solo fatto dell"ausiliario e non al comportamento del debitore. Non ha dunque significato sostanzialmente diverso quell"orientamento dottrinale e giurisprudenziale che parla, a questo riguardo, di presunzione assoluta di colpa (Cass. 22 marzo 1994, n. 2734). Le moderne giustificazioni di detta responsabilità vicaria sono sostanzialmente analoghe a quelle poste a fondamento delle teorie del rischio di impresa come principio generale, parallelo alla colpa, dell"imputazione della responsabilità (Cass. n. 1343 del 1972). Infatti detta responsabilità è considerata espressione di un criterio di allocazione di rischi, per il quale i danni cagionati dal dipendente sono posti a carico dell"impresa, come componente dei costi di questa" (Cass. Civ., sez. III, 6 marzo 2008, n. 6033, GCM, 2008, 3, 368; Civ, 2011, 5, 27; DeG, 2008; DEA, 2009, 1, 261).

 




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