Interessi protetti  -  Federico Basso  -  05/01/2022

Brevi riflessioni in tema di relictum e collazione

Come noto, la collazione costituisce «un istituto peculiare della divisione ereditaria, che, in adesione al significato sociale della donazione quale anticipazione dell’eredità, risponde all’esigenza di evitare un trattamento sperequato tra alcuni coeredi in dipendenza di liberalità fatte in vita dal de cuius» (F. CARINGELLA – L. BUFFONI, Manuale di diritto civile, Roma, 2020, p. 2186).

La legge presume, dunque, che, se il defunto ha effettuato in vita donazioni ai figli, ai loro discendenti, o al coniuge, egli non abbia voluto alterare il trattamento da lui stesso previsto per testamento o che è disposto dalla legge in caso di successione legittima, ma soltanto attribuire al donatario “un anticipo” sulla futura successione. Pertanto, alla morte del de cuius, i beni donati dovranno essere ricompresi o conferiti nella massa attiva da dividersi, per essere poi ripartiti tra i coeredi in proporzione delle rispettive quote.

Come evincibile dalla natura stessa dell’istituto, nessun problema si pone allorquando il defunto abbia lasciato alla sua morte uno o più beni che cadano in comunione ereditaria tra i coeredi.

Si è posto, invece, il dubbio dell’applicabilità o meno dell’istituto della collazione in assenza di una comunione ereditaria, ossia in tutte quelle ipotesi in cui alla morte del de cuius, il quale in vita aveva provveduto ad effettuare una o più donazioni a favore di uno o più coeredi, non residui alcunché nell’asse ereditario e, pertanto, non vi sia alcun relictum da dividersi.

Sul punto sono ravvisabili in dottrina e in giurisprudenza due orientamenti.

Secondo il primo, sostenuto dalla giurisprudenza più recente (Cass. civ., ord. 14 gennaio 2021, n. 509; Cass. civ., 5 marzo 1970, n. 543; Cass. civ., 14 giugno 2013, n. 15026; Cass civ., 30 maggio 2017, n. 13660; Cass. civ., 9 ottobre 2017, n. 23539), presupposto indefettibile per l’operatività della collazione sarebbe la sussistenza della comunione ereditaria e, dunque, di un relictum. Invero, sarebbe proprio l’esistenza di una comunione tra i coeredi a differenziare l’istituto della collazione dall’azione di riduzione, col che, in assenza di relictum, la prima potrebbe operare soltanto dopo che sia stata esperita la seconda, non, invece, indipendentemente dalla tutela dei legittimari, con i conferimenti ex collatione.

E’ proprio questo, invero, il ragionamento effettuato in alcune recenti pronunce di legittimità, ad avviso delle quali «la collazione non può operare in assenza di relictum in quanto essa, presupponendo l’esistenza di una comunione da dividere, non ha ragion d’essere nel caso in cui non esista una comunione ereditaria per avere il defunto […] esaurito completamente le sue sostanze attraverso donazioni disposte in vita, salvo che l’interessato esperisca vittoriosamente azione di riduzione così determinando il reingresso di alcuni beni nell’asse ereditario e quindi il sorgere di una comunione ereditaria» (Cass. civ., ord. 14 gennaio 2021, n. 509).

Secondo un’altra opinione, invece, la collazione potrebbe operare anche in assenza di una comunione ereditaria. Invero, in base a quanto sostenuto da una parte della giurisprudenza di legittimità (Cass., 9 luglio 1975, n. 2704; Cass., 6 giungo 1969, n. 1988; Trib. Genova, 17 maggio 1993; Tribunale Agrigento, 05/07/2017, n.1120) e da autorevole dottrina (L. MENGONI, La divisione testamentaria, Milano, 1950, p. 128; A. BURDESE, La divisione ereditaria, in Tratt. Vassalli, XII, 5, Torino, 1980, p. 328; P. FORCHIELLI, voce Collazione, in Enc. giur. it., 6, Roma, 1988, p. 3; M. R.  MORELLI, La comunione e la divisione ereditaria, in Giur. sist. dir civ. e comm., 1998, Torino, p. 393; G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, Milano, 2002, II ed., p. 727; C.M. BIANCA, Diritto civile. 2. La famiglia. Le successioni., Milano, 2005, IV ed., p. 844, nt. 16; A. CATAUDELLA, Successioni e donazioni. La donazione, in Trattato di diritto privato, diretto da Bessone M., V, Torino, 2007, p. 165; A. ALBANESE, Sub artt. 737-756. Della collazione. Del pagamento dei debiti., in Comm. Schlesinger-Busnelli, Milano, 2009, pp. 66 e ss.) dovrebbe ritenersi sussistente la possibilità, anzi, l’obbligo, di procedere a collazione pur in assenza di una comunione tra i coeredi e, addirittura, di un qualsiasi relictum, ben potendo individuarsi la massa comune da dividersi nelle sole donazioni oggetto di conferimento ex collatione.

La collazione deve, quindi, qualificarsi non come fase del procedimento di divisione ma come obbligo che «sorge automaticamente all’aprirsi della successione e [che] vincola i donatari-coeredi dal momento dell’accettazione dell’eredità medesima». In altri termini, «il meccanismo collatizio scatta “automaticamente” al momento dell’apertura della successione, ma l’automatismo non riguarda una modificazione reale, bensì l’obbligazione di conferimento tra i coeredi: automatico, è il sorgere di questo rapporto obbligatorio» (A. ALBANESE, Sub artt. 737-756. Della collazione. Del pagamento dei debiti., in Comm. Schlesinger-Busnelli, Milano, 2009, pp. 69, 71).

Presupposto di operatività dell’istituto non è, dunque, l’esistenza di una comunione ereditaria o, comunque, la ravvisabilità di un relictum, bensì la delazione ereditaria e l’intervenuta accettazione del chiamato.

L’inesistenza di una comunione ereditaria o, addirittura, di un relictum non sarebbe, pertanto, di ostacolo ad una successiva divisione, poiché la massa ereditaria comune da scindersi si formerebbe ex post in virtù dell’avvenuta collazione e consterebbe della (sola) totalità dei beni donati in vita dal defunto (donatum).

Ad avviso di chi scrive, e come sottolineato anche da autorevole dottrina e da una parte della giurisprudenza, tale soluzione è perfettamente coerente con la ratio dell’istituto, volto a riequilibrare eventuali disparità tra gli eredi poste in essere dal de cuius mediante donazioni da questi effettuate in vita a favore di uno o più di essi.

Invero, sostenere il contrario, e cioè ammettere l’operatività del meccanismo collatizio solo in presenza di un relictum, significherebbe negare tutela al coerede o ai coeredi sfavoriti in tutte quelle ipotesi in cui il de cuius, al fine di favorire uno o alcuni di essi, abbia disposto interamente del proprio patrimonio in vita mediante donazioni, senza volontariamente lasciare alcunché al momento della propria morte.

In tal modo verrebbe facilmente elusa l’applicabilità dell’istituto in esame, in spregio così alla sua ratio e alle istanze di tutela avvertite dall’ordinamento, il quale, avendo come primario obiettivo quello di salvaguardare la parità di trattamento tra i coeredi, considera le liberalità effettuate in vita dal defunto quali anticipazioni sulla futura successione effettuate nei confronti di uno o più coeredi.

Inoltre, pare opportuno sottolineare come tale ultimo orientamento paia trovare conferme anche nella la lettera della legge. Infatti, l’art. 737 c.c. non fa alcun riferimento alla necessaria presenza di un relictum e, anzi, dopo aver indicato chi siano i soggetti obbligati alla collazione, precisa che questa si sostanzia per loro nell’obbligo di conferire quanto ricevuto per donazione dal defunto direttamente «ai coeredi» e non alla massa ereditaria.

Ebbene, la tematica, di sicuro interesse sia pratico sia teorico, suscita ancora grandi dibattiti in dottrina e in giurisprudenza, le quali sono attualmente divise tra i due orientamenti precedentemente illustrati. Ad avviso di chi scrive pare, tuttavia, auspicabile un abbandono da parte della giurisprudenza del primo orientamento in virtù della rilevanza degli interessi e delle istanze di tutela sottese all’istituto in esame, i quali, a voler accogliere l’impostazione della giurisprudenza più recente verrebbero irrimediabilmente compromesse.




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