-  Redazione P&D  -  13/06/2013

DISCUTERE DEL SUICIDIO CON GLI ADOLESCENTI: SPUNTI DA UN CASO DI NEW YORK

In epoca classica il suicidio era una decisione tragica, volta alla tutela della dignità umana. Poi, per secoli, è stato considerato un peccato. Successivamente è divenuto un delitto, quindi una malattia. Ben presto è tornato ad essere considerato come una libera scelta.

Ha fatto comunque clamore e scandalo quanto successo in una scuola privata dell"Upper West Side, dove la professoressa di inglese Jessica Barrish stava tenendo un seminario con i ragazzi di 14 anni, avendo a tema il libro "The Secret Life of Bees", in cui la protagonista May Boatwright finice per togliersi la vita. L"insegnante, quindi, ha girato la domanda ai propri allievi: «Come giustifichereste il vostro suicidio? Quali ragioni dareste?». 

 Tra i genitori ovviamente è scoppiata la rivolta. Molti di loro hanno subito chiamato la scuola, chiedendo spiegazioni, e lo scandalo è cresciuto così tanto da finire sulle pagine del quotidiano New York Post. I dirigenti della scuola hanno subito promesso di indagare, concordando sul fatto che il compito assegnato era inappropriato. La signora Barrish si è chiusa nel silenzio, ma pochi scommettono sul fatto che la sua carriera a York Prep continuerà senza problemi. Eppure c"è chi ha preso le sue difese, come il professore di filosofia alla New School Simon Critchley, che aveva insegnato un corso per adulti sulle note per spiegare la decisione di togliersi la vita: «Non vedo dove sia il problema. Perché un compito del genere sarebbe inappropriato? Se così fosse, vorrebbe dire che il suicidio è un tabù, e noi dobbiamo ragionare in maniera razionale sui tabù». 

 I genitori dei ragazzi non sono d"accordo, proprio per l"età degli studenti e il metodo usato. Anche ammesso che i suicidi siano un problema tra i giovani, il modo migliore di affrontarlo non è chiedere ai ragazzi di scrivere una nota in cui spiegano le ragioni per togliersi la vita.

E" corretto nascondere il tema, ometterlo ?

O forse è meglio parlarne a viso aperto ?

Le prassi predisposte dagli adulti per dare senso al gesto, contestualizzarlo e prevenirne gli incertissimi destini futuri, si barcamenano nelle nostre realtà istituzionali, sanitarie e sociali, fra la banalizzazione che lambisce l"omissione di atti di ufficio, la medicalizzazione furibonda e vendicativa, una psichiatrizzazione incerta, contemplativa e dubbiosa sul da farsi e una psicologizzazione rapida, superficiale, consolatoria che si compiace abusivamente di risultati fulminei che non le spettano poiché quasi sempre ingraziati dai vantaggi secondari elargiti dalla manifestazione del proposito o dal tentativo di suicidio soprattutto se accolto dall"ambiente con reale sbigottimento e devoto bisogno di capire. E" per altro noto come tale disponibilità generalmente non superi quindici giorni, prevalendo poi un disperante esercizio collettivo di ritorno alla normalità e sospensione del coprifuoco, non esente da componenti punitive per l'oltraggio che il gesto implacabilmente arreca all"immagine degli adulti di riferimento che, riavutisi dal trauma, si accingono sottobanco a saldare i conti.

La scelta di discutere della tentazione della morte in adolescenza come fenomeno in bilico fra crisi evolutiva grave e sintomo psicopatologico è allo stato dell'arte legittimata anche dal riscontro che alcune catamnesi sul destino evolutivo dell"adolescente suicidale consentirebbero di essere forse meno pessimisti sull"esito a distanza di tale acting, dal momento che alcuni giovani adulti coinvolti in pratiche autolesive in adolescenza non sembra patiscano, nel prosieguo della loro formazione, di gravi deformazioni del carattere o di amputazioni evidenti di capacità espressive e relazionali.
Inoltre è frequente che alcune autopsie psicologiche eseguite a seguito di suicidi di adolescenti modello confermino il dubbio irrisolvibile se la causa della morte sia ascrivibile ad una crisi fulminea, impulsiva, non prevedibile neppure dallo stesso soggetto o se invece la morte sia la fatale conclusione del breve ciclo di vita di un essere incompleto da anni, quasi del tutto sprovvisto degli strumenti per affrontare le burrasche e le bonacce adolescenziali. In alcuni casi non sembra ipotizzabile che la morte covasse sotto le mentite spoglie di un falso sé vitale, amabilissimo, in contatto con l'ambiente, capace di prestazioni memorabili e facili prede del processo di idealizzazione che amici e congiunti legittimamente fanno del caduto sul campo di battaglia della crescita

 

Considerazioni tratte da "L'intervento clinico in adolescenza fra crisi evolutiva e psicopatologia" di Gustavo Pietropolli Charmet




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