-  Bernicchi Francesco Maria  -  11/11/2014

DANNO MORALE AL FIDANZATO DELLA VITTIMA DI INCIDENTE E ONERE PROBATORIO - Cass. Pen. 46351/14 - F.M. BERNICCHI

- Danno morale al prossimo congiunto 

- La società di assicurazione ricorre in Cassazione per chiedere un maggior rigore probatorio che possa dimostrare il legame affettivo tra i due fidanzati

- La Cassazione ribadisce la sussitenza del danno morale in capo ai prossimi congiunti, ma per il fidanzato non convivente è richiesto un "quid" probatorio in più che possa dimostrare la stabilità e la profondità del legame.

Si prende in esame una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 16 ottobre – 10 novembre 2014, n. 46351) relativa al tema del danno morale sussistente in capo al fidanzato di una vittima di incidente stradale.

Il fatto, in breve: la Corte di Appello di Milano, con sentenza in data 8.10.2012, riformando parzialmente la precedente sentenza di condanna resa dal Tribunale di Milano il 10.10.2011, riduceva l'entità della provvisionale disposta a favore della parte civile P.L.A. , rideterminando il relativo ammontare in Euro 15.000,00 e confermava, per il residuo, il precedente provvedimento giurisdizionale di condanna nei confronti di H.S.J.H. - chiamato a rispondere del reato di cui all'art. 589, cod. per., per avere cagionato, in concorso con B.G. , separatamente giudicato, la morte del pedone T.C. , per colpa consistita nella violazione della disciplina in materia di circolazione stradale, nei termini indicati in rubrica

Avverso la predetta sentenza della Corte territoriale proponeva ricorso per cassazione il difensore del responsabile civile della società di assicurazione Zurich Insurance plc. articolandolo in un unico motivo: violazione di legge,  vizio motivazionale e erronea applicazione degli artt. 74 cod. proc. pen. e 2697 cod. civ.. Il difensore fiduciario, in sostanza, si riferiva sia alla risarcibilità del danno subito dalla fidanzata della vittima, non convivente, sia rispetto alla non corretta applicazione della disciplina dell'onere della prova, nel caso di richiesta risarcitoria ex art. 185 cod. pen. L'esponente chiarisce che l'oggetto dell'impugnazione è circoscritto alla valutazione operata dai giudici di merito, in relazione al diritto vantato dalla parte civile P.L.A. , al risarcimento del danno morale derivante dalla morte del fidanzato, T.C.

La parte ricorrente osserva che la difesa non intende contestare la parificazione riconosciuta dalla giurisprudenza tra coppie sposate e coppie di fatto, nell'ambito del diritto al risarcimento da parte del convivente. Sottolinea, tuttavia, che, nel caso di specie, non vi era alcuna convivenza tra la parte civile L. ed il defunto T. , all'epoca del fatto semplici fidanzati. Ritiene che, conseguentemente, l'onere della prova gravante sulla parte civile debba essere valutato in modo rigoroso e che non possano trovare applicazione presunzioni in favore del partner non convivente, rispetto alla prova della sussistenza di un saldo vincolo affettivo, la cui lesione risulta meritevole di risarcimento.
Tanto chiarito, la ricorrente rileva che P.L.A. aveva l'onere di provare i seguenti elementi: l'esistenza di un rapporto di fidanzamento con la vittima e la saldezza e profondità del legame, tale da rendere l'interruzione del medesimo rapporto meritevole di risarcimento.

Per i giudici di Piazza Cavour  il ricorso del responsabile civile impone le considerazioni che seguono e, in particolare, è d'uopo richiamare i principi che, secondo diritto vivente, informano la materia della risarcibilità del danno morale, in favore dei congiunti del soggetto leso.

Al riguardo, risulta acquisito il principio in base al quale "ai prossimi congiunti della persona che ha subito lesioni, a causa del fatto illecito altrui, spetta anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato, in relazione ad una particolare situazione affettiva intercorrente con la vittima."

In tal caso, il congiunto è legittimato ad agire "iure proprio" contro il responsabile (Cass. Civ. S.U. n. 9556/02). La giurisprudenza di legittimità, invero, ha chiarito che il danno non patrimoniale deve essere inteso nella sua accezione più ampia di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica. In particolare, le Sezioni Unite (Cass. Civ. Sez. U n. 26972/2008) hanno ritenuto risarcibile il danno non patrimoniale inteso nella sua più ampia accezione, ivi compreso, appunto, il danno morale, che può essere permanente o temporaneo (circostanze delle quali occorre tenere conto in sede di liquidazione, ma irrilevanti ai fini della risarcibilità) e può sussistere sia da solo, sia unitamente ad altri tipi di pregiudizi non patrimoniali (ad es., derivanti da lesioni personali o dalla morte di un congiunto). In tale prospettiva, di ritenuta risarcibilità dei pregiudizi di natura non patrimoniale conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona, si è chiarito che il riferimento ai "prossimi congiunti" della vittima primaria, quali soggetti danneggiati "iure proprio" a cagione del carattere plurioffensivo dell'illecito, deve essere inteso nel senso che, in presenza di un saldo e duraturo legame affettivo tra questi ultimi e la vittima, è proprio la lesione che colpisce tale peculiare situazione affettiva a connotare l'ingiustizia del danno ed a rendere risarcibili le conseguenze pregiudizievoli che ne siano derivate (se ed in quanto queste siano allegate e dimostrate quale danno-conseguenza), a prescindere dall'esistenza di rapporti di parentela o affinità giuridicamente rilevanti come tali.

La giurisprudenza ha da ultimo precisato che, affinché si configuri la lesione di un interesse a rilevanza costituzionale, la convivenza non deve intendersi necessariamente come coabitazione, quanto piuttosto come "stabile legame tra due persone", connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti. E si è osservato che, in tale prospettiva, i riferimenti costituzionali non sono da cogliere negli artt. 29 e 30 della Costituzione, così che detto legame debba essere necessariamente strutturato come un rapporto di coniugio, ed a questo debba somigliare, quanto piuttosto nell'art. 2 Cost., che attribuisce rilevanza costituzionale alla sfera relazionale della persona, in quanto tale (cfr. Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 7128/2013).

Sul piano probatorio, che pure qui viene in rilievo, si è poi considerato: che colui che rivendica il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza della morte della persona a cui è legato da relazione affettiva, deve allegare e dimostrare l'esistenza e la natura di tale rapporto, la sua stabilità, intesa come non occasionalità e continuità nel tempo, tale da assumere rilevanza al momento di verificazione del fatto illecito; che spetta al danneggiato, che chiede il risarcimento del danno non patrimoniale attinente alla propria sfera relazionale, dare la prova dell'esistenza e della natura di tale rapporto, potendo tuttavia questa essere fornita con ogni mezzo, ed anche mediante elementi presuntivi; e che spetta al giudice di merito accertare, alla stregua delle circostanze del caso concreto, e degli elementi, anche presuntivi, addotti dalla parte, l'apprezzabilità della relazione affettiva, a fini risarcitori (Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 7128/2013, cit.).

Tanto chiarito, nel caso concreto,  deve osservarsi che i giudici di merito, sul punto relativo all'an debeatur, rispetto alla richiesta di risarcimento avanzata dalla fidanzata della vittima, hanno disatteso i principi di diritto ora richiamati. Infatti, tra i due giovani non risultava provata la sussistenza di un rapporto di convivenza "more uxorio" e vi è stata piena omissione dell'analisi di fondo della questione, relativa alla natura del rapporto affettivo di cui si tratta, argomento che costituisce il presupposto logico, rispetto al riconoscimento di una somma a titolo di provvisionale, ai sensi dell'art. 539, comma 2, cod. proc. pen., come sopra chiarito.




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