-  Mazzon Riccardo  -  26/11/2013

CALCIO E RISARCIMENTO DEL DANNO SUBITO DALL'ATLETA O DA TERZI IN OCCASIONE DELL'INCONTRO - Riccardo MAZZON

Qualora la dinamica dell'infortunio si riconnetta chiaramente ad una fase dello sport praticato (costituendo l'esito di uno sviluppo della prestazione agonistica dell'avversario che, benché eventualmente integrante violazione dei limiti regolamentari, si configuri come un semplice fallo di gioco - notoriamente tutt'altro che infrequente! - di non particolare durezza), si è in presenza di atto che (pur in ipotesi posto in essere in violazione della regola sportiva), trattandosi di atto funzionalmente connesso allo sport praticato - e privo di quei connotati di violenza od irruenza incompatibili con le caratteristiche di quest'ultimo (o con il contesto in cui trova svolgimento) -, non configura illecito né determina responsabilità; tale principio è parametro generalmente utilizzato soprattutto in quegli sport che, per loro caratteristica intrinseca, implicitamente prevedono il contatto fisico tra atleti, quale, ad esempio, il calcio,

"l'associazione che organizza un torneo di calcio per giovanissimi non risponde di eventuali lesioni riportate dai ragazzi del tutto casualmente durante la partita" (Cass. Civ., sez. III, 30 marzo 2011, n. 7247, DeG, 2011 - cfr., amplius, da ultimo, "Responsabilita' oggettiva e semioggettiva", Riccardo Mazzon, Utet, Torino 2012),

sport che non può qualificarsi, di per se stesso, "attività pericolosa" - si confronti, ad esempio, la seguente pronuncia, con la quale la Suprema Corte ha confermato la sentenza impugnata che, sulla scorta dell'enunciato principio, aveva escluso la sussistenza dei presupposti per la configurazione della forma di responsabilità riconducibile al richiamato art. 2050 c.c., considerando, altresì, adeguatamente motivata tale decisione nella parte in cui era rimasto accertato, in positivo, che l'infortunio, occorso all'allievo scolastico durante la lezione di educazione fisica, era stato determinato da un fatto accidentale, ascrivibile ad un errore del medesimo minore, il quale, nel controllare il possesso del pallone in un frangente del gioco in cui non vi era stato alcun contrasto con altri giocatori, era inciampato sul pallone stesso e nel cadere aveva appoggiato a terra la mano sinistra, procurandosi la frattura del relativo avambraccio:

"deve escludersi che all'attività sportiva riferita al gioco del calcio possa essere riconosciuto il carattere di particolare pericolosità, trattandosi di disciplina che privilegia l'aspetto ludico, pur consentendo, con la pratica, l'esercizio atletico, tanto che è normalmente praticata nelle scuole di tutti i livelli come attività di agonismo non programmatico finalizzato a dare esecuzione ad un determinato esercizio fisico, sicché la stessa non può configurarsi come attività pericolosa a norma dell'art. 2050 c.c., così rimanendo irrilevante, ai fini della possibile responsabilità dell'insegnante di educazione fisica e dell'istituto scolastico, ogni indagine volta a verificare se la medesima attività faccia, o meno, parte dei programmi scolastici ministeriali " (Cass. Civ., sez. III, 19 gennaio 2007, n. 1197, GCM, 2007, 1; RCP, 2007, 10, 2089) -,

anche se, va riconosciuto, specie in ambito di organizzazione di un incontro di calcio professionistico, la spiccata conflittualità che si viene frequentemente a creare fra i tifosi delle due squadre in competizione - e che ha gradualmente imposto l'adozione di misure sempre più severe al fine di prevenirne o quanto meno ridurne le conseguenze lesive - è purtroppo talmente scontata da doversi ritenerne altamente prevedibile:

"agli effetti dell'art. 2050 c.c. è pericolosa non solo l'attività così qualificata dalle leggi di pubblica sicurezza o da altre leggi speciali, bensì anche quella che, per sua stessa natura, per le caratteristiche dei mezzi adoperati, o per la spiccata sua potenzialità offensiva, comporti la rilevante possibilità del verificarsi di un danno. Orbene, se il gioco del calcio in sè non può considerarsi pericoloso, più rigida valutazione va compiuta riguardo all'organizzazione di un incontro di calcio professionistico. Muta infatti radicalmente il quadro d'insieme, che, pur avendo il suo nucleo nel gioco sportivo intorno al pallone, si sviluppa e si amplifica ben oltre tale ambito. La spiccata conflittualità che si viene frequentemente a creare fra i tifosi delle due squadre in competizione - e che ha gradualmente imposto l'adozione di misure sempre più severe al fine di prevenirne o quanto meno ridurne le conseguenze lesive - è purtroppo talmente scontata da doversi ritenerne altamente prevedibile. È sufficiente riflettere al crescendo di violenze adiacenti, per pervenire alla conferma del convincimento espresso dal primo giudice sulla intrinseca pericolosità dell'organizzazione agonistica di un incontro calcistico, nel corso della quale le intemperanze giovanili si manifestano con una virulenza sconosciuta ad altri settori sportivi. Non a sproposito è stato dal primo giudice citato il d.m. 25 agosto 1989 (Norme di sicurezza per la costruzione e l'esercizio di impianti sportivi). In realtà l'art. 8 regolamenta la capienza di ciascun settore, precisando che "per gli impianti all'aperto deve essere previsto, in occasione di manifestazioni calcistiche, almeno un settore opportunamente dimensionato, destinato ai tifosi della squadra ospite"; ed il successivo comma impone la separazione di ciascun settore dall'altro tramite "setti di materiale non combustibile di altezza non inferiore a 2, 20 metri in grado di sopportare una spinta orizzontale non inferiore a 80 kg/m applicata a 2, 20 metri". Innegabilmente, quindi, la normativa citata denota una particolare attenzione del legislatore per gli impianti sportivi, relativi in particolare alle "manifestazioni calcistiche ". Nè giova alla società calcistica invocare il fatto del terzo, ovvero il caso fortuito in quanto, ove le cautele adottate fossero state davvero incisive e di copertura totale, l'eventuale lancio di oggetti, bloccato dalla rete di protezione oppure dallo schieramento di uomini all'uopo ingaggiati, non avrebbe raggiunto i tifosi della squadra ospite. Le svolte considerazioni prescindono dalla puntuale riflessione che individua la "ratio" delle diverse previsioni di presunzione di responsabilità di cui agli art. 2048 - 2054 c.c. nella necessità, fatta propria dal legislatore, di bilanciare contrapposti interessi meritevoli di tutela favorendo, sia sul piano sostanziale che processuale, le posizioni più deboli; peraltro in tale ottica, valutata la qualità degli interessi in gioco (quello all'integrità fisica degli spettatori, da una parte, quello economico degli organizzatori, dall'altra) la bilancia pende indubbiamente verso i primi, esposti al rischio di subire lesioni alla persona nel corso della partita, per assistere alla quale hanno corrisposto all'ente organizzatore il prezzo, certo non da poco, del biglietto d'ingresso allo stadio" (App. Milano 18 maggio 2001, RGPL, 2002, 373; FP, 2002, I, 205).

Risulta così consueto recuperare, in giurisprudenza, pronunce che, accertando l'inesistenza di un fatto illecito, escludono la responsabilità della scuola – o anche della struttura organizzatrice: ad esempio, in materia di risarcimento danni per responsabilità civile conseguente ad un infortunio sportivo subito all'interno di una struttura ricreativa, organizzatrice di una partita di calcio (nella specie, una parrocchia), ai fini della configurabilità di responsabilità a carico della struttura stessa, ex art. 2048 c.c., è stato recentemente deciso non esser

"sufficiente la sola circostanza di aver fatto svolgere tra gli le parti una gara sportiva, in quanto è necessario che il danno sia conseguenza di un comportamento colposo integrante un fatto illecito, posto in essere da altro giocatore, impegnato nella partita ed inoltre che la struttura, in relazione alla gravità del caso concreto, risulti non aver predisposto tutte le misure atte ad evitare i danni" (Cass. Civ., sez. III, 28 settembre 2009, n. 20743, DeG, 2009) -,

rispetto all'infortunio patito da un allievo nel corso di una partita di calcio (in applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva escluso la responsabilità della scuola rispetto all'infortunio, patito da un allievo, nel corso di una partita di calcio, durante la quale si era ferito al volto a causa di uno scontro di gioco):

"in materia di risarcimento danni per responsabilità civile conseguente ad un infortunio sportivo subito da uno studente all'interno della struttura scolastica durante le ore di educazione fisica, ai fini della configurabilità di una responsabilità a carico della scuola ex art. 2048 c.c. non è sufficiente il solo fatto di aver incluso nel programma della suddetta disciplina e fatto svolgere tra gli studenti una gara sportiva, essendo altresì necessario che il danno sia conseguenza del fatto illecito di un altro studente impegnato nella gara e che, inoltre, la scuola non abbia predisposto tutte le misure idonee a evitare il fatto " (Cass. Civ., sez. III, 28 settembre 2009, n. 20743, GCM, 2009, 9, 1364).

D'altronde, nel gioco del calcio, la lesione dell'integrità fisica del giocatore, ad opera di altro partecipante, costituisce un'eventualità contemplata (detto collegamento funzionale, peraltro, non ricorre in caso di atto compiuto allo scopo di ledere, ovvero con una violenza incompatibile con le caratteristiche concrete del gioco),

"nel gioco del calcio, la lesione dell'integrità fisica del giocatore ad opera di altro partecipante costituisce un'eventualità contemplata. Qualora la condotta dell'agente cagioni delle lesioni all'avversario, la responsabilità civile resta esclusa ove sussista uno stretto collegamento funzionale tra azione di gioco ed evento lesivo." (Trib. Napoli, sez. XI, 28 settembre 2006, RCP, 2007, 4, 881),

spesso conseguente a contrasti di gioco assolutamente rientranti nella norma; nella pronuncia che segue, ad esempio, è stato a precisato come l'invocata responsabilità c.d. aggravata ex art. 2048 c.c., che si riferisce esclusivamente alla responsabilità di "precettori e coloro che insegnano un mestiere o un'arte" per i danni causati da "fatto illecito commesso dai loro allievi o apprendisti", durante il tempo in cui gli stessi siano sotto la loro vigilanza, non si applica quando l'incidente non sia stato causato da comportamento illecito di altro giocatore, parimenti soggetto alla vigilanza del personale dell'associazione sportiva, bensì si sia trattato di semplice infortunio, derivato da una normale azione di gioco, in termini di danno "autoprocuratosi", quando un ragazzo, impegnato nell'occasione nel ruolo di portiere, nell'uscire dalla porta per fermare la palla, si sia scontrato con un giocatore dell'altra squadra, perdendo nell'urto i due denti incisivi superiori e procurandosi la frattura del palato:

"Dev'essere peraltro esaminata la responsabilità anche sotto il diverso profilo dell'art. 2043 c.c. onde stabilire se esista una generica condotta colposa dell'ente convenuto con onere in tal caso in capo all'attore di fornire la prova in ordine alla sussistenza di tre elementi: il fatto da cui è derivato il danno, la colpa della controparte ed il nesso di causalità tra contegno colposo ed evento lesivo. Quando tale prova non sia stata fornita e quando nulla possa essere conseguentemente contestato all'associazione sportiva, risultando che la stessa aveva predisposto le normali cautele atte a contenere il rischio necessariamente connesso all'attività sportiva entro i limiti confacenti alla specifica attività del calcio, che l'incidente avvenne in occasione di un ordinario allenamento settimanale, che sui ragazzi vigilavano degli adulti (allenatori e dirigenti), che i giocatori non stavano compiendo alcuna attività rischiosa, che lo scontro non fu causato dalla cattiva manutenzione del campo o dall'impiego di strumenti pericolosi, che tutti i giocatori avevano un'età omogenea compresa fra i 12 ed i 13 anni e che gli stessi giocavano abitualmente a calcio e si allenavano tutte le settimane deve ritenersi che l'incidente sia avvenuto nell'ambito di un contrasto di gioco del tutto fortuito e non causato da imprudenza, imperizia o negligenza dell'ente convenuto e che non possa quindi trovare applicazione nemmeno l'art. 2043 c.c." (Trib. Milano 11 marzo 2003, GiustM, 2003, 54).

 




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