-  Mazzon Riccardo  -  16/01/2013

CONCORSO DI PERSONE NEL REATO: CIRCOSTANZE SOGGETTIVE ED OGGETTIVE CHE ESCLUDONO LA PENA - Riccardo MAZZON

L'articolo 119 del codice penale prevede che le circostanze soggettive,

"dalla Relazione ministeriale al codice penale si può trarre una utile indicazione: le circostanze soggettive di esclusione della pena, e quindi, esimenti dalla responsabilità, si riferiscono a stati o qualità personali, in tal guisa che il principio della individualizzazione della responsabilità richiede che esse non possano avere influenza sulla valutazione del fatto degli altri compartecipi. Non dovrebbero sorgere incertezze a definire circostanze soggettive di esclusione della pena, id est della responsabilità, le situazioni previste nell'art. 649, alle condizioni ivi espresse, e concernenti talune relazioni con la persona offesa e cioè: lo stato di coniuge non legalmente separato; quello di ascendente o discendente o di affine in linea retta ovvero di adottante o di adottato; la condizione di fratello o sorella conviventi con il soggetto. La persona che abbia commesso taluno dei fatti previsti nell'ambito dei delitti contro il patrimonio non verrà punito qualora si trovi nelle relazioni dianzi indicate. Non è escluso che altre situazioni possano venire in rilievo nel determinare l'effetto di esclusione della punibilità. Occorre, però, che vi siano la espressa previsione del discriminato effetto di non punibilità e la corrispondenza dei requisiti di fatto, interpretati alla stregua della nota teleologica della individualizzazione della responsabilità" Bonilini-Consortini, I codici ipertestuali, Utet 2009, pag. 742 - cfr., amplius, "Il concorso di reati e il concorso di persone nel reato", Cedam 2011

che escludano la pena, per taluno di coloro che sono concorsi nel reato, abbiano effetto soltanto riguardo alla persona a cui si riferiscono (per contro, le circostanze oggettive che escludono la pena hanno effetto per tutti coloro che sono concorsi nel reato).

Le problematiche sottese alla corretta individuazione di quali siano le circostanze soggettive (rispetto a quelle oggettive: cfr. paragrafo 9. del presente capitolo), implicano diversità di vedute piuttosto marcate; caso emblematico, delle difficoltà evidenziate, è riscontrabile per l'immunità assicurata dal comma primo dell'articolo 68 della Costituzione ove, se ormai quest'ultima pare esser (prevalentemente) considerata causa soggettiva di esclusione della punibilità,

"l'immunità assicurata dall'art. 68, comma primo, Cost. ai membri del Parlamento che esprimano opinioni nell'esercizio delle loro funzioni non si estende al direttore del giornale che non abbia impedito la pubblicazione della notizia diffamatoria coperta dalla detta immunità, la quale non integra una causa di giustificazione estensibile al concorrente ma costituisce una causa soggettiva di esclusione della punibilità della quale non può giovarsi il compartecipe privo della medesima guarentigia. In altri termini, l'immunità del parlamentare non esclude la punibilità del compartecipe o del responsabile per reato connesso, che non sia a sua volta protetto dalle prerogative parlamentari. La copertura in parola è pertanto offerta esclusivamente ai soggetti che rivestono la qualifica parlamentare e stabilisce unicamente una causa personale di esclusione della pena, lasciando sussistere l"illiceità penale del fatto e, dunque, l'esistenza del reato" Cassazione penale, sez. V, 15 febbraio 2008, n. 15323 Annulla con rinvio, App. Milano, 1 Giugno 2007C R. e altro CED Cass. Pen. 2008, 239481 – conforme - Tribunale Milano, sez. VI, 21 settembre 2007 - Foro ambrosiano 2007, 3 275

sicché la medesima non si estende ai concorrenti,

"l'immunità, assicurata dall'art. 68, comma primo, Cost., ai membri del Parlamento che esprima opinioni nell'esercizio delle loro funzioni non si estende ai mezzi di informazione che abbiano diffuso le dichiarazioni e le opinioni coperte dalla detta immunità, la quale non integra una causa di giustificazione estensibile al concorrente ma costituisce una causa soggettiva di esclusione della punibilità della quale non può avvalersi il compartecipe privo della medesima guarentigia. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha annullato con rinvio la decisione con cui il G.u.p. ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti di un giornalista - che aveva pubblicato su un mensile uno scritto redatto da un membro del Parlamento e contenente espressioni offensive nei confronti del direttore di un giornale - sulla base dell'estensione dell'immunità parlamentare anche a suo favore) Cassazione penale, sez. V, 19 settembre 2007, n. 43090 Annulla con rinvio, Gup Trib. Catania, 9 Gennaio 2007 C. CED Cass. pen. 2008, 238494 Cass. pen. 2008, 9 3313 In senso difforme, v. Sez. V, 27 ottobre 2006, P.C., in Riv. pen., 2007, p. 391, che ha affermato che: «La causa di non punibilità prevista dall'art. 68, comma 1, Cost. in favore dei membri del Parlamento con riguardo alle opinioni espresse ed ai voti dati nell'esercizio delle loro funzioni si estende, ai sensi dell'art. 119 c.p., a tutti coloro che, ancorché non parlamentari, abbiano concorso nel medesimo reato (principio affermato, nella specie, con riguardo al direttore responsabile di una testata radiotelevisiva, chiamato a rispondere a titolo di concorso, e non per omesso controllo ai sensi dell'art. 57 c.p., del reato di diffamazione addebitato ad un parlamentare)».

 

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Tale assunto è lungi dall'esser comunemente condiviso:

"la speciale causa di giustificazione prevista dall'art. 68, comma 1, Cost. in favore del parlamentare che esprima opinioni nell'esercizio delle proprie funzioni configura una ipotesi di legittimo esercizio di un diritto (art. 51 c.p.) ed integra, come tale, una causa di giustificazione. Ne consegue che, in tal caso, la condotta è lecita, in quanto espressione dell'esercizio di un diritto che non può configurare una mera causa di esclusione della colpevolezza che lascerebbe sussistere la illiceità del fatto e, pertanto, la insindacabilità delle espressioni usate dal parlamentare, riconosciuta dall' art. 68 Cost., giova al concorrente, ai sensi dell'art. 119 c.p. (principio affermato, nella specie, con riguardo al direttore responsabile di una testata radiotelevisiva, chiamato a rispondere a titolo di concorso, e non per omesso controllo ai sensi dell'art. 57 c.p., del reato di diffamazione addebitato ad un parlamentare)". Cassazione penale, sez. V, 27 ottobre 2006, n. 38944 B. Cass. pen. 2008, 4 1384 (NOTA)nota FORGIONE Riv. pen. 2007, 4 391

Parimenti è da evidenziare per la ritrattazione,

"la causa sopravvenuta di esclusione della punibilità prevista dall'art. 376 c.p. in favore di chi, avendo reso falsa testimonianza, l'abbia ritrattata, ha natura soggettiva e, come tale, non opera nei confronti dell'istigatore, concorrente nel reato di cui all'art. 372 c.p., salvo che la ritrattazione sia il risultato del comportamento attivo dell'istigatore, diretto a sollecitarla per neutralizzare gli effetti del falso, lesivi dell'interesse alla realizzazione del giusto processo" Cassazione penale, sez. un., 30 ottobre 2002, n. 37503 Vanone Ced Cassazione 2002, RV222346 Cass. pen. 2003, 1911,3818 nota ROMANO; RANZATTO D&G - Dir. e giust. 2003, 1 107 Foro it. 2003, II, 73

la cui natura soggettiva è stata, da più parti, posta seriamente in dubbio:

"la ritrattazione non può essere considerata causa di estinzione del reato o della pena ma ha natura giuridica di causa di esclusione della punibilità riconducibile, come tale, tra le circostanze previste dall'art. 119 c.p.; essa, risolvendosi in un impedimento volontario del danno o pericolo derivante dalla falsità commessa ed eliminando in radice la ragione stessa della punibilità della condotta illecita, ha carattere oggettivo ed è pertanto estensibile al concorrente (nella specie istigatore)". Cassazione penale, sez. un., 23 novembre 1985 Cottone Foro it. 1987, II,327 Cass. Pen. 1986, 1060 Riv. giur. Sarda 1986, 531 (nota) Giust. pen. 1986, II,701 (s.m.) Riv. Pen. 1986, 793 Arch. Pen. 1986, 621 "la ritrattazione della falsa testimonianza dev'essere classificata fra le cause di cessazione della punibilità attinenti all'oggetto del reato in modo ben più qualificante e decisivo di quanto attiene al soggetto: con la manifestazione del vero, il bene tutelato - e cioè il "giusto processo": corretto e tempestivo - non subisce il danno temuto. Tale causa di non punibilità si estende pertanto a favore del correo, quale è l'istigatore della falsa testimonianza". Cassazione penale, sez. III, 10 marzo 1980 Orsolini e altro Giust. pen. 1980, III,617. Giur. it. 1981, II,213

Anche la desistenza volontaria ha natura eminentemente soggettiva,

"attesa la sua natura soggettiva, siccome attinente all'intensità del dolo, la desistenza volontaria non è comunicabile ai partecipi" Cassazione penale, sez. V, 09 febbraio 1983 Cecilia Cass. Pen. 1984, 1111

ma la complessità che l'applicazione di detto istituto acquista, nel caso esso inerisca alle fattispecie concorsuali,

"la desistenza postula che l'agente abbandoni l'azione criminosa prima che questa sia portata a compimento e, cioè, prima che egli realizzi compiutamente l'azione tipica della fattispecie incriminatrice, se trattasi di reati cosiddetti a forma vincolata, o che egli impedisca, avendone ancora il dominio, che l'azione sia completamente realizzata quando il delitto è causalmente orientato o a forma libera. Tale criterio, valido nell'ipotesi di esecuzione monosoggettiva del delitto, non vale peraltro allorché l'imputato che abbandona l'azione criminosa concorra con altri alla commissione del delitto; in tal caso, infatti, il semplice abbandono o l'interruzione dell'azione criminosa non basta perché si abbia desistenza, occorrendo un "quid pluris". Detto "quid pluris", tuttavia, non consiste nella necessità che il partecipe interrompa l'azione collettiva - come pur ritenuto da una concezione che sfocia in una interpretazione riduttiva del dettato normativo, in contrasto con la lettera dello stesso e la "ratio" dell'istituto (che tende a stimolare ed a favorire l'abbandono o il recesso dall'azione criminosa, da chiunque o comunque intrapresa) - dovendosi invece ritenere che il concorrente, per beneficiare della causa di non punibilità prevista dall'art. 56 comma 3 c.p., oltre ad abbandonare l'azione criminosa, debba altresì annullare il contributo dato alla realizzazione collettiva, in modo che esso non possa essere più efficace per la prosecuzione del reato, ed eliminare le conseguenze della sua azione che fino a quel momento si sono prodotte" Cassazione penale, sez. I, 11 marzo 1991 Cantone Cass. pen. 1993, 44 (s.m.) Giust. pen. 1992, II, 79 (s.m.) - conforme - Cassazione penale, sez. I, 01 febbraio 2008, n. 9775 R. CED Cass. Pen. 2008, 239175 Cass. pen. 2009, 2 580 In dottrina, analogamente, v. ROMANO-GRASSO, Commentario sistematico del codice penale, III ed., Giuffrè, 2005, p. 201 s.; MARINUCCI-DOLCINI, Manuale di diritto penale, Giuffrè, 2004, p. 285; MANTOVANI, Diritto penale, Parte generale, Cedam, 2001, p. 549; FIANDACA, Sulla desistenza nella partecipazione criminosa, in Studi in onore di Musotto, II, 1979, p. 279 s. Contra, v. Sez. II, 27 novembre 1987, Costa, in C.E.D. Cass., n. 178733, secondo cui è necessario impedire che l'attività criminosa degli altri concorrenti giunga alla consumazione; Sez. II, 22 gennaio 1986, Coinn, ivi, n. 172652. In dottrina, cfr. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte generale, Giuffrè, 2003, p. 580

merita senz'altro opportuni approfondimenti.

Premessa, infatti, l'osservazione secondo la quale

"in tema di concorso di persone nel reato, qualora uno dei concorrenti desista dall'azione e gli altri, a loro volta, non compiano alcuna ulteriore attività diretta alla realizzazione dell'evento, deve ritenersi configurabile anche nei loro confronti l'esimente di cui al comma 3 dell'art. 56 c.p." Cassazione penale, sez. II, 03 marzo 1998, n. 10795 Bakhshkon Cass. pen. 1999, 3132 (s.m.) Foro ambrosiano 1999, 3 (s.m.) Giust. pen. 1999, II, 586

l'opinione ad oggi prevalente ritiene che

"in tema di tentativo, nell'ipotesi di reato plurisoggettivo il concorrente che intenda essere scriminato per desistenza dall'azione, ai sensi del comma 3 dell'art. 56 c.p., e quindi beneficiare della causa di non punibilità, deve attivarsi al fine di evitare la realizzazione concorsuale della condotta criminosa o quanto meno instaurare un processo causale che elimini le conseguenze del suo apporto, rendendolo estraneo ed irrilevante rispetto al reato commesso dagli altri". Cassazione penale, sez. II, 16 ottobre 1997, n. 1296 Sannino e altro Ced Cassazione 1998, Cass. pen. 1999, 852 (s.m.) Riv. polizia 1999, 311 - conforme - Cassazione penale, sez. I, 08 luglio 1997, n. 8980 Arnone e altro Cass. pen. 1998, 2348 (s.m.) Giust. pen. 1998, II, 381 (s.m.) - conforme - Cassazione penale, sez. I, 11 marzo 1991 Cantone Foro it. 1992, II,521 – conforme - Cassazione penale, sez. VI, 21 novembre 1985 Varone Cass. pen. 1987, 1111 (s.m.)- conforme - Cassazione penale, sez. I, 20 maggio 1982 Fanolla Cass. pen. 1984, 288 (s.m.) Giust. pen. 1983, II,167 (s.m.) - conforme - Cassazione penale, sez. II, 15 luglio 1981 Oriani Cass. pen. 1983, 285 (s.m.)

Si veda anche la seguente, maggiormente articolata, pronuncia:

"diversamente dall'esecutore monosoggettivo al quale si può riconoscere la desistenza volontaria se interrompe il corso dell'azione o impedisce l'evento, il concorrente nel reato (la cui azione è considerata, indipendentemente dal ruolo svolto, indivisibile ed inscindibile rispetto a quella dei compartecipi e diretta ad un unico risultato), se vuole beneficiare dell'art. 56 comma 3 c.p. deve attivarsi al fine di evitare la realizzazione concorsuale o comunque dell'evento che ne deriva. È necessario che, in relazione alla sua concreta possibilità all'interno dell'organizzazione criminosa, instauri un processo causale che arresti l'azione dei compartecipi o impedisca l'evento o, quanto meno, elimini le conseguenze della sua condotta rendendola estranea e irrilevante rispetto al reato commesso dagli altri o rimasto allo stato di tentativo. Quest'ultima forma di desistenza può ricorrere solo quando la struttura dell'organizzazione del reato e il ruolo svolto dal concorrente gli consentano l'effettiva elisione di tutti gli effetti della sua condotta e non è quindi ravvisabile nel caso in cui l'agente sia un informatore dei meri casi e abbia interamente esaurito il suo apporto causale sicché le conseguenze dell'attività da lui in precedenza compiuta siano irreversibili. In tal caso la desistenza è possibile solo se, al di là del modo e dell'importanza della sua partecipazione, il concorrente si assicura l'onere di arrestare l'azione comune o di impedire l'evento". Cassazione penale, sez. II, 22 gennaio 1986 Coinn Cass. pen. 1987, 1112 (s.m.) Giust. pen. 1987, II,285 (s.m.) - conforme - Cassazione penale, sez. I, 20 gennaio 1987 Pascarella Cass. pen. 1989, 366 (s.m.) - conforme -Cassazione penale, sez. I, 30 maggio 1980 Milan Cass. pen. 1981, 1987 (s.m.) Giust. pen. 1981, II,306 (s.m.)

Affiché, invece, la desistenza di uno dei compartecipi si riverberi favorevolmente sulla posizione degli altri, è necessario un quid pluris; è necessaria, cioè, l'instaurazione di un processo causale che arresti l'azione di degli altri concorrenti e impedisca comunque l'evento:

"in tema di concorso di persone nel reato, la desistenza di uno dei compartecipi deve instaurare, perché si riverberi favorevolmente sulla posizione degli altri compartecipi, un processo causale che arresti l'azione di questi ultimi e impedisca comunque l'evento. Ove la desistenza del singolo elimini soltanto gli effetti della condotta individuale, rendendola estranea ed irrilevante rispetto al reato commesso dagli altri o rimasto allo stato di tentativo, di tale desistenza non possono beneficiare gli altri compartecipi, le cui condotte pregresse, conservando intatta la loro valenza causale, hanno prodotto conseguenze ormai irreversibili, funzionali alla consumazione del reato o alla configurazione del tentativo punibile. (Fattispecie in tema di tentativo di estorsione, nel quale la S.C., nell'enunciare il principio di cui in massima, ha escluso che la desistenza volontaria ravvisata nella condotta dell'autore materiale potesse estendersi al mandante, in quanto l'azione di quest'ultimo aveva integralmente esaurito il suo apporto causale - senza essere arrestata dall'azione del primo - integrando, quindi, gli estremi del tentativo punibile)". Cassazione penale, sez. VI, 21 ottobre 1999, n. 14188 Bakhshkon Cass. pen. 2001, 850 nota FALCINELLI

Da segnalare, in ogni caso, per completezza, la (ormai desueta) tesi, applicata anche al concorso c.d. anomalo,

"la desistenza volontaria, di cui al comma 3 dell'art. 3 dell'art. 56 c.p., non è configurabile, nell'ipotesi di concorso di più persone, sia in ordine al delitto diverso e non voluto, del quale si risponde ai sensi dell'art. 116 c.p., sia in ordine al delitto voluto, quando questo sia giunto a consumazione nonostante la desistenza di uno dei correi" Cassazione penale, sez. I, 11 giugno 1986 Corapi Giust. pen. 1987, II,728 (s.m.) - conforme - Cassazione penale, sez. I, 09 giugno 1981 Cerentino Cass. pen. 1982, 1297 (s.m.)

secondo cui

"la desistenza volontaria si atteggia in modo diverso nel reato unisoggettivo o individuale e nel reato plurisoggettivo o concorsuale. Nel primo, inerendo l'azione tipica ad un solo oggetto, basta che questi ne interrompa volontariamente il corso prima del suo compimento perché essa non si realizzi e l'autore vada esente da pena. Nel secondo, invece, inerendo l'azione tipica alla collettività dei compartecipi, la semplice desistenza da parte di uno di essi non è sufficiente a scriminare la responsabilità, salvo che sia riuscita ad impedire il compimento dell'azione tipica". Cassazione penale, sez. I, 29 dicembre 1978 Tanganelli Cass. pen. 1980, 1025 (s.m.) - conforme - Cassazione penale, sez. II, 27 novembre 1987 Costa Giust. pen. 1989, II,159 (s.m.)- conforme -Cassazione penale, sez. II, 30 novembre 1981 Casoria Cass. pen. 1983, 1312 (s.m.) - conforme - Cassazione penale, sez. I, 04 giugno 1981 Sarti Cass. pen. 1982, 1748 (s.m.)

E' stato deciso, in ordine al dissociarsi da un precedente accordo criminoso, che

"la dissociazione da un accordo criminoso per essere rilevante deve essere manifestata ai correi con atti che rivelino a questi la riacquistata estraneità del dissociato prima che in conseguenza dell'accordo venga intrapresa l'attività criminosa, non valendo notoriamente nei reati concorsuali la singola desistenza volontaria a discriminare l'autore se non in quanto questi riesca ad impedire il compimento dell'azione da parte degli altri compartecipi". Cassazione penale, sez. I, 06 dicembre 1985 De Stefano Cass. Pen. 1988, 1170

Quanto al'esaurimento dell'attività dell'agente provocatore, che fin dall'inizio si sia proposto di limitare il suo apporto (volontario) al compimento di una parte soltanto dell'azione criminosa, esso costituisce un avvenimento estraneo e indipendente dalla volontà del compartecipe,

"sì che - anche in caso di reato a concorso necessario - la desistenza del primo (correo necessario) non si riverbera sull'attività del secondo, la cui cessazione non può quindi considerarsi volontaria. (Nella specie, una donna incinta, in qualità di agente provocatore, dopo aver simultaneamente accettato di sottoporsi ad interruzione della gravidanza dietro compenso e senza l'osservanza delle modalità prescritte appena iniziate le pratiche abortive aveva provocato l'intervento della polizia)". Cassazione penale, sez. V, 16 maggio 1980 Di Gregorio Cass. pen. 1982, 62. Giust. pen. 1981, II,211 (s.m.)

I principi sopra evidenziati hanno trovato applicazione, ad esempio, nelle seguenti fattispecie relative ai reati di estorsione

"nel caso di concorso di più persone nel reato, la desistenza di uno dei correi non ha rilevanza se non è riuscita ad impedire le conseguenze degli atti in precedenza compiuti e ad eliminare ogni apporto causale collegato alla sua condotta. Ne consegue che, in tema di estorsione tentata, il recesso di uno dei correi dal suo luogo di vigilanza a favore degli altri complici non produce alcun effetto idoneo ad eliminare le conseguenze della sua precedente condotta, allorché questa ha raggiunto lo scopo di costringere la persona offesa a recarsi nella località prestabilita, deponendovi la somma pretesa e la mancata realizzazione della estorsione sia stata conseguenza solo dell'intervento delle forze dell'ordine in precedenza informate dalle vittime" Cassazione penale, sez. II, 27 gennaio 1986 Pozzoli Cass. pen. 1987, 1890 (s.m.)

e truffa:

"nel caso di concorso di persone nel reato, il semplice abbandono o l'interruzione dell'azione criminosa da parte di uno dei compartecipi non è sufficiente a integrare la desistenza, ma è necessario un "quid pluris" che consiste nell'annullamento del contributo dato alla realizzazione collettiva, in modo che esso non possa essere più efficace per la prosecuzione del reato, con eliminazione delle conseguenze fino a quel momento prodotte. (Fattispecie in tema di truffa, in cui la vittima era stata indotta da parte di più concorrenti a versare, in tempi diversi, somme di denaro, carpite con inganno e nella quale un concorrente, pur non partecipando più materialmente alla ricezione di dette somme, non aveva svelato alla vittima il meccanismo truffaldino, permettendo che molte altre dazioni avvenissero a mano dei correi)". Cassazione penale, sez. VI, 07 aprile 1999, n. 6619 Corriere Cass. pen. 2000, 3005 (s.m.) Giust. pen. 2000, II, 596 (s.m.)

L'articolo 119 del codice penale prevede, inoltre, che le circostanze oggettive

"le circostanze oggettive di esclusione della pena sembrano potersi ricavare per esclusione dal confronto con le cause soggettive. Se l'effetto di non punibilità dipende da previste condizioni che fanno venir meno il reato, esso deve potere valere per tutti i concorrenti" Bonilini-Consortini, I codici ipertestuali, Utet 2009, pag. 742

che escludono la pena abbiano effetto per tutti coloro che siano concorsi nel reato (al contrario, le circostanze soggettive), che escludano la pena per taluno di coloro che sono concorsi nel reato, producono effetto soltanto riguardo alla persona a cui si riferiscono):

"se appare di intuitiva comprensione il ruolo che la contrapposizione soggettivo/oggettivo svolge nella disciplina del regime differenziato di valutazione, le difficoltà interpretative sorgono a proposito della determinazione dei fatti che possono qualificarsi come circostanze soggettive e come circostanze oggettive di esclusione della pena, in mancanza di un chiaro orientamento normativo. Non univoche, al riguardo, sono le indicazioni provenienti dalla dottrina .. omissis ... Per la spiegazione delle circostanze soggettive ed oggettive di esclusione della pena, non sembra abbiano dato risultati soddisfacenti il tentativo di riferirsi alla indicazione dell'art. 70 e quello di attingere alla distinzione tra cause di discolpa e cause di giustificazione. Il primo pretende di estendere le caratteristiche strutturali delle circostanze del reato in senso proprio alle circostanze di esclusione della pena indicate nell'art. 119 senza alcun giovamento alla determinazione del loro ambito ed alla comprensione teleologica della disciplina. La proposta di spiegare le circostanze oggettive e soggettive di esclusione della pena alla stregua della distinzione tra cause di giustificazione e cause di discolpa, poi, appare dogmaticamente connotata sul versante di una particolare teoria della struttura del reato e non risolve, in modo proprio, la questione della determinazione delle cause di esclusione della pena, operando soltanto un rinvio ad altro luogo sistematico. Inoltre, resterebbero prive di spiegazione le circostanze di non punibilità in senso stretto, nei confronti delle quali la eterogeneità delle ragioni di non punibilità non consente di individuare un contrassegno teleologico comune.In verità, appare più corretto intendere gli elementi indicati nella disposizione dell'art. 119 alla stregua di una logica interna alle problematiche del concorso di persone. Di fronte alla dichiarazione programmatica contenuta nell'art. 110 - vera o falsa che essa sia - e concernente il livellamento del regime sanzionatorio per tutti i concorrenti, la disciplina della valutazione differenziata delle circostanze di esclusion e della pena prende atto che possano essere contemplati taluni elementi discriminatori di responsabilità, caratterizzati dalla presenza di stati o qualità personali del soggetto ovvero dalla capacità di incidere sulla stessa esistenza del reato. Nel primo caso, si tratta di circostanze soggettive di esclusione della pena, e viene ritenuto giusto limitarne la efficacia ai soggetti cui si riferiscono; nel secondo caso, la inesistenza del reato deve potere spiegare i suoi effetti su tutti i concorrenti. Le circostanze di esclusione della pena indicate nell'art. 119 sono oggettive o soggettive, dunque, non per gli aspetti attinenti alla loro struttura, ma in ragione della correlazione funzionale rispetto all'effetto di non punibilità. Se la non punibilità dipende dalla inesistenza del reato, la circostanza che la determina sarà oggettiva; se, invece, la non punibilità si indirizza verso taluno dei concorrenti per l'operare, in suo favore, di taluni stati o qualità personali, segnati anche dal rapporto con la persona offesa, la circostanza sarà soggettiva, nel senso che solo per lui varrà l'esenzione dalla responsabilità". Bonilini-Consortini, I codici ipertestuali, Utet 2009, pag. 742

 




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