-  Redazione P&D  -  16/02/2013

CASS. 31.1.2013 E CONSUMO DI GRUPPO: MOLTO RUMORE PER NULLA? - Alberto MANZONI

 Il 31 gennaio scorso le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione hanno ribadito l"irrilevanza penale del cosiddetto "consumo collettivo", nella duplice accezione di mandato all"acquisto e di acquisto comune, già riconosciuta con sentenza delle stesse Sezioni Unite penali n. 4 del 28.5.1997, la quale aveva ritenuto non punibili penalmente e "rientranti nella sfera dell"illecito amministrativo, di cui all"art. 75 del d.p.r. 9.10.1990, n. 309, l"acquisto e la detenzione di sostanze stupefacenti destinate esclusivamente all"uso personale che avvengano per conto e nell"interesse anche di soggetti diversi dall"agente, quando è certa fin dall"inizio l"identità dei medesimi nonché manifesta la loro volontà di procurarsi le sostanze destinate al proprio consumo".

La sola diffusione della notizia, pur in attesa del deposito della sentenza, ha scatenato vari commenti sulla stampa ed in alcune trasmissioni televisive, riproponendo le già note polemiche tra i sostenitori del rigore, del contrasto all"uso degli stupefacenti (i c.d. "proibizionisti", secondo i quali, con una interpretazione puramente formale quale la sottolineatura dell"avverbio "esclusivamente" correlato all"espressione "uso personale", era rinvenibile nella norma de quo una distinzione tra l"uso personale individuale e l"uso personale di più persone riunite per l"acquisto) e quanti al contrario propendono per un diverso approccio, specie verso le sostanze c.d. "leggere" (i c.d. "antiproibizionisti").

La sentenza in questione, ad oggi non ancora pubblicata, non è ancora commentabile per quanto attiene al merito ed alle argomentazioni della decisione dei giudici della S.C. Alcune agenzie di stampa del 6 febbraio scorso (Ansa, TMNews, Agi), riportando i comunicati dell"Ufficio stampa della S.C., hanno contribuito a ricondurre la questione nel suo alveo naturale. Di fatto, da quanto è dato di conoscere, i giudici della S.C. non hanno messo in discussione (né, d"altro canto, avrebbero potuto farlo) il fatto che la legge nazionale vieta l"uso personale di sostanze stupefacenti: hanno però confermato un concetto già espresso nella sentenza 28.5.1997, n. 4, ritenuto valido ed attuale anche dopo le modifiche apportate al d.p.r. 9.10.1990, n. 309, dalla l. 21.2.2006, n. 49, e cioè che l"acquisto di sostanze stupefacenti destinate esclusivamente all"uso personale, anche se effettuato per conto di soggetti diversi dall"acquirente, ma a lui noti e per i quali sia nota ab initio la volontà di avvalersi di quanto procacciato o messo a disposizione dallo stesso, non rientra nel concetto di "spaccio di sostanze stupefacenti", previsto e punito dall"art. 73 d.p.r. 9.10.1990, n. 309, e s.m.i., ma di "uso personale" (sia pure collettivo e, per così dire, diffuso), che a sua volta è e rimane previsto e punito dall"art. 75 della stessa norma, la quale individua anche le sanzioni (di tipo amministrativo) correlate all"uso personale.

 

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Ricondotta la questione sostanziale nelle sue effettive dimensioni, al di là di interpretazioni scatenate da una lettura "a caldo" delle cronache, ed in attesa del deposito della sentenza, appare comunque utile profittare dello stimolo per analizzare alcune questioni.

Il favore con cui la citata sentenza è stata salutata sul versante c.d. "antiproibizionista" è apparso correlato alla teoria secondo la quale le sostanze stupefacenti andrebbero classificate in "leggere" e "pesanti", considerando utilmente applicabile solo nei confronti di queste ultime le sanzioni previste dalla legge. Questo approccio appare storicamente superato ed assai poco condivisibile per alcuni ordini di ragioni. In primo luogo, nel corso degli anni varie ricerche hanno evidenziato come l"abuso di stupefacenti, lungi dall"essere un "vizio", come in passato si sosteneva, è considerabile una patologia conclamata, il cui scatenamento (volendo, in questa sede, forzatamente riassumere i termini della questione in maniera molto semplificata) è correlato, secondo l"approccio bio-psico-sociale, alla compresenza di una predisposizione genetica, di una particolare struttura di personalità (più vulnerabile di altre), all"effettivo contatto con la sostanza: in questo modo, l"esposizione ad una qualsivoglia sostanza ("leggera" o "pesante" che sia, volendo utilizzare la storica bipartizione poc"anzi ricordata) può costituire causa di slatentizzazione della patologia conclamata. Inoltre, l"analisi di campioni di stupefacenti sequestrati nel corso di operazioni di contrasto alla loro diffusione ha evidenziato non solo l"affacciarsi sul mercato di sostanze stupefacenti la cui origine vegetale induce nel consumatore una falsa percezione di scarsa pericolosità, ma anche che gli stessi cannabinoidi (tradizionalmente considerati "droghe leggere") oggigiorno sono più nocivi di quelli normalmente reperibili sul mercato una ventina d"anni or sono, sia per la maggiore concentrazione di principio attivo nelle piante, coltivate con metodologie innovative, sia per la presenza sul mercato di cannabinoidi "di sintesi", molto più concentrati (e quindi molto più tossici) di quelli di origine vegetale coltivati con metodologie tradizionali.

Considerazioni di altro tipo possono fasi nei confronti dell"approccio tradizionalmente indicato come "proibizionistico". In primo luogo, non può tacersi sul fatto che da più parti si è evidenziato come la repressione della coltivazione, produzione, traffico, commercializzazione ed uso di stupefacenti abbia dato risultati molto diversi da quelli attesi. Non solo esponenti politici e della società civile hanno preso atto di questa realtà: lo ha fatto la stessa O.N.U. che, ancora nel 2009, ha riconosciuto che un secolo di repressione ha portato a risultati di gran lunga inferiori a quelli auspicati, ed ha conseguentemente (e coerentemente) suggerito di focalizzare l"attenzione e gli sforzi al contrasto del grande traffico più che dello smercio al dettaglio. Non può non cogliersi, a questo proposito, il parallelismo con il proibizionismo deciso negli U.S.A. nel 1919 per contrastare l"alcolismo, ed abrogato nel 1933 avendone riscontrato il totale fallimento per quanto attiene al consumo di alcool, nonché l"indubbio enorme vantaggio economico conseguito dalle organizzazioni criminali che, in quell"arco di tempo, avevano garantito l"approvvigionamento ai consumatori (in specie, agli alcohol addicted).

Una seconda considerazione attiene alla effettiva deterrenza delle vigenti sanzioni amministrative, previste dagli artt. 75 e 75 bis del d.p.r. 309/1990 e s.m.i., non messe in discussione dalla sentenza sopra richiamata, ed anzi espressamente menzionate nelle dichiarazioni rese dall"Ufficio stampa della S.C. e trasmesse dalle agenzie di stampa poc"anzi ricordate. V"è da dire, innanzi tutto, che le sanzioni previste (sospensione della patente di guida, del porto d"armi, del passaporto) sono poco o nulla efficaci, in termini di deterrenza, nei confronti dei minorenni, che non possono essere titolari della patente di guida (se non, neppure troppo frequentemente, del motociclo), e di quanti, pur maggiorenni, non guidano o non vanno all"estero né sono appassionati di caccia (attività oltretutto sempre meno diffusa) o comunque posseggono armi. Anche nei casi in cui i documenti sopra richiamati (in particolar modo la patente di guida) sono utilizzati correntemente, l"esponenziale diffusione delle cosiddette "city car" ha dimostrato quanto la sospensione della patente di guida sia, in molti casi, aggirabile ed eludibile, tranne nei casi delle patenti professionali. D"altro canto il procedimento amministrativo, previsto dall"art. 75 prima della riformulazione intervenuta con l. 49/2006, aveva a sua volta evidenziato non pochi limiti. La sospensione del procedimento, contestuale all"invio al Ser.D. per la sottoposizione ad un programma terapeutico, in assenza di tempi massimi di sospensione e di chiarezza sui risultati attesi, si era di fatto trasformata in una sostanziale elusione della sanzione, o quanto meno in un suo differimento sine die.

Ci si potrebbe quindi chiedere quale sia la reale deterrenza della sanzione amministrativa conseguente all"uso personale di stupefacenti, e come eventualmente renderla effettiva. La prima questione è fonte di vari ed accesi dibattiti, di cui sarebbe improponibile dar conto in poche righe in questa sede. Più modestamente, a proposito della seconda questione, si potrebbe richiamare (ovviamente, mutatis mutandis) l"attuale dibattito sulla individuazione di sanzioni penali alternative alla detenzione ed alle forme "classiche" dell"affidamento in prova, della semilibertà e via elencando. Ci si potrebbe quindi chiedere se una sanzione amministrativa basata non già sulla mera sospensione di un documento a volte neppure posseduto, o talaltra poco utilizzato, ma sull"obbligo di effettuare una prestazione personale e non meramente patrimoniale (ad esempio, ore di lavoro reso gratuitamente a favore della collettività) possa avere un maggiore effetto deterrente e, perché no, educativo.




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