-  Redazione P&D  -  08/03/2013

DIRITTO ALL'EQUO INDENNIZZO (LEGGE PINTO), BREVI OSSERVAZIONI - R.K.

Com"è noto, la "legge Pinto" ha l"obbiettivo di garantire tutela, sia pure di tipo meramente riparatorio, alle parti di quei processi che si prolungano oltre quei tempi ritenuti ragionevoli dalla Convenzione dei diritti dell"Uomo ed oggi anche dal comma secondo dell"art. 111 Cost.

La legge, è stata introdotta al fine di evitare, tramite il riferimento ad un ricorso interno , le condanne presso la C.E.D.U., per i cornici ed assurdi ritardi connessi alla attività giurisdizionale. Salvo, poi, a veder introdotti nuovi giudizi presso l'alta corte per la lungaggine dei provvedimenti di liquidazione o per il pagamento delle somme già riconosciute. Paradosso tutto italiano.

Questo breve scritto vuole fare il punto sulle questioni recenti dibattute dalla giurisprudenza in tema di diritto alla equa riparazione.

1) E' compatibile il termine di decorrenza del termine di prescrizione e la pendenza del termine di decadenza, previsto dall"art. 4 della legge n. 89 del 2001?

Per le S. Un. n. 16783/2012, "la previsione della sola decadenza dall"azione giudiziale per ottenere l"equo indennizzo a ristoro dei danni subiti a causa dell"irragionevole durata del processo, contenuta nell"art. 4 della legge 24 marzo 2001, n. 89, con riferimento al mancato esercizio di essa nel termine di sei mesi dal passaggio in giudicato della decisione che ha definito il procedimento presupposto, esclude la decorrenza dell"ordinario termine di prescrizione, in tal senso deponendo non solo la lettera dell"art. 4 richiamato, norma che ha evidente natura di legge speciale, ma anche una lettura dell"art. 2967 cod. civ. coerente con la rubrica dell"art. 2964 cod. civ., che postula la decorrenza del termine di prescrizione solo allorché il compimento dell"atto o il riconoscimento del diritto disponibile abbia impedito il maturarsi della decadenza; inoltre, in tal senso depone, oltre all"incompatibilità tra la prescrizione e la decadenza, se riferite al medesimo atto da compiere, la difficoltà pratica di accertare la data di maturazione del diritto, avuto riguardo alla variabilità della ragionevole durata del processo in rapporto ai criteri previsti per la sua determinazione, nonché il frazionamento della pretesa indennitaria e la proliferazione di iniziative processuali che l"operatività della prescrizione in corso di causa imporrebbe alla parte, in caso di ritardo ultradecennale nella definizione del processo".

2) Nella liquidazione del danno, il giudice può scendere al di sotto della soglia minima di € 750,00 per i primi tre anni di ritardo ed € 1.000,00 per ciascuno dei successivi anni (così Cass. n. 17922 del 2010)?

Per Cass. 28 maggio 2012, n. 8471 (cfr., ora la l. 7 agosto 2012, n. 134), al contrario, la soglia minima è tendenziale, vale cioè "di regola"  ma non costituisce una frontiera invalicabile, essendo consentito al giudice di merito – nella valutazione equitativa del pregiudizio concreto subito dal cittadino a causa del ritardo del servizio giustizia – potendo il giudice scendere al di sotto di quel livello là dove, in considerazione del carattere bagatellare o irrisorio della pretesa patrimoniale azionata nel processo presupposto, parametrata anche sulla condizione sociale e personale del richiedente, vi sia l"esigenza di evitare sovra compensazioni. Sulla stessa linea Cass. n. 21051/2012, per la quale l"esclusione di ogni indennizzo nel caso in cui il procedimento penale irragionevolmente protrattosi si concluda con la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione deve ritenersi compatibile con la Convenzione europea, così come interpretata dalla Corte europea dei diritti dell"uomo, a maggior ragione deve ritenersi non lesiva della medesima convenzione la riduzione dell"indennizzo nei confronti di chi abbia beneficiato della durata del procedimento per effetto della prescrizione medio tempore maturata e non rinunciata (in precedenza, la pacifica giurisprudenza della Corte di legittimità escludeva l"indennizzo in tale ipotesi, solo allorquando la prescrizione fosse il frutto di manovre dilatorie dell"interessato). Ancora, la Cass. (n. 9254/2012) ha giudicato ragionevole la durata di un procedimento di fallimento durato sette anni, allorquando questo si presenti particolarmente complesso, ipotesi ravvisabile in presenza di un numero particolarmente elevato di creditori, di una particolare natura o situazione giuridica dei beni da liquidare, di proliferazione di giudizi connessi nella procedura ma autonomi (e, quindi, a loro volta, di durata vincolata alla complessità del caso) e in presenza di pluralità di procedure concorsuali indipendenti (cfr. Cass. n. 8468/2012, per la quale lo standard del procedimento fallimentare, ricavabile dalle pronunce della Corte europea dei diritti dell"uomo, è di cinque anni nel caso di media complessità e, in ogni caso, per quelle notevolmente complesse – a causa del numero dei creditori, la particolare natura o situazione giuridica dei beni da liquidare (partecipazioni societarie, beni indivisi, ecc.), la proliferazione di giudizi connessi o la pluralità di procedure concorsuali interdipendenti – non può superare la durata complessiva di sette anni).

 

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3) Rientrano nei soggetti indennizzabili le persone giuridiche?

Cass. n. 21326/2012, esclude, dal novero degli "aventi diritto" all"equa riparazione, gli enti pubblici, ed in generale ogni ente o articolazione amministrativa pubblica che, in quanto tale, detiene o esercita un pubblico potere; infatti, il giudice di legittimità ritiene, alla luce del disposto dell"art. 34 della Convenzione dei diritti dell"uomo e delle libertà fondamentali, per il quale «vittime della violazione» sono esclusivamente «le persone fisiche, i gruppi di individui e le organizzazioni non governative», che l"art. 2 della legge n. 89 del 2001 debba essere interpretato restrittivamente, e, quindi, la sua area di operatività debba limitarsi ai rapporti tra le persone individualmente considerate ovvero nelle formazioni collettive da esse costituite secondo legge.

4) Quali sono i limiti temporali del processo relativo alla L.Pinto?

Per Cass. n. 5924/2012, trattandosi di un ordinario processo di cognizione, è soggetto, in quanto tale, all"esigenza di una definizione in tempi ragionevoli, la quale è tanto più pressante, in quanto finalizzata all"accertamento della violazione di un diritto fondamentale nel giudizio presupposto, la cui lesione genera di per sé una condizione di sofferenza e un patema d"animo, che sarebbe ingiustificato non riconoscere. Nell"occasione, ha precisato che la durata complessiva dei due gradi di giudizio (in corte di appello e in cassazione) dev"essere ritenuta ragionevole, ove non ecceda il termine di due anni (nel quale è incluso quello di sessanta giorni previsto per la proposizione del ricorso per cassazione). Il suddetto termine sarebbe, infatti, «compatibile con le indicazioni della Corte europea dei diritti dell"uomo e risponde sia alla natura meramente sollecitatoria del termine di quattro mesi di cui all"art. 3, comma sesto, della legge n. 89 del 2001, sia alla durata ragionevole del giudizio di cassazione che, anche in un procedimento di equa riparazione, non è suscettibile di compressione oltre il limite di un anno (anche Cass. n. 8283/2012).

5) Rientrano le controversie con il fisco?

Cass. n. 16212/2012, esclude «le controversie tra il cittadino e il fisco aventi ad oggetto provvedimenti impositivi, in quanto la Corte Europea dei diritti dell"uomo ritiene meritevoli di tutela i diritti e i doveri di carattere "civile", ovvero di natura privatistica, e non le obbligazioni di natura pubblicistica, attesa l"estraneità di tali vertenze rispetto alla categoria delle liti in materia civile.

6) Che impatto ha sul termine decadenziale il giudizio di revocazione della sentenza?

Cass. n. 9843/2012, afferma l"irrilevanza, ai fini dell"equa riparazione, del possibile esperimento del rimedio della revocazione, previsto dall"art. 68 r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, nei giudizi pensionistici che si svolgono di fronte alla Corte dei conti e definiti con sentenza della sezione regionale, contro la quale non sia proposto appello. In tal caso, il termine di decadenza per proporre la domanda di equa riparazione, previsto dall"art. 4 della legge n. 89 del 2001, decorre dalla data di scadenza del termine per proporre appello, poiché, al compimento di quest"ultimo, la sentenza pronunciata dalla predetta sezione, al pari di quella del giudice ordinario, acquista autorità di cosa giudicata formale, ai sensi dell"art. 324 cod. proc. civ., non potendo essere più impugnata con un mezzo ordinario. Ciò, in quanto il rimedio della revocazione ordinaria, previsto dall"art. 68, lett. a), citato, è esperibile solo nei confronti delle sentenze emesse in unico grado o in grado di appello, mentre l"errore di fatto revocatorio relativo ad una sentenza appellabile, in applicazione dei principî generali, si converte in motivo di nullità del provvedimento, che deve essere dedotto proprio con l"appello.

7) Il termine per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell"udienza alla controparte è perentorio?

No per la S.C.: in quanto l"art. 3 della legge n. 89 del 2001 si limita a prevedere il termine dilatorio di comparizione di quindici giorni per consentire la difesa all"Amministrazione e ricollega la sanzione dell"improponibilità della domanda soltanto al deposito del ricorso oltre il termine di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza dle giudizio di merito.

8) Quale la competenza territoriale?

La competenza sulla domanda diretta ad ottenere l"equa riparazione per l"irragionevole durata di un giudizio davanti a sede distaccata del TAR appartiene alla corte d"appello, individuata ai sensi dell"art. 11 cod. proc. pen., richiamato dall"art. 3 della legge 24 marzo 2001, n. 89, ove tale sede coincida con la sede di un distretto di corte d"appello, a prescindere dai rapporti interni tra giudici speciali, in quanto ciò che viene in rilievo non è l"ambito territoriale di competenza dell"ufficio giudiziario, ma la sua sede (Cass. n. 6887/2012; Cass. Sez. Un., n. 6306 del 2010).

9) Sono ricompresi i procedimenti esecutivi?

Per Cass. n. 6459/2012 (orientamento consolidato)  la disciplina de qua è applicabile anche con riferimento ai "procedimenti" esecutivi, osservando che il debitore esecutato, sebbene in stato di soggezione rispetto all"azione esecutiva promossa dal creditore, è parte del processo esecutivo, in quanto il diritto del debitore di promuovere giudizi di opposizione nelle varie fasi e gradi del processo esecutivo presuppone la sua generale qualità di parte di tale processo, ciò che del resto è confermato dal consolidato orientamento, secondo cui nel processo di esecuzione il diritto del cittadino al giusto processo (come delineato dalla nuova formulazione dell"art. 111 Cost.) deve essere soddisfatto attraverso il contraddittorio tra le parti in ogni fase processuale in cui si discuta e si debba decidere circa diritti sostanziali o posizioni comunque giuridicamente protette, tenendo conto del correlato e concreto interesse delle parti stesse ad agire, a contraddire o ad opporsi per realizzare in pieno il proprio diritto di difesa sancito dall"art. 24 Cost.

- Ricordiamo il fine, le ordinanze di rimessione alle Sez. Un. tutt'ora pendenti.

Con l"ordinanza n. 16820/2012, , viene rimessa la questione originata dal contrasto della giurisprudenza della Corte di Strasburgo – che considera compresa nella durata del processo anche la fase della soddisfazione coattiva del diritto accertato nel processo di cognizione – con quella della Corte di cassazione, che invece considera il processo di cognizione e quello di esecuzione come distinti ed autonomi. Più in generale, il Collegio remittente sottopone al vaglio delle Sezioni Unite la questione se la durata del processo esecutivo, promosso per la realizzazione della situazione giuridica soggettiva di vantaggio fatta valere nel processo presupposto con esito positivo, debba o no essere calcolata ai fini del computo della durata irragionevole dello stesso processo presupposto e sottolinea la necessità di una pronuncia del Collegio Supremo anche alla luce delle modifiche alla legge 24 marzo 2001, n. 89, introdotte dall"art. 55 del decreto legge n. 83 del 2012, convertito in legge, con modificazioni, dall"art. 1, comma 1, della legge n. 134 del 2012.

L"ordinanza n. 16606/2012, pone la questione degli effetti della cancellazione della società di persone, con riguardo alla pretesa indennitaria, ai sensi della legge n. 89 del 2001, derivante dalla durata eccessiva del processo nel quale detta società sia stata parte. La Sezione remittente precisa che la questione dei rapporti sociali non liquidati, osservata nella prospettiva della legge n. 89, «si arricchisce di un ulteriore aspetto», trattandosi di stabilire «se il risarcimento del danno da violazione dell"art. 6, § 1, della CEDU, sotto il profilo della ragionevole durata del processo, configuri un diritto già esistente nel patrimonio sociale al momento della cancellazione della società o se – presupponendo l"accertamento in via giudiziale della violazione della Convenzione – non rappresenti, piuttosto, una mera pretesa di carattere contenzioso», la quale ultima, per una certa impostazione di legittimità, potrebbe intendersi rinunciata a motivo della cancellazione volontaria dell"ente collettivo.

L"ordinanza Sez. 2, n. 12938/2012, si riferisce, invece, alla questione se il contenzioso civile nascente dalla violazione del termine ragionevole del processo rientri o no nel campo di applicazione della mediazione finalizzata alla conciliazione, ai sensi del d.lgs. n. 28 del 2010 ed è strettamente connessa alla risoluzione del quesito di diritto se la normativa ex legge n. 89 del 2001 riguardi controversie su diritti "disponibili". Il Collegio remittente ritiene tale questione di massima e particolare importanza, non solo per la sua novità, ma per i profili pubblicistici coinvolti e per il fatto di porsi al crocevia tra l"istituto della mediazione nel sistema dei mezzi di risoluzione delle controversie civili e il contenzioso seriale dell"equa riparazione per l"eccessiva durata del processo, per il quale già in passato c"erano stati tentativi di introdurre sistemi stragiudiziali deflattivi. Non può non ricordarsi, al riguardo, la sentenza n. 272 del 24 ottobre 2012 della Corte costituzionale, la quale ha dichiarato l"illegittimità costituzionale della disciplina della mediazione, quanto all"art. 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, e norme collegate.

Infine, l"ordinanza Sez. 6, n. 21062/2012 del 13 novembre 2012 investe le Sezioni Unite della questione relativa alla legittimazione dei singoli condomini ad agire in giudizio per far valere il diritto alla equa riparazione per la durata irragionevole del processo presupposto intentato dal




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