-  Rossi Rita  -  14/10/2016

Danni punitivi in famiglia e art. 709 ter c.p.c. - Rita Rossi

Sappiamo bene ormai, dopo dieci anni dal loro ingresso nell'ordinamento giuridico, che vi sono oggi strumenti che possono essere maneggiati da avvocati e giudici per incidere in qualche modo sui rapporti tra genitori e figli, laddove uno dei due non rispetti le regole della bigenitorialità e dell'affidamento condiviso.
Si tratta delle misure previste dall'art. 709 ter c.p.c., disposizione introdotta dalla legge n. 54 del 2006.
Con questa disposizione per la prima volta in Italia è stato affrontato un nodo centrale nella gestione delle dinamiche separative.
Il legislatore ha ritenuto, infatti, che dovesse esistere la possibilità di reagire a determinati comportamenti del genitore che realizzino deviazioni dalle regole della bigenitorialità, con conseguente pregiudizio a danno dei figli o/e dell'altro genitore; che si dovesse reagire, ovviamente, non al fine di punire, ma di indurre a modificare quel comportamento.

Pensiamo, per esempio,
- al rifiuto del genitore cd. collocatario di consentire gli incontri del figlio con l'altro genitore,
- al condizionamento alienante esercitato sul figlio, tale da indurre nel bambino il rifiuto di papà o di mamma
- all'inadempimento degli obblighi alimentari
- al rifiuto di incontrare il figlio e tenerlo presso di sè nei tempi previsti e via dicendo.

Come noto, l'art. 709 ter c.p.c. contempla tre misure:
ammonizione
sanzione pecuniaria
risarcimento.
Quella che viene in considerazione oggi in questa riflessione è l'ultima di queste, il risarcimento.

Bene, domandiamoci, allora: qual'è il nesso tra il risarcimento di cui all'art. 709 ter c.p.c. e i danni punitivi?

Apparentemente è difficile scorgere un collegamento.
Del resto, va considerato che anche negli ordinamenti (di common law) in cui i punitive o extraordinary damages sono nati, il terreno in cui essi sono germogliati non è stato propriamente quello della famiglia, ma piuttosto quello della responsabilità del produttore, dunque un terreno più marcatamente contrattuale o civilistico puro.
E dunque, viene da chiedersi se abbia senso oggi parlare di indennizzi punitivi in famiglia quando si consideri che in Italia:
-lo stesso sistema risarcitorio ordinario ha faticato a farsi strada sul terreno della famiglia e gli ostacoli non sono stati ancora superati completamente;
- la giurisprudenza italiana ha mostrato fino a pochi mesi fa una chiusura totale rispetto al riconoscimento in Italia dei danni punitivi in generale e dunque anche al di fuori del comparto famiglia;
- è ancora dominante, tra gli operatori giuridici, che le misure in certo senso afflittive possano generare danni ancor maggiori di quelli che dovrebbero evitare;
- considerato, poi, che la domanda ex art. 709 ter c.p.c. viene formulata nell'ambito dei giudizi di separazione o di divorzio, e considerato che in questi procedimenti gli aspetti da decidere sono vari, nva pure messa in conto la tendenza di una parte dei giudici a non prendere in considerazione la domanda di applicazione di una delle misure previste dall'art. 709 ter c.p.c.
Dunque, ci muoviamo su un terreno spinoso.
Del resto, basta notare che non sono poi tante le pronunce che dispongono misure ex art. 709 ter c.p.c. e ancor meno quelle che condannano al risarcimento.

A fronte di un certo numero di sentenze che mostrano da voler valorizzare questa misura, ce n'è un vasto numero in cui addirittura la domanda di parte viene rigettata, senza neppure una motivazione, o con una motivazione laconica o apodittica.

Tornando dunque alla ricerca del nesso tra sistema risarcitorio punitivo e 709 ter c.p.c., dobbiamo considerare la recente ordinanza della Cassazione n. 9978 del 16.5.2016.

Con questa ordinanza di pochi mesi fa, la Cassazione ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, ritenendo opportuno un intervento delle Sezioni Unite sul tema della riconoscibilità delle sentenze straniere comminatorie di danni punitivi.
È una breccia importante, questa; non era mai successo. Fino al maggio 2016, infatti, la Cassazione era stata univoca nell'escludere la riconoscibilità in Italia di sentenza straniere contenenti condanna al risarcimento di danni punitivi (per tutte, Cass. 8.2.2012, n. 1781; 19.6.2015, n. 12717).
La sentenza del 2015 osservava, in particolare: "la speciale odiosità del fatto non può condurre autonomamente ad un incremento dell'importo risarcitorio, per incompatibilità dei punitive damages con il sistema italiano".

Il leading case fu la sentenza n. 1183 del 2007, sempre relativa a responsabilità da prodotto difettoso.
La ragione di questo orientamento venne indicata fin da quel primo pronunciamento della Cassazione con l'estraneità della punizione al nostro sistema della responsabilità civile.
La r.c. è chiamata a restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, attribuendo al danneggiato una somma che tenda a eliminare le conseguenze del danno subito. Ad essa è estranea l'idea della punizione.
In altri termini, la risarcibilità dipende dall'accertamento della lesione determinata dall'illecito mentre sono irrilevanti le caratteristiche della condotta, dell'elemento soggettivo.

L'ordinanza del 2016 scardina questa certezza, domandandosi se la funzione riparatoria-compensativa, pur prevalente sia davvero l'unica attribuibile al rimedio risarcitorio, e se sia condivisibile la tesi che ne esclude, in radice, qualsiasi sfumatura punitiva-deterrente.
La r.c. infatti dovrebbe evolversi in modo dinamico nella prospettiva della globalizzazione degli ordinamenti giuridici in senso transnazionale; e dunque è dubbio che al riconoscimento di decisioni risarcitorie straniere, con funzione sanzionatoria, possa opporsi un principio di ordine pubblico interno.

L'ordinanza osserva quindi che tale evoluzione è testimoniata da numerosi indici normativi che segnalano la già avvenuta introduzione, nel nostro ordinamento, di rimedi risarcitori con funzione non riparatoria, ma sostanzialmente sanzionatoria.
Tra questi indica appunto l'art. 709 ter c.p.c. "in base al quale, nelle controversie tra i genitori circa l'esercizio della responsabilità genitoriale o le modalità di affidamento della prole, il giudice ha il potere di emettere pronunce di condanna al risarcimento dei danni, la cui natura assume sembianze punitive".

Bene, possiamo essere d'accordo con la Cassazione su questo punto? Possiamo cioè ritenere che il risarcimento ex art. 709 ter c.p.c. rappresenti un indice normativo che di fatto sodgana in Italia il sistema dei danni punitivi?

Per rispondere, prendiamo in considerazione un caso concreto.
Si tratta della decisione del Tribunale di Roma, 23.1.2015
Classico caso di separazione giudiziale.
La coppia ha una figlia adolescente, che la madre porta con sè negli USA.
Il rapporto tra padre e figlia è pessimo: l'uomo lamenta il rifiuto della figlia di incontrarlo, attribuendo le cause di questo rifiuto ai condizionamenti esercitati dalla madre, ma il Giudice osserva che in realtà l'uomo non ha fatto nulla per tentare un riavvicinamento; non curandosi neppure di andare a incontrare la figlia negli USA. Gli incontri erano stati limitati a 3 week-end in quattro anni. L'uomo aveva cercato di giustificare i mancati viaggi per incontrare la figlia con la propria paura di volare ma era emerso che era sua abitudine viaggiare all'estero per andare in vacanza con la compagna. Secondo il giudice romano questo disinteresse paterno aveva dunque inciso negativamente sulla figlia, la quale si era sentita abbandonata.

Per questa ragione, il Giudice ritiene "di sanzionare la condotta del padre, al fine di una sostanziale coartazione all'adempimento dei doveri genitoriali, per il pregiudizio arrecato alla minore con la propria condotta omissiva nell'esercizio dell'affidamento condiviso"; lo condanna, così, al risarcimento in favore della figlia di 15.000 euro, da versarsi su un libretto di deposito a risparmio intestato alla minore con vincolo giudiziale fino al compimento dei 18 anni di età della giovane.
Invero, la madre aveva chiesto detta misura ex art. 709 ter, ma la stessa non era stata riproposta in sede di precisazione delle conclusioni e, dunque, la stessa doveva intendersi abbandonata. Ciò nonostante, il giudice osserva che le misure in parola sono applicabili anche d'ufficio.
Il Giudice spiega di avere scelto il risarcimento perchè misura più consona nella specie, considerata la mutilazione affettiva che il comportamento paterno aveva arrecato alla giovane, gettandola in uno stato di palese sofferenza.
Riguardo alla quantificazione, il Giudice spiega di avere tenuto conto della durata dell'inadempimento e delle condizioni economiche dell'obbligato.
Torniamo, allora, al nodo da sciogliere: possiamo ritenere che il risarcimento ex art. 709 ter c.p.c. abbia funzione punitiva?

Scorrendo le caratteristiche proprie della condanna risarcitoria comminata a quel padre nel caso romano, ne possiamo senz'altro scorgere alcune avvicinabili al sistema e alle caratteristiche proprie dei punitive damages.
Così, in particolare:

- la funzione dissuasiva (dichiarata dal Giudice) di indurre quel padre a comportamenti più consoni. Si tratta, nondimeno, di funzione punitiva lato sensu e dunque sotto questo profilo c'è un'affinità con i p.d.

- il carattere officioso della condanna (la misura viene disposta d'ufficio, anche in mancanza cioè di domanda di parte)

- non viene svolta alcuna verifica istruttoria riguardo all'esistenza effettiva di un danno a carico della giovane (danno -conseguenza)

Per altri aspetti, invece, come il caso esaminato si distanzia dalle caratteristiche dell'indennizzo afflittivo. Questo vale, soprattutto, per il quantum liquidato. Infatti, non viene liquidato un quid pluris rispetto a quella che sarebbe la somma destinata a riparare. Il giudice indica quali elementi considerati, ai fini della quantificazione, la durata del comportamento e le condizioni economiche del responsabile.

Senonchè, dal provvedimento emerge che le condizioni economiche erano molto agiate. E questo porta a considerare che l'ammontare di 15.000 euro, che già di per sè non è elevato, non appare tale da includere anche una quota sanzionatoria.

Credo, dunque, di poter dire che il sistema del risarcimento ex art. 709 ter c.p.c. contiene senz'altro in nuce un aggancio al danno punitivo; siamo però di fronte ad un sistema di punitive damages made in Italy, con caratteristiche sue proprie e per certi versi atipiche.

Si tratta di un cantiere aperto, dunque, che amalgama le indicazioni provenienti dalle esperienze d'Oltralpe alle peculiarità del sistema nostrano.




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